Escile! Ma come e quando lo dicono loro

DONNE: VITTIME DI STRUMENTALIZZAZIONE SESSUALE NELLA PRIGIONE MEDIATICA DEL 21ESIMO SECOLO

Allattare un bambino in uno spazio universitario non si può. Perché? Potrebbe urtare la sensibilità degli studenti. Così Olha Zdyrko, una giovane mamma di Parma, è stata invitata dalla vigilanza ad abbandonare gli spazi dell’università mentre allattava il figlio appena nato. Allo stesso modo qualche giorno fa è stato impedito a un’imprenditrice e mamma di entrare al Cibus – il 19esimo salone internazionale dell’alimentazione che si è tenuto nei giorni scorsi a Parma –  solo perchè portava in braccio con sè una neonata.
Dovrebbero stupirci questo genere di notizie nel 2018, no? Beh, a me non stupiscono affatto. Certamente negli anni siamo andati incontro a grandi progressi; ma se abbiamo inventato macchine intelligenti ma non ancora sensibili è forse perché noi per primi non siamo in grado di sorpassare un modello mentale antiquato, che sminuisce la donna ad ‘oggetto’ sessuale.

Viviamo in una società che confina la donna alla sua immagine corporea, mettendone spesso in secondo piano l’identità. È per questo che un gesto naturale come l’allattamento, che non dovrebbe generare alcuno scalpore, viene visto come fuori luogo. Il seno è immediatamente collegato alla sfera della sessualità. Stando a questa logica, una donna, seppur madre, rimane una donna e in quanto tale ha il dovere di coprirsi per evitare di suscitare pensieri o reazioni indecorose in chi le sta intorno. Ma la malizia è negli occhi di chi guarda o nel corpo di una donna? Come può una madre chiedere il diritto d’essere madre? A essere ciò che è?

Ci scandalizza tanto l’immagine di una madre che allatta il figlio e non l’immagine di una donna seminuda a fianco di un’automobile o di una velina in televisione. Lorella Zanardo nel suo documentario ‘Il corpo delle donne’ afferma: “(La donna in televisione è) ridotta e autoridottasi ad oggetto sessuale, impegnata in una gara contro il tempo che la costringe a deformazioni mostruose, costretta a cornice muta o assurta al ruolo di conduttrice in trasmissioni inutili dove mai è richiesta la competenza.” Secondo una ricerca Censis del 2006 dal titolo ‘Donne e media in Europa’ infatti “Il ‘tema’ al quale la donna è associata (in tv) si rivela particolarmente significativo: è rappresentata prevalentemente in rapporto al tema ‘moda/spettacolo’ che se associato al tema ‘bellezza’ raggiunge una percentuale schiacciante (38%) rispetto all’associazione a temi come cultura (6,6%), disagio sociale (6,8%) realizzazione professionale (2%) e politica (4,8%).”

È vero infatti che anche negli ambiti lavorativi di rilievo, come la politica o il giornalismo, alle donne viene dato sempre meno spazio. Più cosce e meno voce: questa la richiesta di mercato dominante. Non sia mai poi che una donna voglia essere sia madre che lavoratrice. O l’una o l’altra.
Vittime di colloqui di lavoro ingiusti, che invece di analizzare le loro qualità professionali investigano sui loro propositi futuri di procreazione. Bloccate in una società volta al profitto che si rifiuta di pagare la maternità. Ma soprattutto prigioniere di una strumentalizzazione mediatica che le confina ad essere un fondoschiena e due tette, che le priva di un’identità forte per ridurle a una ‘bella presenza’.

Se, come credo, questa consapevolezza sia ormai diffusa, perché non cambiamo? Perché in realtà all’Italia questa immagine di donna piace. E non pensiate che piaccia solo agli uomini. Ci sono molte donne che aspirano, si ritrovano, si piacciono in questi sterotipi. Per fortuna non tutte. L’Italia appare così – secondo la definizione del Censis – un Paese in resistenza, “come se la rappresentazione stereotipata della donna fosse un tratto antropologico fortemente radicato su cui non vale la pena avviare politiche evolutive”.

 

di Yara Al Zaitr

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