Vita di un militare dell’Aeronautica

LA VOCE DI UN UFFICIALE SU UN MESTIERE AFFASCINANTE E ADRENALINICO

Una carriera tra aspettative e realtà quella raccontata da Enzo (nome fittizio) con i suoi aspetti negativi e positivi.

Per rompere il ghiaccio si parte con una domanda classica: cosa l’ha spinta a intraprendere questa carriera e  avrebbe desiderato orientarsi verso altro?
“Appassionato fan di ‘Star Trek‘ e ‘Spazio 1999‘, da ragazzino sognavo di diventare astronauta e viaggiare nello spazio sconfinato alla ricerca di altre forme di vita. Ben presto quei sogni s’infransero contro le ristrettezze economiche familiari che non mi avrebbero consentito la possibilità di studiare all’università e fu così, quasi per gioco, che all’età di 16 anni mi ritrovai a partecipare al concorso per volontari specialisti in Aeronautica Militare. Superate abilmente le varie selezioni ed accantonate le velleità universitarie, decisi di sospendere temporaneamente gli studi al IV anno delle superiori e lanciarmi nella carriera militare. Questa scelta mi fu dettata anche da aspetti economici, in considerazione della precarietà lavorativa in Campania, dove vivevo all’epoca. Ben presto mi resi conto che la vita da specialista (sottufficiale) non mi entusiasmava più di tanto ed allora completai gli studi per acquisire il diploma e, tramite concorso interno, transitai nel ruolo degli ufficiali.”

Televisione e libri mostrano tanti scenari dell’addestramento militare, ma la realtà cosa le ha riservato?
“La realtà è ben diversa e più impegnativa di quanto si possa immaginare da uno spot o da una rivista, nei quali generalmente emergono solo alcuni dettagli. Il militare è sottoposto ad iter addestrativi iniziali particolarmente intensi e selettivi, e continue attività periodiche per acquisire e mantenere i requisiti psicofisici e professionali necessari ad ogni specifica mansione. Nel mio caso ho ricevuto l’addestramento generico trasversale a tutte le categorie e mansioni, consistente in attività fisiche e tecniche militari per il combattimento terrestre, la vigilanza armata e l’uso legittimo delle armi, la gestione delle emergenze, la sopravvivenza in diversi scenari con e senza aggressivi chimici, pratiche di primo soccorso, trattamento dei feriti in battaglia, evacuazione e fuga.
L’altro aspetto fondamentale e molto interessante dell’addestramento ricevuto è relativo alla specifica mansione che nel mio caso mi ha portato a contatto con tante, diversificate ed interessantissime esperienze, in diversi ambiti e contesti, sia nazionali che internazionali. Giusto per citarne qualcuna delle più significative, ho acquisito competenze nei seguenti ambiti: gestione del personale, difesa aerea missilistica, efficienza e manutenzione su diversi sistemi d’arma, logistica del materiale, trasporto aereo, pubblica informazione, antinfortunistica e tutela dell’ambiente, gestione dei processi di qualità, benessere del personale, valutazione delle performance nell’ambito della NATO.”

Entrando nel vivo, come è stato il passaggio dall’addestramento alla prima vera missione? Emozionalmente e mentalmente come si è sentito?
“Il mio animo ‘sportivo’ mi ha sempre supportato nel gestire qualsiasi situazione, anche la più difficile, rendendomi propenso ad accettare continue e nuove sfide. Transitare tuttavia dalla teoria alla pratica può essere a volte particolarmente sconvolgente.
Tra le missioni che più mi hanno segnato in tal senso, dal 2005 al 2006 fui inviato ad An Nasiriyah (Iraq), nell’ambito dell’Operazione ‘Antica Babilonia’. In quel periodo mi occupavo di pubblica informazione e, tra i diversi compiti, avevo l’onere (e l’onore) di gestire i giornalisti italiani presso il contingente internazionale. Fu un vero e proprio ‘battesimo del fuoco’ in tutti i sensi, in quanto gli attentati erano all’ordine del giorno ed a quei tempi i giornalisti erano considerati gli ostaggi preferiti da parte degli integralisti islamici. Tra le attività più rischiose, occorreva scortare e proteggere i giornalisti durante le interviste e le riprese all’esterno, in città o nei villaggi di nostra competenza, in un ambiente particolarmente ostile. Garantisco che essere coinvolti in attentati o evitarli per poco sono esperienze forti e indimenticabili.”

