L’Europa e il sogno infranto dei padri fondatori

LE PREMESSE EUROPEE DI ALTIERO SPINELLI RISCHIANO OGGI DI NON AVERE FUTURO. QUALI PROSPETTIVA ATTENDONO DUNQUE L'UNIONE EUROPEA?

Alcune settimane fa Giuseppe Conte è stato al centro delle critiche dell’eurodeputato Verhofstadt, il quale ha accusato il Premier di essere un ‘burattino’ nelle mani dei ministri Salvini e Di Maio. Nell’esporre la critica, il deputato belga ha espresso il proprio dispiacere per l’attuale stato della politica italiana, ricordando i ‘grandi’ nomi italiani che hanno partecipato a costruire l’Unione.

Ai più attenti conoscitori del percorso dell’UE non sarà sfuggita la citazione ad Altiero Spinelli, uno dei massimi teorici del pensiero federalista europeo. La figura di Spinelli è da associare al Manifesto di Ventotene, tra i primi documenti a parlare di Europa unita, scritto assieme a Ernesto Rossi e Eugenio Colorni nel 1941 mentre scontavano il confino imposto dal Regime fascista. L’importanza storica e politica di quel documento ha fatto di Spinelli uno dei padri fondatori dell’Unione Europa.

Dietro al Manifesto di Ventotene non vi era, tuttavia, solo una speranza di integrazione. Spinelli, avendo assistito al declino democratico del proprio Paese e allo scoppio del secondo conflitto mondiale, era convinto che solo abbandonando il vecchio ordine europeo, legittimato negli Stati nazionali, si sarebbero impediti nuovi conflitti bellici in Europa. Si trattava di sottoscrivere un patto d’integrazione fra Stati europei e di conferire alcuni attributi sovrani ad un’organizzazione sovranazionale, dotata di una volontà politica, di leggi e di istituzioni. Concretamente, il progetto politico di Spinelli aspira alla costruzione di una federazione di Stati: gli Stati Uniti d’Europa.

La dimensione europea era dunque l’unica garanzia di stabilità nell’arena internazionale. Ma la difficoltà di far prevalere l’interesse comunitario, rispetto a quello domestico, spesso ha impedito alla Comunità di acquistare quel carattere politico e sovranazionale tanto auspicato dagli europeisti, un carattere che sembra non aver mai ottenuto.

European Parliament – Flickr

Ancora oggi, infatti l’UE vive una crisi istituzionale causata da organi intergovernativi – Consiglio dell’Unione Europea e Consiglio Europeo – a cui manca la volontà politica di una visione comune del percorso europeo e che, molto spesso, ne bloccano lo sviluppo. Allo stesso tempo, il potere di tali istituzioni impedisce agli organi che rappresentano gli interessi generali dell’Europa, ossia la Commissione e il Parlamento, di assumere un ruolo più incisivo sul processo decisionale. Paradossalmente, sarebbe più facile ipotizzare che il cambiamento possa partire dai singoli Stati che non a livello comunitario.

Oltre ad una difficoltà istituzionale, l‘Unione Europea sembra attraversare una crisi intellettuale e identitaria, ma soprattutto democratica. Il principale sintomo di questa deriva è l’ascesa dei partiti euroscettici, nati come reazione contro la perdita di credibilità dell’ente Stato. La diffusione del sentimento nazionalista mira, però, al rilancio dei valori patriottici, proprio laddove si pensa essere stati delegittimati: in Europa. Ecco allora che si accentuano gli egoismi domestici, i quali fanno dell’Unione un ostaggio nelle mani dei singoli governi.

Quella di oggi, insomma, non è certo l’Europa immaginata dai padri fondatori, come Altiero Spinelli. Sembra, piuttosto, che sia mancato il coraggio di fare dell’Europa un organismo veramente integrato.

In un recente articolo de L’Espresso (Missione Europa, 24 febbraio 2019) Massimo Cacciari ha scritto: «L’Europa vive se le sue nazioni e le sue culture avvertono, anche nei dissidi più tremendi, una destinazione comune. [..] A un Fine l’Europa può ancora sentirsi chiamata. Forse non riusciamo oggi a vedere quali soggetti possano rappresentarlo». Il problema è proprio qui: di crisi in crisi, la storia dell’integrazione europea dimostra che la ricerca di soluzioni comuni ha sempre rafforzato l’unione dei governi. In queste occasioni, tuttavia, è stata l’azione di grandi leader europeisti come Schuman, Monnet, Adenauer, a guidare gli Stati membri verso una risoluzione comune. 

Ancora oggi si continua a parlare di dare all’Europa una missione, nella speranza che nuove sfide comunitarie agiscano da collante e coinvolgano i governi membri a lottare per delle soluzioni europee. Tuttavia, queste sfide già esistono: le più citate sono senza dubbio la questione migratoria e climatica. Il vero problema è trovare la volontà politica di imboccare una strada comune per la loro risoluzione e, soprattutto, eleggere personalità politiche in grado di superare la retorica europeista. 

L’insoddisfazione verso l’Europa, si sa, è generale: le campagne delle destre si stanno riempiendo di discorsi sulla decostruzione, che esasperano i problemi dell’Europa e diffondono l’erronea convinzione che tali difficoltà siano invalicabili.  D’altra parte, la sinistra avverte quella disillusione del sogno europeo che ne fa vacillare le certezze, ma la sua fede la porta a gestire la questione europea con le mani dietro la schiena. Il suo linguaggio parla, infatti, di ricostruzione senza tuttavia offrire valide riforme e alternative per affrontare la questione comunitaria.

Foto di Theophilos Papadopoulos – Flickr

Un primo passo per rilanciare l’UE, potrebbe dunque essere quello di distaccarsi dagli odierni messaggi politici e dare ai cittadini una visione più veritiera dell’Europa, che la mostri per quello che effettivamente è. Solo in questo modo, valutandone i limiti e apprezzandone i vantaggi, è possibile scoprirne veramente le potenzialità. Le parole di Cacciari, intervenuto in un precedente incontro all’Università di Parma, Europa senza utopie, chiariscono il punto: “Chiedere che chi va alle urne sia preparato non significa chiedere che sia lo Stato a sviluppare queste competenze?” La conoscenza, in altre parole, è prerogativa della politica che ha il dovere di metterla al centro del proprio programma.

L’Europa merita piazze più europee, stampa più europea, ma ha anche diritto ad una politica più europea che, per diventarlo, deve prima abbandonare la vecchia visione dei padri, per scrivere un nuovo discorso comunitario, in grado di affrontare le sfide odierne. Sempre Cacciari: “L’idea di solidarietà federale non si è realizzata. L’assetto attuale non regge più. Forse le nuove generazione capiranno questa esigenza, poiché capaci di guardare il mondo con un occhio diverso”.

Di Martina Santi 

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