‘Una tazza di mare in tempesta’: un viaggio in nave attraverso il teatro

PER ADULTI E BAMBINI, IL 'MOBY DICK' DI MELVILLE AL TEATRO DEL CERCHIO

Sabato 23 e domenica 24 febbraio, presso il Teatro del Cerchio, è andato in scena lo spettacolo ‘Una tazza di mare in tempesta‘, di e con Roberto Abbiati e liberamente tratto dal celeberrimo ‘Moby Dick‘ di Herman Melville. Una messa in scena particolare e suggestiva, pensata per  una ventina di spettatori alla volta, che trasforma il palcoscenico nella stiva di una baleniera e trasporta il pubblico attraverso le emozioni del viaggio in mare, potente ed eterna metafora della vita stessa.

“Come questo spaventevole oceano circonda la terra verdeggiante, così nell’anima dell’uomo c’è un’insulare Tahiti, piena di pace e di gioia, ma circondata da tutti gli orrori della vita a metà sconosciuta“. Queste parole di Herman Melville, tratte dal suo capolavoro ‘Moby Dick’, caposaldo della letteratura Americana di metà Ottocento, incarnano alla perfezione uno dei molteplici temi del romanzo: l’inquietudine dell’uomo di fronte all’ignoto e la sua ossessiva ricerca della conoscenza. Tema che viene ripreso all’interno dello spettacolo fin dall’inizio, ancor prima di entrare in sala, attraverso i vari ed insistenti inviti al silenzio che il protagonista rivolge al pubblico nel momento in cui arriva ad accoglierlo all’ingresso per poi accompagnarlo a sedersi: “Se stai in silenzio ascolti, se ascolti capisci, e la cosa più bella che succede nella vita è cominciare a capire le cose”.

Una volta entrati, ci si ritrova all’interno di una vera e propria stanza/installazione caratterizzata da pareti in legno, e dalla presenza di vari oggetti, come disegni, statuette, corde o lampadine, che diventeranno elementi evocativi della performance e parte integrante della narrazione. Ad essere ripercorsa, seppur a grandi linee, data anche la breve durata dello spettacolo, è la trama di base del romanzo: il marinaio Ismaele, narratore degli eventi, si imbarca sulla baleniera ‘Pequod‘ in cerca di avventura: “Amo veleggiare per mari proibiti e prendere terra su coste sconosciute, per queste cose il viaggio a caccia di balene fu allora il benvenuto e dentro ai miei pensieri che mi inducevano a tale proposito nuotavano a due a due file di balene”. Al comando della nave vi è il capitano Achab, ossessionato dal desiderio di vendetta nei confronti della grande balena bianca che lo aveva mutilato di una gamba anni prima: “Ben presto si udì il passo ritmato della gamba d’avorio, che compiva il solito giro sul ponte, così assuefatto alla sua andatura che era da esso intaccato dal segno di quella sua camminata. Se poi aveste potuto osservare la sua fronte segnata e solcata, vi avreste trovato orme ancor più strane, le orme del suo unico pensiero insonne… la balena bianca”. Quando finalmente le strade dei due si incroceranno nuovamente, un’estenuante lotta porterà all’affondamento dell’imbarcazione, il cui unico superstite tra i membri dell’equipaggio sarà Ismaele stesso.

Durante la performance, domina un’atmosfera intima e raccolta, dovuta alle ridotte dimensioni della stanza e alla presenza di un pubblico poco numeroso, immerso nella penombra di uno spazio chiuso, all’interno del quale, attraverso le fessure del legno, penetra una debole luce. A guidare lo sguardo dello spettatore sono le numerose lampade distribuite all’interno dell’installazione, che illuminano di volta in volta i punti o gli oggetti sui quali concentrare l’attenzione. Le aperture nascoste all’interno di quadri, armadi o finestre, permettono inoltre al protagonista di affacciarsi dall’esterno e rivolgersi direttamente allo spettatore, interpretando brevi monologhi e variando continuamente la propria posizione nello spazio. Anche dal punto di vista sonoro il risultato raggiunto è piuttosto singolare. Oltre alle musiche originali composte da Fabio Bessana e alle registrazioni della voce di Roberto Abbiati, ideatore e attore protagonista dello spettacolo, è presente in sala anche il rumorista Johannes Schlosser, che ricrea, attraverso l’ausilio di vari oggetti e strumenti, i suoni tipici del mare: dall’infrangersi delle onde fino all’impetuoso fragore di una tempesta.

Nonostante lo spettacolo sia stato pensato originariamente per un pubblico adulto, come ha spiegato l’autore stesso prima di andare in scena, esso può essere compreso ad apprezzato anche dai più piccoli, seppur in maniera differente. Questo è stato infatti inserito dal Teatro del Cerchio sia all’interno della programmazione adulti che in quella ragazzi, proprio per rendere omaggio, come si legge nel comunicato stampa ufficiale del teatro, “a uno dei classici che ha appassionato generazioni di lettori di tutte le età“. Proprio per incentivare una fruizione più libera e spontanea della rappresentazione anche da parte dei più giovani, è stato chiesto inoltre ai numerosi genitori presenti durante la replica di domenica, di non intervenire durante la performance per cercare di spiegare ai propri bambini che cosa stesse accadendo nei vari momenti della narrazione, interpretando così per loro il significato di determinati passaggi o azioni. Un invito all’ascolto e all’attenzione, che ha permesso anche ai più piccoli di elaborare una propria idea di quanto hanno visto.

Questo adattamento del ‘Moby Dick‘ di Melville dunque, è caratterizzato da una messa in scena molto studiata ed evocativa, che si propone di parlare a tutti. La particolare condizione in cui il pubblico viene posto inoltre, permette allo spettatore di immedesimarsi ancora di più nella narrazione, ritrovandosi catapultato all’interno della nave stessa, quasi ne costituisse l’equipaggio. Per riassumere efficacemente le caratteristiche e le intenzioni dello spettacolo, risultano particolarmente significative le parole dello stesso Abbiati, che, come scritto in precedenza, ne è autore e principale interprete:

“Ogni volta che mi accorgo ad atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me…  allora dico che è tempo di mettermi in mare al più presto, questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Il mare. Che mare? Il rumore del mare. Cosa ti fa venire in mente il rumore del mare? Il Moby Dick di Melville. Un libro. Tutto il mare in un libro. S’accende qualcosa ogni volta che lo si prende in mano, il libro, e allora poi si comincia a immaginare in grande, balene, velieri, oceani, via, le cose più esagerate. Una piccola installazione, una piccola performance, per poco pubblico che assista a piccoli oggetti che evochino grandi cose. Tutto rubato da Melville, per pochi minuti. Come se si fosse nella stiva di una baleniera”.

 

di Gabriele Sani

 

 

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