Dialogo col vero protagonista di… Tonya

INTERVISTE IMPOSSIBILI: CONFESSIONI DI UNA RECENSIONE

Uno dei più grandi scandali sportivi di tutti i tempi. La prima pattinatrice americana capace di eseguire un Triplo Axel in una gara ufficiale. Un contesto familiare difficile, fatto di soprusi e violenze. Un’atleta determinata nonostante le difficoltà a raggiungere il massimo. Molte cose è stata Tonya Harding, una delle più discusse figure dello sport di tutti tempi, tanto che è difficile ricostruire la sua storia, la sua eredità. A tentare l’impresa è stato il regista Craig Gillespie con Tonya, film candidato a ben 3 premi Oscar con protagonisti Margot Robbie, Sebastian Stan e Allison Janney. Noi di ParmAteneo abbiamo incontrato il suo vero protagonista…

Salve, vuole presentarsi?
Buonasera, io sono la sigaretta sempre accesa tra le dita di LaVona Golden, la madre di Tonya Harding, interpretata da Allison Janney.

Com’è stata contattata per la parte?
In realtà, era risaputo che la Golden fumava molto e dunque la mia presenza non è mai stata in discussione.

Sulla figura di LaVona Golden si sono spesi fiumi d’inchiostro, talmente tanti che è difficile stabilire esattamente cosa sia vero e cosa no. Lei che idea si è fatta in merito?
Non è facile dirlo. Nonostante i tentativi di Steven Rogers, lo sceneggiatore del film, LaVona non ha voluto partecipare in nessun modo al progetto, né rilasciando interviste né collaborando alla realizzazione del suo personaggio. Tutto quello che vediamo sullo schermo di lei è il risultato di una ricostruzione fatta incrociando le dichiarazioni, spesso contraddittorie, della stessa Tonya, che con la madre non ha più nessun tipo di rapporto, e di Jeff Gillooly, l’ex marito della Harding. Io preferisco astenermi da rilasciare un giudizio.

Ha parlato di “ricostruzioni contraddittorie” e ha citato direttamente la Harding e Gillooly. Questo perché il film è tutto basato su due interviste rilasciate alcuni anni fa che, stranamente, sono molto in contrasto tra loro. É stato complesso realizzare una pellicola su queste basi?
A dirla tutta, sì e no. Sì perché sull’intera carriera di Tonya ci sono delle delle stranezze e delle vicende che nemmeno lei è capace di chiarire con certezza. No perché, come ha detto lo stesso Rogers, l’ambiguità poteva essere un punto di forza, uno spunto interessante da cui partire. Del resto, quando si parla di figure così discusse è quasi impossibile essere fedeli e su tante cose non ci si può esprimere. Non a caso, la visione inizia con questo appunto: “Tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gilooly”. Questo è forse uno degli aspetti più importanti, perché aggiunge verosimiglianza al biopic mantenendo l’inevitabile dubbio di fondo (che ci sarebbe stato comunque) e permette di concentrarsi su altri aspetti. Tuttavia, gli avvenimenti ci sono tutti e, dove possibile, sono narrati in maniera precisa.

I due protagonisti, Tonya e Jeff, sono interpretati da due pesi massimi di Hollywood: Margot Robbie e Sebastian Stan. Lei che li ha visti da vicino, come giudica la loro performance?
Sorprendente, per quasi gli stessi motivi. Dopo averli visti entrambi nei Cinecomic era difficile prevedere una simile performance. Invece, questa Robbie non ha niente in comune con la folle Harley Quinn di Suicide Squad: riesce ad annullarsi completamente nel personaggio, a riemergere e a darne la personale interpretazione, senza scendere nella mitizzazione ma mostrandone tutti gli aspetti, negativi e positivi. Specialmente, è straordinario il lavoro di trucco e di preparazione fisica che ha fatto per calarsi nel ruolo. In certi momenti, si stenta perfino a riconoscerla. Stesso discorso per Stan, che avevamo visto nel Marvel Cinematic Universe nei panni di Bucky Barnes, il Soldato d’Inverno. Ci fa vedere quest’uomo a tratti violento, a tratti inetto, a tratti follemente innamorato e buono, facendolo diventare una figura per cui riesci a provare odio e pietà al tempo stesso.

