Lo studente fuorisede #1

IL VIAGGIO

Stefano FrungilloPer il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l´universo è pari al suo smisurato appetito.
Com´è grande il mondo al lume delle lampade!
Com´è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!
Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s´allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!

C. Baudelaire: “Il Viaggio”

Studenti Fuorisede nella storia:
Papa Clemente V: Fuorisede ad Avignone.
Gutenberg: Inventa la stampa per necessità:gli amanuensi impiegavano mesi per una dispensa e lui era diventato fuori corso.
Robin Hood: Studente fuorisede ad Harvard i cui genitori non potevano piu mantenere.
Buddha nella sua tipica espressione di beatitudine: Studente fuorisede dopo la consegna della tesi al proprio relatore.

Contrariamente a quello che si può pensare, essere studenti fuorisede del XXI secolo non è più semplice di quanto non fosse molti anni prima. Tutto ciò con cui lo studente fuorisede (S.F.) avrà a che fare nella vita di tutti i giorni appartiene a molti anni prima di lui: le case vecchie e sgarrupate (trascurate, alla napoletana maniera), i materassi singoli (che erano materassi negli anni ‘70 adesso ne sono il vago ricordo), il pentolame vecchio con graffiti sulla parte anti aderente che neanche gli uomini di Cro Magnon nelle caverne e le caldaie mai fatte revisionare. Quindi, i gelidi inverni che per S.F. del sud a Parma cominciano già a metà settembre, per S.F. del nord in concomitanza con la neve, verso Febbraio.

Due sono le frasi che un diciottenne sente timore a dire ai propri genitori: “Sono gay” e “Voglio studiare fuoriquestacittànonmimeritanonmicapiscemisentochiuso/a”.
Lo studente fuorisede passa indenne il battesimo, la comunione e la cresima fino a che qualcosa comincia a scricchiolare all’ultimo anno delle superiori. I sintomi sono: irrequietezza, esser più buoni con chi già lo si è “perche poi me ne vado”, esser più stronzi con chi si è sempre sognato di farlo “tanto poi me ne vado cazzo mene (o chissene), acuire la propria osservazione e vedere tutto ciò che succede con gli amici in slow motion come se fosse l’ultima gioia della vita, pensare come faranno senza di te, ore e ore passate su Google Maps per controllare le vie, affiancare ai dati universitari di tal città la vita notturna della medesima città.

Il volto spaesato di S.F. dei primi mesi nasconde più di quanto non faccia trasparire: discussioni, conti fatti in cucina coi genitori a cercar di farli quadrare, ore al telefono con le persone che si è dovuto lasciare, buoni propositi e promesse mal mantenute.
I genitori non capiscono e mai capiranno che essere studente fuorisede è la crociata del XXI secolo. Si parte per un ideale e per quell’ideale si accetta la lontananza da casa, si accettano gli eventi che cercheranno di scrollarci la fede da dosso, solo chi crede davvero tornerà vittorioso alla propria Itaca.
Perché essere studenti fuorisede è come praticare Parkour, saltare da un cornicione ad un altro restando a mezz’aria, con l’adrenalina che riempie le vene e rimbomba nelle orecchie, sospesi nel vuoto spetta a noi decidere se superarlo. È come essere l’anello mancante dell’evoluzione Darwiniana tra il ragazzo che si è e l’uomo che cerchiamo di diventare.
P.s. Nessuna immagine di Maps può eguagliare la prima volta che si osserva tutta via D’Azeglio dall’alto del Ponte di mezzo.

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