Rispedite al mittente: si può ancora sperare in un processo per il caso Regeni?

LA PROCURA DI ROMA HA ISCRITTO AL REGISTRO DEGLI INDAGATI CINQUE PERSONE, MA DAL CAIRO RIGETTANO LE ACCUSE

Giulio Regeni è stato trovato morto il 3 febbraio 2016 alla periferia del Cairo, in Egitto. Studente dell’Università di Cambridge, stava conseguendo un dottorato di ricerca quando si recò nella capitale egiziana per seguire da vicino i sindacati indipendenti dei lavoratori ambulanti. Per questo, fu accusato di spionaggio e soprattutto di voler far cadere il regime di Abd al-Fattah al-Sisi. A quasi 3 anni dalla scomparsa del ricercatore, però, si hanno poche certezze sul caso a causa della scarsa collaborazione del governo egiziano nelle indagini per scoprire i responsabili e le motivazioni della morte.

La domanda che viene naturale porsi è: come si può, dopo così tanto tempo, avere ancora fiducia in un governo che fino ad ora non ha mai agito concretamente per aiutare le indagini? Dopo più di due anni non sono stati ancora resi noti i risultati dell’autopsia egiziana sul corpo di Giulio Regeni e la scelta di non mettere a disposizioni i tabulati telefonici per motivi di ‘privacy’ sa di vera e propria beffa. Gli unici passi in avanti sono stati fatti dal governo italiano e dalla Procura di Roma, mentre dal Cairo solo silenzi assordanti e lunghe (ed inutili) attese, nella speranza di un aiuto che ancora tarda ad arrivare e che sarebbe decisivo nella conclusione delle indagini.  Ritardi che destano non pochi sospetti e che, anche se concretamente non dimostrano nulla, sembrano del tutto voluti e orchestrati. A tal proposito, è eloquente ed assolutamente condivisibile il commento di Mohamed Anwar El Sadat, nipote dell’ex presidente egiziano e presidente della commissione Diritti umani del Parlamento del Cairo: “L’Egitto guadagnerebbe più rispetto, più credibilità se si arrivasse alla verità. A volte si fanno errori, si commettono violazioni, ma si devono ammettere gli errori e giudicare i responsabili chiunque essi siano. Questo sarà accolto molto bene all’esterno”. Di fronte ad una simile situazione di immobilità, e dopo quasi 3 anni, appare certamente più opportuna una presa di posizione come quella del Presidente della Camera Fico che l’ennesimo tentativo di mediare (e di permettere al Cairo di allungare i tempi) per non rischiare di rovinare i rapporti con il governo egiziano. Risulta difficile comprendere il perché una legittima richiesta di collaborazione nelle indagini rischi di intaccare le relazioni con l’Egitto, come se quasi fosse considerato uno sgarbo al loro indirizzo.

La prima reazione decisa da parte del governo italiano si ha già tre mesi dopo la scomparsa, nell’aprile 2016, dopo non aver ricevuto né i tabulati telefonici, né le informazioni che erano state promesse: il premier Paolo Gentiloni decide di richiamare l’ambasciatore al Cairo. Poi solo promesse, soprattutto da parte del procuratore generale egiziano, e pochi ‘fatti’. A giugno del 2017, dopo ormai un anno e mezzo, non esiste ancora un fascicolo egiziano riguardante l’omicidio di Giulio Regeni. Il 10 settembre dello stesso anno le forze di sicurezza egiziane fermano Ibrahim Metwaly, avvocato per i diritti umani, che stava collaborando con la famiglia del ricercatore. Viene più volte torturato e poi incarcerato con le accuse di cospirazione con soggetti stranieri per danneggiare la sicurezza nazionale e pubblicazione di notizie false“. Da quel momento in poi poche novità e tanti tentativi di depistaggio.

“Ho avuto l’assicurazione da parte di Al-Sisi che farà di tutto, lavorerà lui stesso per arrivare alla verità sul caso Regeni”, affermava il premier italiano Giuseppe Conte, che ha incontrato il presidente egiziano in occasione dell’Assemblea generale dell’ONU del 26 settembre 2018. Passano degli altri mesi, ma tutto tace al Cairo. Dopo questo ennesimo periodo di immobilismo e il fallimento della via diplomatica, la procura di Roma decide di dare una decisiva svolta alle indagini indagando ufficialmente sette poliziotti e agenti della National Security, il servizio segreto civile egiziano. “Un atto giusto, forte e coraggioso e anche un atto dovuto: visto che la Procura del Cairo non procede, è giusto lo faccia la Procura di Roma”, ha commentato il presidente della Camera Roberto Fico. La terza carica dello stato ha poi deciso, dopo aver ricevuto il consenso unanime alla conferenza dei capigruppo, di sospendere ogni rapporto diplomatico con il Cairo. Presa di posizione non condivisa dal premier Conte, che ha preferito essere prudente e non sancire una definitiva rottura con l’Egitto: “A Palermo – riferendosi alla conferenza sulla Libia del 12 novembre – ho avuto un incontro bilaterale con Al Sisi durante il quale abbiamo trattato tutti i temi che stanno a cuore al governo italiano e quindi anche del caso Regeni, sottolineando la necessità di giungere all’accertamento della verità e questa è la volontà anche delle autorità egiziane”.

Fra rinvii, perdite di tempo e mediazioni varie, il tempo passa e la speranza che si possa giungere alla verità è sempre minore. Ciò che resta è la temerarietà dei genitori di Giulio e la fiducia sul fatto che la Procura di Roma stia facendo il massimo. L’auspicio ovviamente è che al Cairo si torni sui propri passi e si decida finalmente di collaborare, anche se al momento sembra una cosa decisamente improbabile. Mentre la situazione, adesso, entra apparentemente in una nuova fase di stallo, la famiglia del ricercatore italiano lancia un appello e avvisa il governo egiziano che continuerà a combattere per ottenere giustizia e che non smetterà di farlo finché non l’otterrà. Quanto dovranno attendere ancora per conoscere tutta la verità sulla morte di Giulio?

 

di Daniele Gippetto

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*