Non per nulla, la Robbie ha ottenuto una nomination all’Oscar per questa sua interpretazione. Ma quella che è riuscita ad aggiudicarsi la statuetta è stata Allison Janney, con cui lei ha lavorato a stretto contatto. Col senno di poi, come valuta il suo lavoro?
Sublime, senza dubbio. Tra tutti, era quella che aveva la parte più difficile, sia per le lacune dello script che accennavo prima sia per il fatto che stiamo parlando di una madre, una figura sempre complessa da interpretare. Soprattutto in questo caso, visto che abbiamo a che fare con questa mamma odiosa, che maltratta la figlia di continuo, attraverso soprusi verbali e fisici, che è perfino responsabile della sua solitudine e del suo isolamento. Ma è anche quella che si svegliava tutte le mattine per portare Tonya agli allenamenti, che pagava per permetterle di seguire le lezioni e che l’ha spronata a dare sempre il meglio. Avrà rovinato la sua vita, però le ha anche permesso, proprio per questo, di vivere anni sotto i riflettori e di essere considerata, per un breve periodo, la più grande pattinatrice vivente. Allison ha restituito completamente questa tremenda ambiguità, che è anche il senso nascosto del film.

In effetti, è uno degli aspetti più sorprendenti della pellicola…
E aggiungo io: la Harding è stata la prima americana ad eseguire un Triplo Axel in una gara ufficiale, il salto più difficile e pericoloso del pattinaggio, un salto che pochissime atlete sono in grado di fare e ancora oggi solo alcune ne sono capaci.

Spieghiamo, per i nostri lettori, cos’è il Triplo Axel. Prende il nome dal suo inventore, il norvegese Axel Paulsen, e si esegue partendo in avanti sul filo esterno della lama del pattino, una lama spessa 1 millimetro, con la gamba sinistra che si distende e fornisce la spinta necessaria per eseguire tre rotazioni e mezzo in aria. Durante la fase del salto, le braccia e le gambe stanno il più vicino possibile all’asse di rotazione del corpo per permettere alla velocità di aumentare e per riuscirci correttamente si deve atterrare con la gamba opposta, il filo destro indietro esterno.
La sua spiegazione fa capire quale sia la difficoltà di questa figura. Non a caso, nel film è stato realizzato con degli effetti speciali.

Ma quindi, visto che la Harding è riuscita a replicare il Triplo Axel più volte, come mai la sua carriera non è mai decollata come avrebbe meritato?
É una faccenda molto complessa, che il film cerca di sviscerare nel dettaglio. Di sicuro, c’entra la vicenda di Nancy Karrigan, di cui ancora nessuno sa come sia andata veramente. Poi anche il fatto che Tonya aveva diversi problemi personali e che non incarnava l’ideale figura della pattinatrice, la tipica versione di questo sport che, all’epoca e tutt’ora, tutti cercano di mostrare al mondo, in particolare in America: l’immagine di una famiglia felice. In questo senso, il film può essere visto come una versione realistica e al contrario del famoso “sogno americano”: una persona che davvero, partendo da umili origini e attraverso il talento, è riuscita ad essere la più grande pattinatrice del mondo ma che, proprio per le sue origini, non è stata in grado di durare, un po’ per colpa sua e un po’ per il pubblico, i media e l’America stessa, che aveva in odio la stessa umile provenienza che in altri casi aveva idolatrato. C’è una scena precisa dove questo è evidente: sul finale, dove Tonya si guarda allo specchio e mostra un sorriso forzato, quasi inquietante.

 

Di Elia Munao’

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