Disimparare a imparare: l’educazione libertaria

IL PROFESSORE DI STORIA DELL'ARTE EDMONDO DE GALLIS INTERVISTATO PARLA DELL'EDUCAZIONE LIBERTARIA

NeONBRAND / Unsplash

Cosa vuol dire insegnare a scuola? Avremmo potuto chiederlo ad un qualunque insegnante, e senz’altro dopo quest’articolo qualcuno si farà avanti per controbattere e avrà qua lo spazio per farlo. Intanto lo abbiamo chiesto ad un ‘cane sciolto’ della scuola, il professor Edmondo De Gallis, che insegna da ‘clandestino’ in una scuola statale un metodo libertario di educazione. Scrive sul blog scuolalibertaria.blogspot.com.

Ci ha parlato della sua idea di anarchia, del metodo di educazione statale che contesta, di una società che secondo il professore non crea persone libere ma ‘sudditi’.

Kiskanu era una scuola libertaria di Verona, dal 2004 al 2011  ha insegnato ai ragazzi senza dare voti. Adesso ne è nata un’altra in Alto Lazio, e il modello si sta diffondendo in Italia. Può spiegarci cos’è una scuola libertaria?

Non parlerei di ‘modello’, in riferimento alle scuole libertarie. Ognuna è una realtà a sé, e ogni giorno le cose cambiano, anche se i princìpi di base sono gli stessi. Dire che in Italia le scuole libertarie sono in espansione mi sembra un azzardo, come minimo. Ci sono, è vero, delle scuole che si definiscono libertarie, ma dal definirsi tali ed esserlo veramente ce ne passa. Invito dunque all’attenzione in questo senso. Quando avremo un luogo informale e deistituzionalizzato dove nessuno impone agli altri quello che bisogna essere, quello che bisogna fare, e quando farlo, allora potremo chiamare quel luogo scuola libertaria.

A mio modo di vedere, una scuola libertaria, oggi, in questa società, è un appuntamento con il terrore, perché le masse hanno paura della libertà. Una volta assaporata, ci si accorge invece che la libertà non nuoce e non produce caos, ma proprio il contrario. Il caos e la violenza appartengono a questo sistema antilibertario. Ma a ben vedere i bambini non scolarizzati non hanno alcun bisogno di vivere la libertà, perché si nasce già liberi, con una matrice anarchica. Perciò penso che una scuola libertaria destinata ai bambini sia effettivamente inutile, un controsenso, ma nella situazione attuale, in questa società, la scuola libertaria è necessaria perché protegge la libertà e l’autonomia dei bambini dall’attacco delle funzioni educative autoritarie, che ormai sono ovunque.

Quando la società avrà imparato a diffidare della sua propria cultura e si sarà liberata dalle gerarchie, dai dogmi e da tutti i padroni, le scuole libertarie non avranno più alcun motivo di esistere. Ma finché si manderanno i bambini a scuola, cambiare questa società sarà impossibile, e col tempo la scuola non potrà che esasperare le funzioni autoritarie dei suoi dispositivi di controllo e di repressione. Descolarizzare la società è indispensabile.

L’anarchia significa caos, disordine? Cosa significa anarchia?

Anarchia significa tutto il contrario di quel che si pensa comunemente. Ci sono molte informazioni e molti documenti, specialmente oggi su internet, da cui trarre le risposte giuste per la tua domanda, l’importante però è non affidarsi alle fonti ‘di fiducia’ dove, è ovvio, non troveresti che risposte false e tendenziose. Secondo me, un buon inizio sarebbe leggere quanto scrisse Errico Malatesta nel Programma anarchico. Non si trova a scuola.

Lei insegna in una scuola statale, ma non è d’accordo con il modello educativo statale. Per quali motivi?

‘Insegno’ da anarchico in una scuola statale proprio perché non sono d’accordo con la sua impostazione autoritaria. L’operaio scontento della fabbrica e del padrone esprime il suo dissenso ai suoi colleghi. Il soldato dissidente esorta i commilitoni alla diserzione. Io che lavoro in una scuola, proprio in virtù di quanto essa va affermando, e cioè che la scuola sarebbe un luogo dove prospera e si insegna il pensiero critico, metto in pratica i suoi stessi dettami,  promuovendo altri punti di vista sul mondo. Ma fare questo per davvero, e non soltanto a chiacchiere, è, per la scuola stessa, un crimine. E allora, se questo viene considerato un crimine proprio da quell’istituzione che si vanta di essere paladina del pensiero critico, allora la scuola è ipocrita ed è un serissimo problema per la società. E in effetti lo è!

Che cos’è per lei insegnare? Quando lei è in classe come interagisce con i ragazzi, come valuta il loro comportamento?

Non valuto alcun comportamento, non valuto niente, non classifico. Se inserisco dei numeri sul registro lo faccio esclusivamente per riempire un foglio di carta chiamato pagella e compiacere così chi lavora nel reparto amministrativo burocratico. Gli studenti sanno che, per quanto mi riguarda, i voti non rappresentano nulla di veramente importante. Purtroppo però il numero di ore in presenza dei colleghi tradizionali è più alto rispetto alle mie poche ore settimanali, e così, loro malgrado, i ragazzi imparano presto ad associare un numero valutativo alla propria persona. Spiegare queste cose, come sto facendo con te, è sostanzialmente il mio modo di interagire anche in classe. Svelo il male della scuola. Faccio prendere coscienza. Che decidano i ragazzi, poi, in autonomia, cosa fare della propria vita e della scuola.