Le missioni possono essere di guerra o umanitarie, lei in quali è stato coinvolto e, dovendo sceglierne una che l’ha colpita, di quale parlerebbe?
“Nelle mie esperienze lavorative non sono mai stato coinvolto in missioni belliche ma sempre in contesti di ‘Peace Keeping’, ‘Peace Enforcement’, ricostruzione post-bombardamento, consegna di aiuti umanitari, ecc. Ogni missione ha maturato in me nuove esperienze, generando continui stimoli e progressi nella crescita personale, sia sul profilo umano che professionale. Dovendone selezionare una in particolare, la scelta cade sulla missione in Iraq del 2005-2006, intensissima sotto tutti i profili e con elevati picchi di adrenalina per le elevate condizioni di rischio e per l’ampia esperienza maturata al fianco di giornalisti di calibro, come Monica Maggioni, Duilio Gianmaria o Maurizio Mauriello.
Altrettando intensa sul profilo umano e professionale è stata l’esperienza in supporto alla protezione civile nella fase post-emergenziale del recente sisma che ha colpito il centro Italia. Dalla collaborazione in questa infelice vicenda è nata un’intensa amicizia con le popolazioni del luogo, in particolare con alcuni abitanti del martoriato comune di Amatrice con i quali sono tuttora quotidianamente in contatto.”

In un mondo fatto sempre più di tattiche e tecnologie diventa facile dimenticarsi che, dietro ogni corpo militare, ci sono uomini e sentimenti, quindi, le chiedo: che rapporto si crea con i propri compagni e, se ne ha avuto l’opportunità, con membri di altre forze armate?
“L’aspetto umano è importantissimo e fondamentale in qualsiasi contesto ed organizzazione, sia civile che militare. E ne sono fermamente convinto. Oltre le procedure, gli ‘standard NATO’, l’addestramento, le strategie e le tattiche, la differenza la fa sempre l’impegno del singolo ed il “cuore” che ciascuno mette nella propria attività ed a servizio del proprio team di appartenenza. Dunque, confermo che il fattore umano ed i sentimenti sono importantissimi in un ambiente dove cameratismo, spirito di corpo e senso di appartenenza sono requisiti fondamentali, aggregativi e moltiplicatori di efficacia ed efficienza per raggiungere il target in ogni circostanza. Questo diventa ancora più importante nei contesti internazionali, ove la socializzazione e l’aggregazione sono fondamentali per la buona riuscita di qualsiasi missione. Godendo di una spiccata propensione alla comunicazione e nei rapporti interpersonali, mi sono reso promotore in ogni circostanza di eventi e momenti aggregativi, culturali, ludico-ricreativi che, ad esempio, mi hanno offerto l’opportunità di insegnare la lingua italiana ai militari delle coalizioni internazionali, contribuendo a diffondere la cultura del nostro bellissimo Paese.”

Rimanendo sul lato umanitario, come venite accolti dalle popolazioni locali e che relazioni instaurate con loro?
“L’approccio è sempre positivo e generalmente, in cambio, si ottiene socializzazione, gratitudine ed amicizia. Specifiche organizzazioni (CIMIC – Civil and Military Cooperation) [N.d.A. ponte tra la sfera civile e militare durante un’operazione] lavorano intensamente e direttamente sul campo a contatto con la popolazione per incentivare e perfezionare la collaborazione tra ambiente civile e militare, generando sinergie vincenti. Nella maggior parte dei casi, la ricostruzione di strade, ospedali, scuole, strutture varie, la consegna di aiuti umanitari, il supporto nell’ambito medico sanitario e scolastico, l’addestramento militare, l’insegnamento e l’introduzione della democrazia, sono tutti elementi che portano a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni colpite dai conflitti armati. Non sempre però i nostri aiuti riescono a soddisfare tutte le esigenze o le aspettative delle popolazioni destinatarie e talvolta questo limite genera malcontenti e proteste che, nei casi peggiori sconfinano in vere e proprie rivolte con tanto di pietre e bastoni.”

