Bernardo Bertolucci: una vita da premio Oscar
FRANCESCO BARILLI, SIMONE CAGOZZI E MICHELE GUERRA RICORDANO IL REGISTA E IL SUO GENIO RIVOLUZIONARIO
“Bernardo Bertolucci era un genio assoluto, a 23 anni aveva già scritto la sceneggiatura di ‘Novecento‘”, ricorda il suo amico e collega Francesco Barilli. Uno degli ultimi maestri del cinema dello scorso secolo si è spento il 26 novembre a 77 anni nella sua casa di Roma, dopo una lunga malattia. I suoi film hanno segnato un’epoca e viene ricordato come “l’ultimo imperatore del cinema”, dal film per il quale venne premiato agli Oscar nel 1987.
GLI ESORDI – Bertolucci nacque a Parma nel 1941, da una famiglia colta e rinomata, tra il padre Attilio poeta e il cugino Giovanni produttore. A Casarola, piccolo paesino dell’appennino emiliano, fece i suoi primi passi da regista: “All’epoca sedicenne, gira i primi cortometraggi con una telecamera 16 mm che gli era stata regalata da mio nonno al ritorno dal Venezuela. Gli ‘attori de ‘La Teleferica’ erano Giuseppe (fratello di Bernardo nda), mia mamma e mia zia”, ricorda suo cugino Simone Cagozzi. Inizialmente seguì la strada paterna frequentando la facoltà di lettere alla Sapienza, ma dopo poco tempo decise di coltivare la sua vera vocazione, il cinema. Iniziò facendo da assistente a Pier Paolo Pasolini in occasione del suo primo film, l’ ‘Accattone’ del 1961, ma già un anno dopo esordì alla regia con ‘La Commare Secca’, cui fece seguito nel ’64 ‘Prima della Rivoluzione‘ con Francesco Barilli e Adriana Asti, prima moglie di Bernardo. Proprio Francesco Barilli racconta un particolare retroscena di questo film: “Aiutavo Bernardo nella ricerca dell’attore protagonista, ma lui non era convinto. Ad un certo punto, dopo quattro mesi, venne da me e mi fece leggere una poesia di Pasolini. Io la lessi, e il giorno dopo andammo in treno a Roma. Dopo un breve provino mi disse che sarei stato il protagonista del film. Io nella mia follia, pur essendo all’epoca un pittore, decisi di accettare”.
Già allora, a soli 22 anni, si notava come fosse un talento fuori dalla norma: “Era soltanto il suo secondo film, ma per il modo di girare sembrava un regista affermato. Non si limitava a fare le cose semplici, se le complicava con inquadrature particolari e repentini movimenti di macchina. Inoltre, sul set diventava molto serio, si scherzava poco”. In quella pellicola era chiara l’idea innovativa e rivoluzionaria del cinema di Bertolucci: concentrarsi sull’individualità delle persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, sia a livello esistenziale che politico. Talmente innovativo che venne disertato dal pubblico e tiepidamente recensito dalla critica italiana, ma accolto entusiasticamente da quella straniera. “Ancora non riesco a capire come Bernardo sia riuscito a convincere gli americani a finanziare i suoi film. In periodo di guerra fredda, tutte quelle bandiere rosse e i richiami alle rivolte del popolo. O i produttori non avevano capito i copioni, oppure Bernardo era veramente un genio”, commenta Francesco Barilli. Oggi, invece, è considerato un film anticipatore della contestazione del Sessantotto, i cui temi ricorrono in altri pellicole come ‘Partner’, ‘La strategia del ragno’ e ‘Il conformista’.
LA RIBALTA INTERNAZIONALE – Dopo ‘Il Conformista’ inizia un periodo di grande proficuità e notorietà nell’ambiente del cinema italiano. Lo stesso Barilli ricorda: “Ogni tanto capitava che mi invitasse a qualche cena a Roma, con i più grandi protagonisti dell’epoca: Pasolini, Attilio Bertolucci, Enzo Siciliano, Elsa Morante. Io solitamente stavo zitto e ascoltavo, un po’ intimorito, mentre lui parlava tranquillamente come se fosse uno di loro“. Ma la fama e la notorietà stavano travalicando i confini nazionali. Martin Scorsese nel ricordarlo disse: “Nel 1964 andai all’Alice Tully Hall al Lincoln Center per la seconda edizione del New York Film Festival. C’ero andato per vedere un nuovo film italiano, si chiamava ‘Prima della rivoluzione’ ed era di un giovane regista di nome Bernardo Bertolucci. Sono uscito dalla sala in stato confusionale, senza parole. Ero davvero sbalordito e commosso dal livello di pura maestria e talento visti sullo schermo. Ero scioccato dalla libertà dell’immagine, anche confuso dai tanti riferimenti culturali, ed essendo qualcuno che nella vita voleva fare film, ero ispirato”.
