Insegnare ai migranti
LA STORIA DI LIDIA, FACILITATRICE LINGUISTICA IN TRENTINO
Il tema dell’emergenza immigrazione non può essere considerato una novità, è da sempre presente nel dibattito politico e sociale. Tuttavia, da quando la Lega è al governo questa problematica è diventata la priorità assoluta, soprattutto nella figura di Matteo Salvini, che porta avanti con convinzione una battaglia contro gli sbarchi, con l’ormai celebre slogan “Chiudiamo i porti”. Un’esposizione mediatica amplificata da fatti di cronaca recenti che dimostrano crescenti forme di intolleranza: si va dalla polemica sulla vittoria di Mahmood al Festival di Sanremo, fino alle ben più gravi azioni del maestro di Foligno e le scritte che incitano all’omicidio riportate su una casa nel Milanese, dove vive un ragazzo senegalese adottato da una coppia lombarda.
Per approfondire questo tema, spesso trattato con superficialità, è importante la testimonianza di chi vive quotidianamente a contatto con extracomunitari e richiedenti asilo. Per questo ho chiesto a Lidia, un’amica che lavora nel settore, di raccontarmi la sua esperienza. L’ho conosciuta durante il servizio civile presso il gruppo culturale Uomo Città Territorio, ha poco più di 30 anni, è siciliana e dopo il liceo si è trasferita a Trento, dove ha conseguito la laurea in Sociologia e Ricerca Sociale.
Che lavoro fai? Con che modalità? Quante ore la settimana?
“Sono facilitatrice linguistica: aiuto stranieri adulti nella comprensione e nell’utilizzo della lingua italiana in contesti di vita quotidiana. Mi occupo anche di curare l’aspetto del confronto culturale, per garantire a queste persone di orientarsi in modo adeguato nella vita in Italia e in Trentino in particolare. Per il momento sono impegnata 30 ore alla settimana e mi sposto in varie sedi, adeguandomi alle esigenze dei miei studenti.”
Con quante persone collabori?
Faccio parte di un’équipe multidisciplinare di 7 persone, ma poiché partecipo a diversi progetti, mi rapporto anche ad altri team che si occupano degli aspetti pratici della quotidianità di alcune delle persone che seguo. Fare parte di un gruppo, soprattutto quando è multidisciplinare, è un aspetto essenziale di questo incarico, necessario per poter fornire un buon servizio che badi alla totalità della persona e distolga da visioni parziali e grandemente falsate.
Come hai iniziato?
“In verità, non avevo mai pensato che avrei fatto questo lavoro. Come spesso accade nella vita, è stata una sequenza di casualità ad aprirmi diverse possibilità, che hanno accesso il mio interesse, facendomi scoprire questa passione. Ho iniziato come volontaria nel 2012, dopo la laurea, presso un’associazione che, tra le tante altre attività, organizza corsi gratuiti per adulti stranieri. La mia esperienza con loro è stata meravigliosa, mi ha insegnato e mi insegna ancora molto, oltre a farmi scoprire attitudini che non pensavo di avere.
Da lì, senza interrompere il volontariato e dopo diversi brevi lavori e il servizio civile, sono approdata nel 2015 a una proposta retribuita: insegnare ad adulti richiedenti asilo inseriti nel progetto di accoglienza diffusa del Trentino. Ho accettato con qualche perplessità, perché mi chiedevo se sarei stata in grado di farlo come lavoro. Ed è stata molto bella la sensazione di essere pagata per fare qualcosa che mi appassiona. Ho cambiato diverse sedi ed enti con alterne fortune e parecchia fatica, ma senza mai smettere di credere in quel che faccio.”
Quali sono le difficoltà principali nel confrontarti con persone che non solo parlano un’altra lingua, ma provengono spesso da contesti culturali molto differenti rispetto al nostro?
“Le difficoltà ci sono, ma io più che vederle come tali, considero le differenze culturali come grande motivazione per confrontarsi, comprendersi. Stimolano il dibattito, accrescono la voglia di esprimersi nel miglior modo possibile per poter parlare delle proprie tradizioni, della propria religione, della cucina, della propria identità. Parlarne per ritrovarle e ricostruirle qui del territorio in cui sono emigrati, parlarne per chiedere il perché qui non sia così come da loro in alcune cose e perché le persone li guardano male se salutano.”
Come strutturi le tue lezioni e come le calibri in base al livello dei tuoi studenti? Ci sono dei testi pensati apposta per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri adulti?
“Sì, ci sono parecchi testi pensati appositamente per l’insegnamento dell’italiano L2 agli stranieri adulti e ancora più nello specifico anche testi per richiedenti asilo. La maggior parte dei testi si focalizzano sugli aspetti contestuali di utilizzo della lingua, aggiungendo man mano gli elementi grammaticali per poter diventare sempre più indipendenti nella formulazione della comunicazione nella quotidianità. Questo perché si tratta di insegnare l’italiano come lingua seconda (L2), cioè una lingua che viene parlata nel contesto in cui gli studenti stanno vivendo.