Passando ora alla sua vita, al di fuori del mondo militare, coltiva dei sogni e delle passioni?
“Ahimè coltivo un’infinità di passioni ed hobby in diversi ambiti, dalla musica, al benessere olistico, mi cimento in svariate attività sportive (ciclismo in tutte le forme, sci alpino, nuoto, parapendio, escursioni e passeggiate in long range) e passioni ludico-ricreative (tango argentino, ballo liscio e danze caraibiche). Tra le passioni preferite, pongo tuttavia in primo piano le mie creazioni musicali con chitarra acustica ed armonica, mie inseparabili compagne di viaggio. La musica riempie tanti vuoti e riesce a rasserenarmi anche nelle situazioni più difficili, missioni militari e quotidianità. Ho all’attivo circa trenta brani, quasi tutti inediti o utilizzati per specifiche esigenze, con diversi cori che frequento. ‘Voce nel deserto‘ è un cantico di fede e speranza, brano principale del mio ultimo album liturgico ed è rintracciabile sul canale YouTube di Enzo Paternin, mio alias artistico. Questo brano è scaturito dall’intensa esperienza maturata durante la mia ultima missione, recentemente svolta nel deserto del Kuwait.”

Cosa può dirmi della compatibilità fra professione militare e famiglia, quali suggerimenti fornirebbe a coloro che intendono intraprendere la carriera militare.
“Essere militare non è una professione qualsiasi, è innanzitutto una vocazione, una scelta di vita. Questo deve essere chiaro fin da subito, sia a chi sceglie questa strada, sia alla famiglia che lo sostiene. Si tratta di un mestiere particolare che porta a rimanere spesso lontano da casa, anche per lunghi periodi e senza preavviso. Porta a trasferimenti di sede, in particolare per gli ufficiali (nel mio caso ho già cambiato cinque diversi enti e sono in attesa di conoscere la prossima destinazione). La vita militare impone impegni e sacrifici che non tutti sono in grado di accettare e l’elevato rateo di fallimento dei matrimoni nelle famiglie dei militari ne è una prova evidente. Quindi, il mio consiglio è quello di scegliere questa strada solo con piena consapevolezza e la necessaria predisposizione alla flessibilità e alla capacità di adattamento imposto dagli infiniti stimoli e dalle continue sfide che propone questa professione davvero speciale.”

In conclusione, le propongo una riflessione sulla seguente tematica: “Dimensione civile e militare, due binari paralleli”?
“Gli ordinamenti militari, risalenti a Regi Decreti di un secolo fa, hanno subito poche revisioni nel tempo e segnano un divario netto tra le due dimensioni. Nella mia visone, invece, ritengo che alcuni concetti siano ampiamente superati e che determinate norme siano ormai obsolete e non più attuali. Per antonomasia il militare è un cittadino che ha meno diritti e più doveri rispetto ad un normale cittadino. La differenza sta, fondamentalmente, nel giuramento e nelle “stellette” che s’indossano e questa peculiarità distingue e distinguerà sempre il mondo militare da quello civile, esempi classici solo il divieto di sciopero, l’impossibilità nel rifiutare un ordine legittimo, di riunirsi in sindacati e associazioni.
Ultimamente però si sono osservati importanti evoluzioni ed ammodernamenti anche nel comparto militare ed è proprio di questi giorni l’approvazione da parte dell’On. Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa, di un tavolo di trattativa per la creazione del primo sindacato per i militari. Un passaggio epocale che, a mio parere, condurrà a evoluzioni necessarie e al passo coi tempi. Concludendo questa interessante riflessione, credo che le due dimensioni, civile e militare, debbano intrecciarsi, confrontarsi e potenziarsi vicendevolmente, evitando di rimanere su binari distinti e paralleli. Solo dal confronto e dalle sinergie possono scaturire opportunità di sviluppo per la collettività.”

di Marzia Galasso

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