Il lavoro che non c’è: tra assunzioni, sostegno all’occupazione e “costosissimi licenziamenti”

LUCI E OMBRE IN UN PANORAMA ANCORA IN CRISI, ALL'ORIZZONTE UNA TIMIDA RIPRESA?

LavoroFalcidiato da ripetute crisi di liquidità, mancate riforme e contratti che vanno sempre più nella direzione del precariato, il mondo del lavoro è molto cambiato da un quinquennio a questa parte. Molte persone, tra cui tantissimi giovani, non riescono a trovare un’occupazione stabile e decidono di emigrare all’estero o di smettere una ricerca che si dimostra, nella maggior parte dei casi, vana, pesando sempre di più sulle spalle dei familiari. Anche se il percorso è irto di difficoltà, un piccolo cambio di rotta sembra essere all’orizzonte per quanto riguarda il parmense e lentamente si stanno approntando gli strumenti per superare questo momento nero per la società italiana.

 

DATI ALLA MANO – Un segnale positivo è stato registrato dal rapporto dell’Osservatorio del Mercato del lavoro (Oml) presentato a fine novembre dalla Provincia di Parma. Nel secondo trimestre 2014 sono infatti aumentate a 17.919 le assunzioni (+2,8% a livello congiunturale). A registrare l’incremento sono i settori chimico e farmaceutico e l’impiantistica alimentare.
Tali dati positivi non compensano però le cessazioni di lavoro determinando un saldo che rimane negativo con una perdita di 323 unità rapporti di lavoro dipendente.
Secondo le previsioni elaborate dai dati di Unioncamere Emilia-Romagna e Prometeia ammontano a quasi 17mila i disoccupati in provincia di Parma nel 2014, mentre un calo di tendenza è previsto forse solo per il 2015. I dati definitivi sulla disoccupazione nella nostra provincia nel 2013 registrano comunque migliori risultati rispetto alla media nazionale (7,5% contro 12,2%). 
Le statistiche Istat mostrano infatti che già nel 2013 le assunzioni a tempo determinato nel parmense sono cresciute del 6,4% mentre nel 2012 avevano conosciuto una caduta pari all’11,6%. Per contro, le assunzioni a tempo indeterminato, aumentate del 10,9% nel 2012, hanno conosciuto un calo del 13,3% nel 2013. Nello stesso anno però si sono persi 884 rapporti di lavoro a tempo determinato, mentre la variazione dei rapporti a tempo indeterminato è stata modestamente positiva (162 unità).
Sempre nel 2013 nella nostra provincia il tasso di occupazione totale (15-64 anni) è aumentato di 13 punti percentuali rispetto a quello nazionale (55,6%) e di due punti rispetto a quello regionale (66,8%). Ancora più favorevole risulta l’occupazione femminile (15-64 anni), dove Parma (63,3%), rispetto ai dati nazionali (46,5%), è distante 17 punti percentuali e supera significativamente la media regionale (59,6%). La provincia risulterebbe quindi la seconda italiana per tasso di occupazione totale e per tasso di occupazione femminile nell’anno 2013, superata in entrambi i casi solo da Bolzano.
Rimane comunque alta la percentuale relativa alla disoccupazione giovanile (15-24 anni) attestata nel 2013 al 22,8%. Anche per quanto riguarda le nuove assunzioni del mercato del lavoro dipendente registrate nel secondo trimestre 2014, c’è un aumento che riguarda la fascia giovanile ma, in termini congiunturali, queste crescono meno di quelle degli adulti (0,9% contro 3,0%).

Occorre però registrare un dato particolare: il record di 23.474 nuovi ‘patti di servizio’ attivi al 30 giugno 2014 stipulati dai Centri per l’impiego della Provincia di Parma.

 