Chiaramente poi ogni testo si specializza su diversi livelli. La condizione più difficile è quella delle persone che sono analfabete anche nella propria lingua madre, spesso tramandata e appresa solo oralmente, e che non conoscono nessuna lingua veicolare, ereditata con la colonizzazione. Strutturo le lezioni cercando di mantenere un equilibrio tra i diversi livelli degli studenti, occupandomi di tutte e quattro le competenze linguistiche (comprensione e produzione orale, comprensione e produzione scritta).
È importante non tralasciare gli aspetti di confronto culturale, monitorando debolezze e punti forti di ognuno, facendo fruttare la cultura di gruppo. Questi sono gli elementi a cui sono costantemente attenta, con grande flessibilità. Naturalmente ho degli obiettivi da perseguire, ma sul come ottenerli lascio che mi guidino anche gli studenti, con i loro interessi e tramite i loro stimoli, perché insegnare ad adulti non è altro che una continua contrattazione, più o meno consapevole, di un progetto formativo.”
Devi confrontarti con le istituzioni per il tuo lavoro? Quali?
“Certamente bisogna avere a che fare con la parte istituzionale del progetto, ma queste mansioni vengono svolte principalmente da altri colleghi.”
La vittoria della Lega, sia a livello nazionale sia di Provincia Autonoma di Trento, temi possa influenzare negativamente il tuo lavoro? Hai già sperimentato cambiamenti?
“I cambiamenti sono consistenti e all’ordine del giorno. Tutto il sistema di accoglienza diffusa del Trentino sta subendo uno smantellamento, neanche tanto graduale, provocando conseguenze non indifferenti sia per i lavoratori sia per gli utenti. In molti casi, noi lavoratori in questo settore siamo stati, siamo e saremo lasciati fuori.
Queste sono settimane cruciali per capire se lo sforzo degli enti che si occupano di immigrazione riuscirà a trovare un nuovo equilibrio di sopravvivenza, nonostante i tagli di risorse. Assistenza legale, facilitazione linguistica, assistenza all’integrazione lavorativa, assistenza psicologica, assistenza sociale sono e saranno ancor di più servizi esclusi dal progetto di accoglienza. Si respira un’aria molto pesante e lo smarrimento anche e soprattutto delle persone accolte è grande.”
Sempre in riferimento al clima politico, come vivi e come si riflette sulle tue lezioni la crescente intolleranza nei confronti degli stranieri?
“Io rispondo alle domande degli studenti e non faccio mistero alcuno di quali siano le scelte politiche del governo nazionale e provinciale. È giusto siano informati e sono loro stessi che, vedendo il telegiornale e ascoltando le storie degli amici con le loro disavventure, sentono l’esigenza di capire meglio cosa sta succedendo e mi chiedono informazioni. Però, i nostri confronti in classe non hanno nulla di allarmistico. Mettono sul tavolo le cose come stanno. Ma ricordo sempre loro che ci sono tante persone qui su cui ancora possono contare e che esisterà sempre una soluzione, se abbiamo tutti voglia di impegnarci per trovarne una.”
Abbiamo parlato delle difficoltà, quali sono invece le soddisfazioni?
“Sono moltissime. Io imparo da loro più di quanto loro non pensino. E, ogni volta che loro intraprendono la loro strada, trovano un lavoro, raggiungono una competenza linguistica che li rende indipendenti, è per me un’enorme soddisfazione.”
Credi che il tuo stipendio sia adeguato rispetto ai tuoi compiti?
“Purtroppo no, ma questo è un problema dell’ambito sociale temo.”
Pensi di poter svolgere questo lavoro sul lungo termine? Se no, per ragioni personali oppure per motivi politici?
“I motivi politici incombono ben più pressantemente di quelli personali, ma credo che, in ogni caso, non potrei fare questa professione a lungo termine, a queste condizioni. È un lavoro molto impegnativo, anche emotivamente, e il clima politico rende le condizioni ancora più difficili, nonostante questo accresca per contro la passione nel farlo e la percezione della sua utilità.”
C’è la storia di un tuo alunno alla quale sei rimasta particolarmente legata?
“Tutte! Non lo dico per dire, ma, davvero, tutte le storie dei miei studenti mi hanno insegnato qualcosa. Su me stessa, su come va il mondo, su cosa sia veramente la resilienza, su cosa voglia dire cercare a tutti i costi una vita migliore, su come si faccia a non arrendersi, su sorrisi stampati in volto per il solo fatto di esserci e di avere la possibilità di fare qualcosa della propria vita. E anche su tutto ciò di negativo che porta la frustrazione di essere, nella maggior parte dei casi, uomini forti, intelligenti, capaci, volenterosi e socievoli, pieni di competenze e risorse, e vedersi trattati come bambini, indeboliti e depauperati di quella che nei loro Paesi è fonte di vita per tutta la famiglia.”
di Valentina Bortolamedi
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