Quindici anni senza Pantani, l’ultimo romantico

L'UOMO CHE FECE INNAMORARE L'ITALIA DEL CICLISMO

14 febbraio 2004, nel residence ‘Le Rose di Rimini’ viene trovato il corpo senza vita di Marco Pantani. Quindici anni, un’eternità, eppure per gli appassionati delle due ruote sembra ieri. La ferita è ancora aperta, inaccettabile e ingiusta.

Il Pirata’, così era soprannominato, aveva conquistato il cuore dei tifosi. Era riuscito a portare il ciclismo nelle case degli italiani. Ore e ore davanti al televisore o sulle strade ad aspettarlo, per vederlo passare, anche solo per un istante. Dopo Marco, i campioni non sono mancati ma nessuno è più riuscito a essere come lui, nessuno è più riuscito ad essere lui. Gli amanti del ciclismo si erano innamorati dei suoi scatti, del suo sguardo sincero, delle sue debolezze e timidezza, delle sue imprese, dei suoi sorrisi e persino delle sue orecchie a sventola, della sua forza, della sua bandana, del suo piercing al naso, lanciato via nel duello con Tonkov salendo verso Montecampione, della sua rimonta incredibile ad Oropa, dei suoi scontri con Armstrong, l’elefantino contro il cowboy, e del suo capolavoro sul Galibier che, sotto la pioggia, piegò Ullrich e gli valse la doppietta Giro – Tour nel 1998 (nessuno ci è più riuscito).

Ricordare Marco significa pensare alla sua carriera come a un tappone dolomitico. Alternando momenti drammatici con i tanti (e brutti) infortuni, le sentenze giudiziarie (alcune non ancora concluse e chiare), le cattive compagnie con anche grandi emozioni. Come quella volta al Giro d’Italia del 1998, quando il gruppo deve affrontare la Marmolada, una salita infinita che taglia le gambe, che prosciuga lentamente le energie, e Pantani è obbligato ad attaccare per fare sua la Corsa Rosa. Il suo fedele scudiero, Roberto Conti, è da ormai diversi chilometri di salita che lo protegge ma non ce la fa più, così si rivolge al suo capitano: “Marco ma quand’è che attacchi?”, “Ma quand’è che inizia la salita”, rispose il Pirata. Questo era Pantani. Un uomo piccolo e gracile che alla domanda “Perché vai così forte in salita?” disse: “Per abbreviare la mia agonia”. Un uomo di mare che dominava le montagne di Giro d’Italia e Tour de France ma che è stato succube della vita, il dono più prezioso per ogni uomo. Forte in sella, debole nella vita.

Marco Pantani, uno dei talenti italiani più puri, uno di quelli con la stoffa del campione cucita addosso, si è spento nella stanza D5 di un hotel, solo, a 34 anni. Abbandonato dalla società, dai suoi tifosi, da coloro che lo incitavano e invocavano e dalle persone che riteneva amiche. È morto in quel sabato sera di quindici anni fa. Nel giorno di San Valentino, nel giorno degli innamorati è morto colui che ha fatto innamorare migliaia di persone del ciclismo.

di Stefano Rossi

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