Paolo Nespoli: “Sogno un futuro in cui tutti potranno andare nello spazio”

L'ASTRONAUTA ITALIANO SI RACCONTA NELLA TAPPA PARMIGIANA DEL SUO TOUR

Da grande voglio fare l’astronauta“: chi non l’ha pensato, almeno per una volta, guardando le stelle? Da sempre l’uomo subisce il fascino della volta celeste. E anche se, oggi più che mai, la scienza ha risposto a tante domande e addirittura esiste un fenomeno che con disinvoltura si può definire ‘turismo spaziale’, l’interesse per galassie e pianeti non stenta a crescere, portando con sé nuovi interrogativi.

Parola di Paolo Nespoli, appena tornato dalla missione Vita (Vitalità innovazione Tecnologia e Abilità) sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Il noto astronauta italiano ha incontrato studenti e cittadini parmigiani martedì 20 marzo, all’auditorium del plesso polifunzionale del campus universitario. All’evento, dal titolo ‘Spazio all’ingegno‘ sono intervenuti anche Tommaso Ghidini, capo divisione strutture, meccanismi e materiali di Esa (European Space Agency) e Claudio Sollazzo di Asi (Agenzia Spaziale Italiana) mission manager di Vita.
A rompere il ghiaccio i saluti di Sara Rainieri, pro rettrice alla didattica dell’Università di Parma, che ha incoraggiato gli studenti a mettere passione in quello che fanno e a porsi grandi obiettivi “soprattutto nell’ambito delle materie cosiddette Stem (Science Technology Engineering Mathematics) nelle quali il numero di laureati in Italia è il più basso d’Europa“, afferma.
Materie che è necessario studiare se si pensa a una carriera nello spazio, come ricorda anche Nespoli: “Il primo requisito per un astronauta è una laurea tecnica, poi ci vuole anche tanta passione e determinazione. E bisogna parlare un po’ di russo”.
A introdurre l’ospite d’onore è stato il rettore dell’Università di Parma Paolo Andrei. Nei suoi ringraziamenti ha ricordato anche il fumettista parmigiano Leo Ortolani che, in collaborazione con Esa e Asi, ha realizzato il fumetto ‘C’è spazio per tutti’ che vede il suo famoso personaggio Rat-Man finire a bordo della stazione spaziale insieme all’astronauta Rover, alias Paolo Nespoli.

Una semplice tenuta ‘da lavoro’ e il passo svelto di chi non si perde in chiacchiere: con grande semplicità e molte foto, durante il suo intervento, Nespoli ha spiegato al pubblico cosa vuol dire andare nello spazio oggi.
Nonostante, infatti, le luci della ribalta si siano accese negli ultimi anni sugli astronauti e le loro gesta, Nespoli ancora si sente “il ragazzino del paesino in provincia di Milano che sognava di fare l’astronauta” piuttosto che un eroe nazionale. “Alla fine – afferma – sulla Iss noi siamo la forza lavoro. Dobbiamo saper fare tutto, dal meccanico all’idraulico, al cuoco. Senza le migliaia di collaboratori che seguono le missioni da Terra – sottolinea – il nostro lavoro non sarebbe possibile”.
A cosa serve, dunque, il lungo addestramento che precede ogni missione? La vita degli astronauti in orbita è cadenzata rigidamente dalle agenzie spaziali e prevede lo svolgimento di molte attività, tra cui portare a termine complessi esperimenti scientifici oppure riparare o ampliare i moduli della stazione spaziale. E devono essere pronti a qualunque evenienza: “Durante i tre anni precedenti al lancio, ti abituano a cose non normali, come succede negli sport estremi. Alcuni insegnamenti sono teorici, altri pratici. Ti portano al limite di ciò che pensi non si possa fare così poi con l’addestramento giusto, il team giusto, l’attrezzatura giusta e la forza mentis giusta, riesci a fare delle cose che credevi impossibili”.

Ma come si vive sulla Stazione Spaziale Internazionale? “Dovete immaginare una casa di un centinaio di metri quadrati. L’equipaggio è composto da sei persone per cui lo spazio è ristretto. C’è un po’ di confusione, data sia dalla microgravità che fa fluttuare le cose sia dalla convivenza di vari contributi internazionali” spiega Nespoli. Infatti la Iss, che si trova nell’orbita bassa terrestre a circa 400 km di altezza, ‘cade’ verso la Terra tanto quanto essa è rotonda, a una velocità di 28000 km/h. Il risultato è che al suo interno “ti sembra sempre di cadere, costantemente, per sei mesi. Inoltre è molto facile perdere le cose: se le lasci andare, chissà dove le ritroverai”.
Questo è solo uno dei problemi di vivere a gravità zero: il corpo degli astronauti, vere e proprie cavie umane, subisce una forte decalcificazione, fino a dieci volte superiore rispetto a un osteoporotico sulla Terra, i muscoli si indeboliscono, i fluidi corporei si spostano verso la testa.

Piccoli inconvenienti che non solo servono ai fini della ricerca scientifica, ma in qualche modo sono ripagati dalla vista incredibile che si gode dalla cupola panoramica della stazione spaziale. “Vedere la Terra da un posto dove di fatto sei extraterrestre, te ne dà una visione nuova, diversa: sembra una nave dove lo spazio è ristretto e le risorse non sono infinite. Quello che fai a Parma ha un impatto in Australia, dobbiamo smetterla di ragionare a compartimenti stagni. La vista da lassù ti fa pensare che il nostro pianeta sia fragile, un po’ come una sfera in equilibrio su uno spillo. Poi di fatto lei non è fragile, siamo noi umani ad esserlo.” In un mondo dominato dai confini politici che spesso si trasformano in muri fisici, però, la Stazione Spaziale Internazionale è un esempio di virtuosa collaborazione: “Questo progetto dimostra che quando vogliamo, noi uomini, possiamo lavorare insieme. Alla sua realizzazione e mantenimento contribuiscono russi, americani, canadesi, giapponesi e europei di dieci paesi diversi. Che fatica! Le discussioni ci sono ma poi alla fine la decisione è comune. Per il futuro – conclude – mi auguro che ognuno smetta di pensare come parmigiano e cominci a pensare come essere umano“.

 

di Emma Bardiani

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*