Ila Bêka: l’architettura riscoperta attraverso il cinema

IL REGISTA HA PRESENZIATO ALLO CSAC PER LA RASSEGNA 'LIVING ARCHITECTURES'

Quando era ancora uno studente di architettura Ila Bêka ha capito che c’è qualcosa di sbagliato nei documentari che ne parlano: pomposi e retorici, lodano con enfasi le meraviglie degli edifici, ma sono terribilmente noiosi. Ecco perché, una volta laureato, ha deciso che il modo migliore per esprimersi come architetto era farlo attraverso il cinema. Ai suoi lavori ‘Living Architectures’, realizzati con Louise Lemoine e acquisiti dal MoMA nel 2016, l’Abbazia di Valserena, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Parma e lo CSAC, ha dedicato una rassegna nell’estate-autunno del 2018. Alla serata finale del 17 novembre, evento collaterale del parte del Parma Film Festival, ha partecipato anche il regista, ospite di una tavola rotonda al termine della proiezione del suo ultimo film.

Immagine di 'Moriyama San'

Immagine di ‘Moriyama San’

L’ARCHITETTURA MESSA ALLA PROVA – Ila Bêka e Louise Lemoine sviluppano la propria poetica dall’idea che per conoscere un’edificio è interessante vedere come esso viene vissuto, cioè capire se uno spazio è armonico dalla prospettiva di chi lo occupa quotidianamente. Il personaggio più famoso dei loro film è Guadalupe, la cameriera protagonista di Koolhaas Houselife, che svela tutti gli aspetti più impensabili della Casa di Bourdeaux di Rem Koolhaas, una delle opere architettoniche contemporanee più rappresentative. Guadalupe non parla della magnificenza del luogo, nei termini in cui potrebbe farlo un teorico dell’architettura, ma racconta con semplicità come vive soprattutto le sue criticità (infiltrazioni, spifferi e così via). Perché per capire se un’opera è riuscita oppure no, secondo i due registi, è importante mostrarne anche i difetti. L’ultimo film di Bêka e Lemoine è dedicata a Moriyama San e alla sua abitazione, realizzata nel 2005 nel cuore di Tokyo, dall’architetto Ryue Nishizawa. Lo spettatore sonda progressivamente il complesso di cubicoli abitativi attraverso il dialogo tra i movimenti di Moriyama, seguito nelle sue attività quotidiane, e l’occhio della camera da presa, che li penetra indiscriminatamente. L’esplorazione dello spazio non avviene con uno sguardo totalizzante, ma per gradi, rispecchiando la poetica dei due registi, il cui intento è mettere l’architettura alla prova. Essa non deve seguire un ideale estetico a sé, ma essere scandagliata nei suoi utilizzi quotidiani, provocando e allo stesso modo essendo provocata dal suo abitante.

Ila Bêka all'Abbazia di Valserena

Ila Bêka all’Abbazia di Valserena

UN CINEMA UNIVERSALE – L’Ordine degli Architetti di Parma ha dedicato ai due registi la rassegna per parlare e diffondere la cultura dell’architettura. Perché capire la funzionalità degli edifici contemporanei è un modo per veicolarne il valore, al di là dei manuali tecnici. Per i professionisti, come per gli studenti, quest’ottica può essere rivoluzionaria nella progettazione, ma anche nella diffusione degli ideali che l’architettura oggi intende promuovere. Ecco perché scegliere di indagare il rapporto tra lo spazio e il suo abitante amplifica il potenziale dei film di Ila Bêka e Louise Lemoine, mostrando allo stesso tempo come nella sua universalità il linguaggio del cinema non ha limiti. Superare la fredda descrizione degli ambienti, per sondare le emozioni di chi li abita, rivela che questi film etichettati come ‘documentari di architettura’ sono in realtà strumenti per parlare non solo delle sue creazioni, ma dell’essere umano in quanto tale. Valicano barriere linguistiche o culturali perché testimoniano come l’Uomo crei e modifichi la realtà attorno a sé secondo leggi razionali, estetiche, etiche o totalmente irrazionali. Ma allo stesso tempo mostrano che in fin dei conti i suoi bisogni sono gli stessi da migliaia di anni. E questo cinema dimostra di avere intatte le proprie facoltà estetiche per esprimerlo.

 

di Duna Viezzoli

Riprese e montaggio di Marco Rossi

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