Alberto Bevilacqua, una raccolta di scatti ritrae un narratore a tutto tondo

IN MOSTRA LE FOTO DI A. DE DONATO PER DARE NUOVA LUCE AL CINEMA DELL'AUTORE PARMIGIANO

Un omaggio ad Alberto Bevilacqua non solo come scrittore e regista ma come personalità artistica a tutto tondo. E’ questo il senso ultimo della mostra fotografica ‘Anni 70: omaggio ad Alberto Bevilacqua‘ inaugurata il 15 novembre e allestita fino al 1 dicembre al Centro Cinema Lino Ventura di Parma, complice Parma Film Festival. L’esposizione raccoglie una serie di foto scattate negli anni ’70 da Agnese De Donato – nota fotografa, giornalista e fondatrice della rivista femminista Effe e della libreria Al Ferro di Cavallo, deceduta l’anno scorso nella capitale – e rappresentano una dedica al celebre intellettuale parmigiano. In occasione dell’incontro che ha inaugurato la mostra, i presenti sono stati resi partecipi in particolar maniera della produzione cinematografica di Bevilacqua e dei racconti del critico cinematografico Filiberto Molossi e di Paola Lorenzoni, attrice e autrice teatrale, oltre che intima amica della De Donato a cui si deve la donazione dei suoi scatti.

ANNI ’70: OMAGGIO AD ALBERTO BEVILACQUA – Introducendo l’incontro, l’assessore alla Cultura, nonchè docente di cinema all’Università di Parma, Michele Guerra ha introdotto gli spettatori alla produzione cinematografica del parmigiano Bevilacqua, che potremmo definire un intellettuale a tutto tondo. “E’ stato uno di quei grandi narratori che hanno saputo muoversi su mezzi d’espressione differenti. Si ricorda soprattutto per la sua produzione letteraria ma ha saputo fare film molto personali; si è confrontato con attori molto importanti e ha saputo scavare nella loro psicologia, nel loro modo di porsi all’interno del linguaggio cinematografico, che ha cercato a suo modo di costruirsi provenendo da un altro media”.

Insieme alla sua testimonianza diretta sull’autrice delle foto, Paola Lorenzoni ha realizzato un contributo video: una raccolta di scene tratte dai film di Bevilacqua e di molte interviste, con materiale d’archivio dalle Teche Rai, in cui recita le sue poesie, commenta le critiche che gli son state mosse e parla di sé, di quel che ha visto e provato durante quegli anni della sua carriera. Da poeta e scrittore, come molti altri (citando i più noti, Pierpaolo Pasolini, Luigi Malerba, Attilio Bertolucci), si è reinventato come regista e sceneggiatore; e proprio i set di ‘La Califfa’ e di ‘Questa specie d’amore’, film tratti dagli omonimi suoi primi successi letterari, sono i protagonisti delle immagini scattate da De Donato. Sono ritratti intimi nonostante immagazzinino entro i loro bordi più volti e corpi, sia quelli che mostrano un Alberto Bevilacqua nell’informalità del suo appartamento, sia nei set mentre parla con Romy Schneider, Ugo Tognazzi, Jean Sebarg e Fernando Rey. Da essi trapela il rapporto che il regista sapeva instaurare con gli attori, intento a trarre da loro la drammaticità che caratterizza le sue pellicole. Ne è un esempio Ugo Tognazzi, attore che aveva sempre ricoperto ruoli comici e che in  ‘La Califfa’ interpreta il personaggio di Annibale Doberdò.
Le foto, per volere della stessa autrice, hanno una cornice leggera e bianca, dei “passepartout per farle volare”, stando alla testimonianza di Lorenzoni. L’attrice si è inoltre esibita cantando e recitando sulle note di ‘La Califfa’ di Ennio Morricone, la musica composta per l’omonimo film di Bevilacqua.

La speranza che accompagna la mostra è quella di donare nuova luce e rilevanza alle opere dell’intellettuale parmigiano, morto a Roma il 9 settembre 2013. Bevilacqua è noto soprattutto per la sua produzione poetica, per aver vinto il Premio Campiello con il romanzo ‘Questa specie d’amore’, il Premio Strega con ‘L’occhio del gatto’ e per la candidatura alla Palma d’Oro al 24° Festival di Cannes con ‘La Califfa’.
Nonostante ciò, come ha sottolineato Filippo Molossi nel suo intervento, il cinema di Bevilacqua “è stato un po’ dimenticato”, o meglio “viene trattato in maniera distratta”, quando in realtà ha lasciato dei segni molto profondi, “un’influenza che va oltre il valore che gli è stato dato“. Il critico ha avuto anche modo di conoscerlo personalmente e lo ha ricordato come una persona che si portava dentro una malinconia inesauribile, nonostante il successo e i tanti riconoscimenti della sua carriera. Forse perché “se non c’è dolore non ci sono storie da raccontare“, suggerisce Molossi. Era quella stessa malinconia che, una volta trasferitosi a Roma, Bevilacqua riversava nelle ore in cui durante la sera poteva “scrivere per sé” e non più per gli altri.
In questa immagine intima c’è tutta la dimensione dell’uomo Bevilacqua, uno tra i grandi narratori contemporanei, oltre che un regista e un poeta. Ed è proprio il ricordo di un artista che ha saputo raccontare a tutto tondo il nostro tempo, che la mostra al Centro Cinema Lino Ventura vuole celebrare.

 

di Violetta Longhitano 

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