Si nasce solo due volte

COSA PASSA PER LA MENTE DI UNA RAGAZZA CHE PENSA NON CI SIA VIA D'USCITA

“Le cose sono precipitate ancora. Sto seriamente pensando di ammazzarmi, voglio smettere di soffrire e tutti starebbero meglio senza di me. Ho già deciso come e quando. Un’amica mi ha costretto a scriverti. Ma io voglio solo morire, è l’unica via d’uscita per me. Non voglio essere salvata, intanto è inutile, io sono inutile”. Da questo messaggio inviato alla mia psicoterapeuta è iniziato tutto. La mia vita è ricominciata quando ho deciso di voler morire.

Perché una persona a 22 anni decide di suicidarsi? Sarebbe inutile raccontarvi tutta la mia storia, in fondo è la storia di ognuno di noi: università, vita in comune, lavoro, amicizie finite, amori finiti. Nulla che nessuno di noi non abbia passato nella sua vita. Il problema ero io, che non avevo la forza di reagire e mi facevo sopraffare dagli eventi. Qualsiasi cosa succedesse, per me era colpa mia. Non importava la verità, era colpa mia e basta.

Era più di un anno che certi giorni avevo iniziato a sentire una sorta di vuoto dentro, un vuoto che niente era in grado di colmare. C’erano giornate in cui nemmeno riuscivo ad alzarmi dal letto, ma non era pigrizia. Semplicemente mi chiedevo: perché mi dovrei alzare? Cosa cambierebbe? E allora rimanevo lì tutto il giorno, a fissare il soffitto, sperando che qualcosa mi desse un valido motivo per alzarmi. Ma spesso questo motivo non arrivava mai e io rimanevo da sola con il mio vuoto dentro.

Mi sentivo sola, abbandonata. In verità non lo ero, avevo al mio fianco un ragazzo meraviglioso e alcuni amici fidati che sapevano tutto, ma la mia solitudine arrivava da dentro. Poi c’era il senso di colpa. Qualsiasi cosa facessi, avevo questa voce dentro di me che mi criticava e mi diceva che facevo schifo, che dovevo solo vergognarmi. Io non avevo la forza di zittirla: restavo lì a piangere mentre lei continuava senza sosta.

Avevo dei giorni buoni, in cui stavo bene e riuscivo a godermi la vita. Ma per la maggior parte del tempo fingevo, non c’era quasi nulla che veramente mi desse un motivo valido per alzarmi al mattino. Le uniche due cose che mi erano rimaste, che veramente mi facevano felice, erano il mio ragazzo, il mio grande amore, quello che avevo sognato per tutta la mia vita, e il volontariato. Donare il mio tempo agli altri mi ha sempre fatta stare bene. Ogni secondo dedicato agli altri era un secondo ben speso. Ogni secondo dedicato a me era puro egoismo, mi faceva sentire in colpa, una brutta persona che pensa solo a se stessa.

Il vero problema è nato quando le giornate buie hanno preso il sopravvento, e lì arriva la prima crisi. Non avevo più nessuna voglia di vivere. Perché alzarmi dal letto? Perché uscire di casa? Perché mangiare? Tutto era inutile per me. E il vuoto, un enorme vuoto dentro che non riuscivo a colmare con nulla. Non avevo nemmeno la forza di piangere, volevo solo rimanere sola, nel mio letto, nascosta al mondo intero. Intanto nessuno avrebbe apprezzato la mia presenza, quindi tanto valeva sparire. L’unica persona che riusciva a tirarmi fuori dalla mia apatia, anche se per poco, era il mio amore. Non mi ha quasi mai espresso a parole ciò che provava, ma in quel suo starmi vicino c’era tutto, le parole erano superflue. In quel periodo è stato la mia boa, se non sono andata a fondo è stato grazie a lui.

In uno dei rarissimi momenti di lucidità, ho pensato di chiedere aiuto a un professionista. Ero scettica, ma ho pensato: “Male non può farmi, tentiamo”. Ho aperto una di quelle app che ti aiutano a cercare un medico. Cercavo una donna, giovane e raggiungibile con i mezzi pubblici. Ammetto di aver scelto abbastanza a caso, ho visto che la prima della lista aveva i requisiti che cercavo e posto dopo pochi giorni. Prendere appuntamento è stata una delle cose più difficili che io abbia mai fatto. La mia voce interiore mi diceva che ero debole, che chiedendo aiuto ammettevo la mia sconfitta. Avevo deciso di non presentarmi nemmeno all’appuntamento. Era uno dei miei giorni peggiori e mi sembrava un’offesa al mondo farmi vedere. Ho avuto fortuna, avevo trovato al primo tentativo la terapeuta che poteva salvarmi. Le cose non sono ovviamente cambiate da un giorno all’altro, ma piano piano stavo andando avanti.
Un altro passo importante è stato accettare l’idea che avevo bisogno di un altro aiuto. Prendere dei farmaci era per me l’ennesimo fallimento della mia vita. Solo dopo un po’, quando hanno iniziato a farmi effetto, ho capito che, anche se non li amavo, dovevo quanto meno tollerarli perché ne avevo veramente bisogno.

