Ma cosa diceva sui giovani il famoso contratto di governo?

UN'ANALISI SULLE 57 PAGINE DI CIO' CHE AVREBBE POTUTO ESSERE, SENZA CONTROPROVA

Tre ormai i mesi passati da quel fatidico 4 marzo, più di 80 i giorni in cui l’Italia ha atteso, vanamente, un governo. Fra rassicurazioni e marce indietro, sembravamo avercela fatta con il famoso contratto. “Abbiamo consegnato il nostro destino e quello del Paese a Mattarella. Non c’è niente di campato per aria, guardiamo avanti” confermavano con fierezza le parole di Salvini prima che saltasse tutto.
Ma fra reddito di cittadinanza, legge Fornero e Flat tax, in quel “guardiamo avanti” quale spazio veniva dato ai giovani? Cosa abbiamo perso o guadagnato con la decisione di Mattarella?
Un’analisi delle cinquantasette pagine che potevano essere, ovviamente senza alcuna controprova.

Per quel che riguarda noi studenti, a spiccare erano i temi incentrati sul lavoro. Introduzione di un salario minimo garantito per legge, in base al quale ogni ora del lavoratore non avrebbe potuto essere retribuita al di sotto di una certa cifra. Stop (grazie a Dio) all’apprendistato gratuito per le libere professioni, superamento di alcune misure introdotte dal Jobs Act al fine di “costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro.” Per quel che riguarda il lavoro accessorio, nella bozza si leggeva che “la cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile”, la cui sostituzione con contratti di lavoro a chiamata o libretti di famiglia ha reso più complesso il ricorso a tale tipologia di impiego. Pertanto, “occorre porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un’apposita piattaforma digitale per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio.”  Nessun altro accesso sul nuovo strumento, mentre veniva definito l’obiettivo: “Assicurare ai nostri giovani l’accesso al mondo del lavoro”. Per questo 2 miliardi di euro sarebbero stati destinati al potenziamento dei centri per l’impiego e ai percorsi di formazione lavorativa per “scommettere sul futuro e valorizzare il merito e la ricerca.”

Previsto un nuovo impulso alla creazione di nuove figure professionali nell’ambito delle scuole superiori e dell’università e all’introduzione di formazioni di tipo tecnico professionale al fine di indirizzare i giovani verso attività manuali, tecniche e artigianali. Un cambiamento era previsto anche per il settore turistico, con “il riordino della professione di guida turistica e una trasformazione degli Istituti Alberghieri Statali verso la forma dei college specialistici (sul modello svizzero e francese)” e la decontribuzione, per i primi due anni, per le imprese turistiche che assumono giovani.

Accanto alla questione del lavoro, nonché direttamente collegate, ecco le problematiche relative all’istruzione, alla scuola e all’università. Si cominciava con un bel concetto teorico, “la buona qualità dell’insegnamento, fin dai primi anni, rappresenta una condizione indispensabile per la corretta formazione dei nostri ragazzi” e si proseguiva con un concetto che, se possibile, ci sta ancora più a cuore. Ancora oggi infatti, dopo tante lotte e diatribe che hanno visto come protagonisti gli stessi studenti, molti ragazzi non sono liberi di decidere se frequentare o meno un percorso di studio universitario. Non per voglia, non per volontà, ma per mancanza di possibilità economiche. E nel 2018 queste carenze non dovrebbero essere neanche solo pensate. Ecco allora un altro principio giusto ma teorico: “A tutti gli studenti deve essere garantito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini”

Un ultimo punto, ma non per importanza vista la straordinaria notorietà conquistata, riguardava il tanto discusso reddito di cittadinanza. Cavallo di battaglia della campagna elettorale del M5S, sarebbe stato vincolato ad una vivace attività nella ricerca del lavoro. 780 euro di reddito base mensile avrebbero dovuto essere elargiti alle persone in stato di disoccupazione o di grave bisogno, proporzionato sulla base del nucleo familiare, per una spesa totale di 17 miliardi annui. Una cifra probabilmente troppo bassa per far fronte alle esigenze di ognuno, ma che avrebbe già dovuto fare i conti con la grande difficoltà di coperture economiche.

E forse, proprio in quelle coperture sono nati i tentennamenti del mercato che hanno allarmato e poi convinto Mattarella a far saltare il banco. Giusto per il presidente della Repubblica valutare anche i condizionamenti economici per una scelta così difficile. Ma quando verrà valutato il voto degli elettori?

 

di Nicole Bianchi 

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