DisoccupazioneC’ERA UNA VOLTA L’UFFICIO DI COLLOCAMENTO – In questa rete intricata di dati, segnali positivi e non, è facile entrare in confusione e scoraggiarsi. Realtà come i Centri per l’impiego e i patti di servizio sono però utili strumenti a disposizione di tutti coloro che sono alla ricerca di un lavoro. I centri sono le strutture eredi del vecchio ufficio di collocamento, dipendenti dalla Regione, che forniscono a livello provinciale servizi e propongono interventi personalizzati a sostegno dell’occupazione.
Ma in che modo operano concretamente?
Quando ci si reca in un centro per l’impiego si trovano a disposizione operatori specializzati con cui affrontare colloqui individuali. In base alle precedenti esperienze lavorative e alle proprie competenze vengono definiti dei servizi finalizzati ad aiutare un disoccupato a trovare al più presto un nuovo impiego. Il patto di servizio, quindi, è un vero e proprio accordo che lavoratore e centro stringono e che prevede anche il diritto di ricevere un aiuto economico elargito nel periodo in cui si sta attivamente cercando una nuova occupazione. Come ogni accordo, ci sono anche delle regole da rispettare, pena la perdita delle prestazioni economiche. In particolare il patto prevede la frequentazione di un corso di formazione, con una presenza di almeno l’80% del monte ore complessivo del corso, che può essere suggerito dal centro per l’impiego o individuato dal lavoratore. Per sottoscrivere il patto e avere accesso a un Piano di Azione Individuale, all’interno del quale sono contenute tutte le azioni da intraprendere per ottenere l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro, occorre rivolgersi al centro per l’impiego presso cui si è residenti o domiciliati.

 

QUANDO IL LAVORO C’E’ MA ASSUMERE NON E’  FACILE – E se parlando del difficile accesso al mondo del lavoro è senza dubbio la crisi a determinare livelli di disoccupazione, ma non bisogna scordare che la recessione non ha messo in ginocchio tutte le aziende.
E’ questo, ad esempio, il caso della ‘Staff Antincendi’ di Parma, ditta a conduzione familiare che, nata nel 1986, non mai smesso di incrementare il numero dei propri dipendenti. La titolare, Angela Amenta, ha idee molto precise: “Un numero così alto di esuberi non è determinato solo dalla crisi ma soprattutto dal fatto che nel passato, quando il lavoro non mancava e i margini erano dunque molto larghi, si è assunto troppo. Ci si poteva permettere di pagare dei dipendenti non strettamente necessari e non si è mai pensato che un giorno le cose sarebbero cambiate”.
Ma cosa potrebbe oggi aiutare gli imprenditori ad assumere di più? La risposta può sembrare paradossale: “Più libertà di licenziare”. Amenta spiega che poter licenziare chi è disonesto, pigro o semplicemente non adatto alle mansioni (il 50% delle persone, secondo la sua esperienza) è fondamentale per un imprenditore: “Forse una volta era possibile ma oggi, se non posso licenziare gli incompetenti, non ho i margini per assumere chi invece lo è e può con il suo lavoro far crescere un’azienda”.
Licenziare un dipendente, anche se si dimostra carte alla mano che lo si fa per giusta causa – spiega Amenta – è costosissimo perché la giustizia italiana riconosce sempre un risarcimento al lavoratore a prescindere dal motivo per cui si licenzia e i sindacati, che in altri stati hanno il prezioso compito di far collaborare azienda e lavoratori, in Italia pensano solo a difendere il lavoratore sempre e comunque”.
Uno scenario inusuale: “Immaginiamo per un attimo che le aziende che non sono in crisi fossero libere di licenziare chi vogliono: credo che ci sarebbero licenziamenti in massa di persone incompetenti, soprattutto over 50 che si sono adagiati sugli allori del posto fisso, e assunzioni di giovani che, se sono produttivi, nessun imprenditore avrà mai interesse a licenziare”.
Altro problema noto è quello del costo del lavoro: “Nel mio mondo ideale nessun tipo di lavoratore dovrebbe essere retribuito meno 1500 euro al mese, ma ciò non è possibile perché del costo di un dipendente per un imprenditore, solo un terzo è rappresentato dallo stipendio netto, il resto è tasse. Ovviamente tali costi scoraggiano nuove assunzioni”.
A conti fatti Amenta si dichiara scettica sul futuro italiano: “Dopo tante promesse, le riforme di Renzi cambieranno ben poco, è tutto fumo. Il concetto sbagliato è quello di voler equiparare l’Italia agli altri paesi nella forma quando la sostanza è marcia. Per fare un esempio, si vogliono riconoscere al dipendente 36 mensilità dopo il licenziamento, che va benissimo, ma in Italia il sistema giustizia e sindacati, sommato alla disonestà personale ed alla burocrazia, trasformerebbe una tutela in un diritto acquisito per tutti indistintamente: “E chi assumerà più con il rischio di dover pagare cifre del genere!”.

 

di Andrea Cammarata, Adriano Arganini, Paola Cavallo, Giulia Campisi

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