Ho avuto un periodo sereno: la terapia stava andando bene e io mi ero illusa di essere uscita dal pozzo.
Illusa, appunto. Negli ultimi due mesi tutto era tornato al punto di partenza, e non solo dentro di me. Avevo perso tutti i miei punti di riferimento, tutti i miei posti sicuri. E sentivo che era solo colpa mia. Ho iniziato a stare sempre peggio: ricominciavo a svegliarmi ogni mattina ripetendomi che facevo schifo, che ero inutile, che nessuno doveva avere la sfortuna di avere a che fare con me. Dopo un po’ non ce l’ho più fatta, mi sentivo un guscio vuoto, andavo avanti per inerzia e mi sentivo sempre più sola. Alla fine, quella sera mi è venuto in testa un pensiero: “Basta, mi ammazzo e risolvo tutti i miei problemi”. Sono uscita sulla strada, volevo buttarmi sotto una macchina. Per fortuna non ero sola. Avevo vicino un’amica, che mi ha letteralmente salvato la vita. In quel momento l’ho odiata, non voleva lasciarmi morire, voleva salvarmi a tutti i costi. A posteriori, ovviamente, la ringrazio e le sarò sempre grata, ma in quel momento no. Per me era solo un ostacolo che mi impediva di fare ciò che desideravo. Lei mi ha costretta a mandare quel messaggio, che ha dato il via a tutto.

I miei ricordi da quel momento sono un po’ confusi. Ricordo nitidamente il pronto soccorso, in cui mi sentivo tremendamente in colpa perché stavo togliendo del posto a gente che veramente stava male. Volevo solo uscire e morire, era il mio unico pensiero. Poi il ricovero nel reparto psichiatrico d’emergenza, dove gli infermieri, per la mia sicurezza, hanno sequestrato tutto ciò che avevo, compresa la mia collana, che era la mia forza, il mio appiglio alla vita. Ricordo solo di averli odiati. Nessuno capiva che volevo solo morire, tutti erano lì per impedirmelo e quel posto mi terrorizzava.

Ad un certo punto mi sono trovata da sola in una stanza, senza nemmeno un cambio di vestiti. Non sono riuscita a chiudere occhio, volevo solo piangere e morire. Ma soprattutto morire. Questo pensiero mi ha accompagnato per quasi tutta la mia permanenza, anche dopo il trasferimento in un altro reparto, sempre psichiatria, ma più tranquillo. Non odiavo più chi cercava di salvarmi, ero precipitata nuovamente nel mio vuoto. Volevo morire ma non me ne fregava niente se qualcuno cercava di salvarmi. Intanto pensavo non ce l’avrebbero fatta, quindi potevo anche lasciare che ci provassero.

Dopo poco più di una settimana di ricovero, la svolta: “La settimana prossima ti mandiamo a casa”. Il pensiero di dover uscire da quella bolla protetta e tornare nel mondo era la cosa più spaventosa che avessi mai provato. Dovevo ripartire da zero per costruirmi la vita che avevo mandato a quel paese mentre ero in crisi. Poi, grazie anche alle parole dei miei amici e della mia terapeuta che non mi ha mai abbandonata, è scattato qualcosa. Io voglio vivere. La vita è la mia e non voglio più buttarla. Riparto da zero, ma non sono sola. Voglio vivere e ce la farò.

Quando sono uscita è stato come nascere per la seconda volta. In fondo, quando avviene la prima volta usciamo da un ambiente protetto in cui erano altri a prendersi cura di noi e non dovevamo pensare a nulla. Non è poi così diverso dall’uscire da lì. Il reparto di psichiatria è come una bolla: tutti sono lì a prendersi cura di te, tutti vogliono il tuo bene, ma prima o poi devi uscire e farcela con le tue gambe. Io non so se ce la farò, non so se avrò la forza. Quanto meno voglio provarci. Non so come andrà, ma la vita è bella e vale la pena di essere vissuta. Per capirlo ho avuto bisogno di desiderare la morte, ma questo ai miei occhi dà solo più valore alla mia decisione. Io voglio vivere e nessuno mi potrà convincere del contrario, nemmeno il mio senso di colpa.

di Lara Boreri

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