“La Merda”: il corpo nudo come mezzo di denuncia sociale
AL TEATRO DEL CERCHIO IL RABBIOSO FLUSSO DI COSCIENZA CHE HA SCONVOLTO L'EUROPA
Sabato 9 marzo è andato in scena, presso il Teatro del Cerchio, il pluripremiato spettacolo ‘La Merda‘, scritto da Cristian Ceresoli e interpretato da un’immensa Silvia Gallerano. Un rabbioso flusso di coscienza che mette a nudo, letteralmente, la sua protagonista. Perennemente in bilico tra picchi di estrema drammaticità e momenti più leggeri caratterizzati da una pungente ironia, il testo ci presenta senza filtri tanto le debolezze quanto i tentativi di ribellione di una giovane donna alla ricerca della propria identità, che vive un rapporto sofferto con il proprio corpo e con le proprie ambizioni. Già vincitore nel 2012 del Fringe First Award for Writing Excellence e del The Stage Award for Acting Excellence per l’interpretazione della Gallerano, il monologo continua a riscuotere un enorme successo di pubblico, soprattutto all’estero, tanto che è stato tradotto in oltre dieci lingue ed è già arrivato al suo sesto tour mondiale.
“Certo che ci vuole del coraggio“, questa frase riecheggia per tutti i tre atti dello spettacolo e ne costituisce persino l’incipit. Ed effettivamente è così, ci vuole davvero un gran coraggio per portare in scena un testo come quello de ‘La Merda’, così caustico ed impegnato ma al contempo delicato e godibile; ci vuole un gran coraggio per presentarsi completamente nudi e soli di fronte ad un pubblico di più di duecento persone, senza alcuna scenografia o fronzolo che possa distrarre l’attenzione; e di certo anche per assistere a tutto questo come spettatori. Il monologo infatti potrà piacere o meno, come è naturale che sia, ma di certo non lascerà indifferenti: in un modo o nell’altro, usciti da quella sala, bisognerà fare i conti con quanto appena visto ed ascoltato. Durante lo spettacolo si ride, ci si emoziona, ci si spaventa e, soprattutto, si vive un’esperienza profonda ed estremamente personale, che varia in base allo stato d’animo e alle possibilità di immedesimazione di ogni singolo spettatore. Fin da subito appare evidente che non si tratterà della solita messa in scena: appena entrati in sala ci si ritrova di fronte l’attrice, completamente svestita e rannicchiata sopra ad un piedistallo, e ad illuminarla cinque potentissimi fari, puntati dal basso, che ne evidenziano fortemente la figura, quasi fosse un oggetto da esposizione. Mentre il pubblico prende posto, Gallerano emette versi e mugugni difficilmente distinguibili, osserva il pubblico, sembra che voglia inquietarlo e giocarci al tempo stesso.
Ad un tratto le luci si abbassano ed ecco che comincia lo spettacolo vero e proprio. Si tratta di una tragedia in tre tempi, scanditi tra loro da brevi intervalli di buio assoluto: ‘Le Cosce‘, ‘Il Cazzo‘, ‘La Fama‘. Ognuno di questi titoli rappresenta uno dei macro-temi dello spettacolo, dal rapporto della protagonista con il proprio corpo, a quello con le figure maschili presenti nella sua vita, fino alla ossessiva ricerca della sua più grande ambizione: il conseguimento di un successo che potrà finalmente validarla come persona. Tale suddivisione tematica non è tuttavia così netta come potrebbe sembrare ad un primo sguardo, il testo è ricco di collegamenti tra i vari atti, e non si tratta mai un argomento per poi abbandonarlo e passare al successivo, ogni elemento viene ripreso e trasformato in qualcosa di diverso, dalle dita morsicate della protagonista che possiamo ritrovare nell’aneddoto sui tentacoli del polpo, fino al potente climax finale, in cui la maggior parte degli episodi raccontati in precedenza tornano in una studiatissima ‘accozzaglia’ di gesti, parole, e rimandi. A concludere il tutto, un controtempo intitolato ‘L’Italia‘, nel quale assistiamo ad una versione decisamente particolare dell’inno nazionale, interpretata dalla Gallerano stessa, che l’autore definisce nelle note del testo come: “Controfinale cantato, disperato, unplugged, blues, straziante. Un inno al disgusto, eseguito con raffinata sapienza canora“.
Che cosa succede quando continuiamo ad ingurgitare le nostre sofferenze, adeguandoci ad un mondo che ci vuole sempre diversi da come siamo, che ci porta a dover soddisfare requisiti imposti da altri, snaturandoci come individui? Che cosa succede quando decidiamo di ingoiare ogni pillola, ogni insicurezza, ogni ingiustizia, nella speranza che questo serva a farci stare meglio? Che cosa succede quando siamo disposti a mandar giù qualsiasi sopruso ed umiliazione, pur di conseguire un qualche obbiettivo? Succede che non possiamo trattenere in eterno, tutto ciò di cui ci siamo avidamente nutriti finisce per tornare fuori, più fetido e nauseante di prima, magari in una forma diversa, ma ugualmente riconoscibile. Questo il messaggio di fondo de ‘La Merda’. Una pungente critica al nostro Paese, alla società occidentale tutta, e a quella cultura della fama e del successo a tutti i costi che tanto viene celebrata. Un testo duro, che porta davvero a riflettere su più livelli, ma che non rinuncia ad un’ironia di fondo che è parte integrante della sua efficacia comunicativa. Durante i tre monologhi si ride, è vero, ma si tratta spesso di una risata amara, sarcastica. Curioso il fatto che la parola ‘sarcasmo‘ affondi le sue radici proprio nel termine greco ‘sarx‘, ‘carne‘: un’allusione alla mordacità che questo tipo di umorismo porta con sé. E proprio quella carne è la stessa che ci appare nuda sul palco, completamente esposta ed indifesa di fronte ai morsi dell’esistenza. La nudità dell’attrice, infatti, non è, come alcuni hanno sostenuto, tentando addirittura di censurare l’opera, un semplice espediente per generare scandalo: la pelle esposta della Gallerano diventa in questo spettacolo il più fondamentale dei costumi di scena. L’assenza dei vestiti rende l’attrice impossibile da inquadrare all’interno di una categoria, ella può essere tutti e nessuno di noi, come testimoniano i frequenti cambi di voce, tonalità ed intenzione che si susseguono nel corso dei monologhi, come se si trasformasse improvvisamente in qualcuno di diverso. Il nudo sottolinea inoltre la vulnerabilità, ma anche la rabbia cruda e primitiva della protagonista, che ci appare davanti agli occhi esattamente com’è, priva anche di quell’ultima convenzione sociale che è dai più considerata irrinunciabile: i vestiti.
di Gabriele Sani
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