No agli aborti in ospedale pubblico: in Argentina decidere sul proprio corpo è un lusso di poche

UNDICENNE VIOLENTATA DAL COMPAGNO DELLA NONNA: SCOPRE DI ESSERE INCINTA SOLO DOPO 19 SETTIMANE. I MEDICI TEMPOREGGIANO, IMPEDENDOLE DI INTERROMPERE LA GRAVIDANZA. LA RAGAZZA VIENE SALVATA DA UN PARTO CESAREO

È successo ancora una volta, ancora in Argentina. Dopo il recente caso della dodicenne violentata e messa incinta da un uomo di 60 anni nella provincia di Jujuy, estremo nord-ovest del Paese, è la volta di una undicenne di Buyurracù, nella provincia di Tucumàn, stuprata dal compagno 65enne della nonna. La ragazzina ha scoperto di essere incinta solo alla 19esima settimana, quando lo scorso 28 gennaio è stata portata d’urgenza dalla madre nell’ospedale Eva Perón, a seguito di forti dolori all’addome. Le autorità sanitarie oltre a ritardare la procedura di aborto, le hanno iniettato dei corticosteroidi per far crescere il feto, cercando di convincerla a portare a termine la gravidanza. La tragica odissea si è conclusa solo poche settimane fa, quando la piccola è stata sottoposta da due medici privati a un parto cesareo, ritenendo ormai troppo rischioso l’aborto alla 23esima settimana.

A ripetersi nelle vicende vi è qualcosa che spaventa forse ancor più della violenza in sé: come possono dei medici opporre resistenza alla pratica dell’aborto anche in casi rischiosi come questi? Come possono dei medici mettere in pericolo la vita di due bambine? La dodicenne di Jujuy ha ricevuto l’autorizzazione alla procedura di aborto solo quando il governatore provinciale Gerardo Morales ha ritenuto che la vita della piccola fosse a rischio, a causa del temporeggiamento dei medici dell’ospedale che la intimavano di aspettare che il bambino nascesse, per poi darlo in adozione. All’undicenne di Buyurracù è andata decisamente peggio: non aveva dalla sua né i medici né le autorità, che per ragioni elettorali si sono opposti alla pratica (il governatore antiabortista di Tucumán, Juan Manzur, non a caso, si ricandiderà alle provinciali di giugno). Tucumán, dichiaratasi ‘provincia a favore della vita’, è una delle province dell’Argentina che non aderisce al protocollo ILE, Interrupción Legal del Embarazo, che prevede la legalità dell’aborto in caso di stupro o in caso in cui la gravidanza metta la donna in pericolo di vita. I due medici privati che hanno praticato l’intervento, infatti, hanno dovuto procedere in completa autonomia perché nessun medico dell’ospedale pubblico Eva Perón voleva essere coinvolto nella vicenda. Secondo gli avvocati, la bambina “è stata costretta a partorire: se fosse stata trattata per tempo sarebbe stato possibile avere accesso ad un aborto farmacologico, che è più sicuro e meno traumatico” di un cesareo praticato in età pediatrica. Cosa ci sia di ‘pro-vita’ in queste decisioni è ancora tutto da scoprire.

Lo scorso giugno il progetto di legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, dopo essere passato alla Camera, è stato bocciato, poiché respinto dal Senato. Ma il movimento Ni Una Menos non demorde: la campagna per la legalizzazione dell’aborto, ‘Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito’, che era cominciata nel 2005, continua a impegnare migliaia di donne. Con i loro fazzoletti verdi al collo, recentemente hanno invaso ancora le piazze con l’obiettivo di riuscire a conquistare la libertà di scelta sul proprio corpo e sulla propria vita: una libertà che non guarda in faccia al denaro di chi può permettersi le cliniche private, ma solo ed esclusivamente ai diritti umani.

Qui in Italia, nel frattempo, il prossimo 29 marzo è previsto il World Congress of families, che riunirà a Verona leader conservatori da tutto il mondo per invocare il ritorno alla ‘famiglia naturale’ e l’abolizione della legge 194 sull’interruzione della gravidanza. Accanto alla numerosa rappresentanza di Russia, repubbliche ex-sovietiche e Paesi africani dove l’aborto, insieme a divorzio e omosessualità, è considerato reato, saranno presenti i vertici della Lega e del governo, dal vicepremier Matteo Salvini al senatore Pillon; ma anche una grande fetta della destra all’opposizione, da Giorgia Meloni ad Antonio Tajani. A promuovere il raduno è il veronese ministro della famiglia Lorenzo Fontana, dichiaratamente iscritto al Comitato No194, che, ricordiamo, propone il carcere sia per la donna che abortisce, sia per il medico.

Come si dice in questi casi? Ah sì, #JeSuisArgentina.

di Federica Gernone

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