La spinta decisiva verso il successo mondiale arrivò nel 1972 con ‘Ultimo tango a Parigi’, film scandaloso per l’epoca, nel quale i due protagonisti, Marlon Brando e Maria Schneider, decidono di dare il via a una relazione surreale suggellata solo da rapporti intimi, ignorando tutto dell’altro, compreso il nome. Il sesso è l’unica risposta possibile, anche se non definitiva. Il film subì notevoli censure in Italia, la pellicola venne sequestrata e Bertolucci condannato per offesa al comune senso del pudore, vedendosi privato dei diritti civili per cinque anni, fra cui il diritto di voto. Il film rappresentò comunque la rampa di lancio verso il successo, poi consolidato da ‘Novecento’ del 1976 con un cast stellare (De Niro, Depardieu, Sutherland, Stefania Sandrelli). “Inizialmente – ricorda Barilli- avrei dovuto interpretare la parte di De Niro e Adriana Asti quella di Dominique Sanda. Questo perché Bernardo aveva già in mente la sceneggiatura mentre giravamo ‘Prima della Rivoluzione’, ovvero più di dieci anni prima!”. Nel 1987 diresse in Cina ‘L’ultimo imperatore’, aggiundicandosi ben nove premi Oscar, tra cui quelli per il miglior film e la migliore regia. Il 1990 fu l’anno di il ‘Il tè nel deserto‘, e riguardo a quel film, Simone Cagozzi ricorda un aneddoto particolare: “Vidi il film a New York, dove mi trovavo per studio, e proprio in quel periodo mi capitò di trovare in una libreria un libro di poesie del padre Attilio. Quando tornai a casa, lo dissi ad Attilio e Bernardo: il primo era molto orgoglioso, mentre vedevo che Bernardo era leggermente ‘seccato’ in quanto si sentiva, per una volta, meno considerato rispetto al padre. Sembrava leggermente indispettito del fatto che avessi dato più importanza al libro di poesie del padre che al suo nuovo film. Allora, approfittando dei miei capelli lunghi, fece una battuta sulla mia coda di cavallo, definendola ‘rat tail’ (coda di topo). Fu una scena abbastanza divertente, che ricordo con un sorriso”.
GLI ULTIMI ANNI – Da una decina d’anni era costretto su una sedia a rotelle e i suoi spostamenti dalla casa di Roma si erano molto limitati. Nonostante questo, continuò a ricevere premi più importanti sulla scena internazionale, il Leone d’oro alla carriera alla 64ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e nel 2011 la Palma d’oro onoraria al 64º Festival di Cannes. Non ultimo, la sua città natale gli conferì la laurea magistrale honoris causa in ‘Storia e critica delle arti e dello spettacolo’ al teatro regio di Parma. “L’ho conosciuto proprio in questa occasione”, ricorda Michele Guerra, assessore alla cultura del Comune di Parma. “Ci incontrammo nella sua casa di Roma, inseme al rettore Borghi, per fargli la nostra proposta e, dopo averci lasciato sulle spine per una settimana, decise di accettare. Da quel momento è iniziato un bel rapporto di amicizia. Ogni volta che passavo da Roma andavo a salutarlo, era diventato un appuntamento fisso per me.”
Bernardo, nonostante vivesse a Roma, era rimasto molto legato a Parma, soprattutto a Casarola. In occasione della sua laurea ad honorem aprì il discorso dicendo: “Non potevo che cominciare da Casarola”. Il cugino Simone ricorda che “negli ultimi anni era impossibilitato a venire, ma ci sentivamo spesso. Mi chiedeva come fosse il tempo qui, che panorama vedessi dalla mia finestra. Inoltre, negli ultimi anni, come comitato ‘Pro Casarola’, abbiamo ottenuto in gestione la casa della famiglia Bertolucci e organizziamo frequentemente incontri, manifestazioni culturali o visite guidate. Beh, ogni volta Bernardo mi chiamava per chiedermi come fosse andata, se fosse piaciuto agli ospiti. Insomma era veramente molto interessato“. Ancora più recentemente aveva accettato di far parte del comitato scientifico per Parma Capitale Italiana della Cultura 2020: “Abbiamo dovuto comporre in pochi mesi il comitato scientifico e il primo nome che mi è venuto in mente come presidente è stato proprio il suo” – spiega l’assessore Guerra – “Bernardo era molto entusiasta, al punto che voleva che facessimo tutte le riunioni nella sua casa di Roma. Ovviamente questo non è stato possibile , ma mi ha fatto capire quanto ci tenesse”.
Con l’avanzare dell’età e, probabilmente, anche per via della malattia, era diventato “più dolce e meno serio” ricordano Barilli e Cagozzi. “Quando io ero molto giovane avevo un po’ di soggezione nel confrontarmi con lui, era un personaggio talmente importante che quasi incuteva timore. Ma negli ultimi anni invece eravamo riusciti a trovare il nostro registro e riuscivo a rapportarmi meglio con lui”, ammette il cugino Simone. E Barilli svela che, alla soglia degli ottant’anni, non aveva ancora intenzione di smettere: “Aveva praticamente finito la sceneggiatura per un nuovo film (‘The Echo chamber’ nda), ma il suo produttore non gliel’ha fatto fare”.
di Pierandrea Usai
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