L’importante è conoscere le cose, guardarle bene da ogni lato, rivelarle, il mio è un lavoro da artista cubista. I bambini più piccoli riconoscono subito la gabbia in cui sono stati cacciati, mentre i ragazzi delle superiori hanno già una coscienza viziata, intrappolata dal dogma scolastico, e tendono già a difendere con forza quel male che pochi anni prima, alle elementari, percepivano molto bene. Ecco a cosa conduce il percorso educativo della scuola, a difendere le proprie catene, e a volerne sempre di nuove. E’ ciò per cui la scuola è stata inventata. Si tratta del programma occulto di cui ha scritto Ivan Illich.

Come partecipano i ragazzi alle lezioni?

Non faccio lezioni in modo tradizionale, a meno che non lo vogliano gli studenti, comunque mai in modo direttivo. Spesso rimango ad osservare le loro dinamiche da cui trarre insegnamenti e spunti di riflessione comune. Ci sono domande che saltano fuori in modo spontaneo, come dovrebbe essere il vero apprendimento, quello incidentale. E allora si imbastisce un discorso che può essere legato al ‘programma’, ma anche in questo caso non esiste un modello universale. A volte gli argomenti dell’anno vengono scelti dagli stessi ragazzi. Una vera eresia nella scuola pubblica (ma anche privata)! Certo non è facile auto-organizzarsi, ma la difficoltà è rappresentata soltanto dall’insieme di ostacoli e limiti imposti dalla scuola, altrimenti imparare liberamente e incidentalmente è la cosa più facile e gioiosa del mondo. Anche la più naturale!

In che modo i ragazzi esprimono la loro creatività?

Vedo la creatività innata dei bambini scemare via via che la scuola li normalizza e li rende uniformi, soldati, massa sociale. Gli slanci artistici, cioè il porsi fuori dagli schemi consueti, non sono contemplati, sono anzi puniti fattivamente. Presto i bambini diventano quello che gli altri, genitori e docenti, hanno deciso che diventino. Da adulti saranno tutti degli yesmen adattati al sistema e ai binari della cultura corrente. Ecco perché la creatività, nella scuola, è solo un bene da predicare, ma un male da perseguire, proprio come la libertà, che è una bella parola che fa molto comodo tirar fuori quando conviene, ma che nei fatti provoca terrore ed è criminalizzata.

Questa è una società che non crea, è senza fantasia, copia e basta, ripete le cose, si rifugia nel consueto, ma proprio nel consueto muore. Le eccezioni ci sono, per fortuna, ma sono la conferma della regola, si tratta di quei geni che si sono salvati dall’azione demolitrice della scuola, o sono quelli che a scuola non ci sono mai andati. A quanti autodidatti pazzi dobbiamo dire grazie! E’ solo grazie a loro che l’umanità ha fatto dei passi in avanti, ma la società continua a condannarli, la scuola a punirli, e gli scolarizzati a scacciarli, sdegnati e presuntuosi.

Cosa pensano i suoi colleghi del metodo libertario di educazione?

I miei colleghi sono il quadro esatto dell’ipocrisia della società. Ovvio, la insegnano! Essi da un lato elogiano il pensiero critico, ma all’atto pratico sono le persone più conservatrici e autoritarie che io abbia mai incontrato nella vita. Non ho trovato nessun insegnante che non si sia definito ‘rivoluzionario’ e ‘mentalmente aperto’, ma queste sono autodefinizioni che non hanno alcun riscontro nella realtà. Normalmente i docenti si dichiarano tutti molto bravi ed esperti nel loro lavoro, e lo sono davvero, ma non in senso libertario! Lo sono invece per le finalità tradizionali e autoritarie della scuola, che essi portano avanti in modo davvero impeccabile.

Cosa ne pensano gli alunni, e i genitori?

I genitori sono degli adulti scolarizzati, quindi mal sopportano ogni cosa che va fuori dagli schemi. Ma mi capita di parlare con loro, e quando spiego che io davanti a me, in classe, non vedo studenti, ma esseri umani, è difficile che qualche genitore abbia da ridire. Il genitore, in quanto tale, apprezza il fatto che il docente rispetti suo figlio in quanto persona, con le sue esigenze. Sembrerà un paradosso, ma ho trovato più ostilità e ottusità da parte dei miei colleghi e colleghe che non da parte dei genitori. Gli studenti, ripeto, sviluppano un carattere autoritario a causa della scuola (ma non solo) e di conseguenza più si avvicinano all’età adulta e più non sopportano ciò che li fa pensare in un altro modo. Ho trovato ragazzini di 12 anni che sono la copia esatta dei genitori, con le stesse resistenze degli adulti scolarizzati, figuriamoci i ragazzi di 18 anni. E infatti, a causa del processo di istruzione obbigatoria, a 18 anni i ragazzi sono già dei sudditi ‘fatti e finiti’, pronti per consegnare la propria vita ad un padrone e/o per aspirare e diventarlo.

Lei insegna storia dell’arte. Che cosa differenzia il suo insegnamento da quello dei suoi colleghi? Usa libri, slide? Fa lezioni frontali o dialoghi? E gli studenti l’hanno mai contestata, le hanno fatto cambiare idea sul suo modo di insegnare?

Sono io che li esorto a contestare, quando esistono i motivi per farlo. Soprattutto nei riguardi del programma ufficiale, dei testi ufficiali, noi non siamo soliti a ingoiare la pappa pronta che altri vorrebbero darci senza prima fare un minimo di osservazione critica anche sul motivo per cui ci debbano somministrare la loro pappa. Spesso le nostre lezioni si basano sulle riflessioni personali, sulla critica del dato calato dall’alto. Per noi i libri di scuola rappresentano quel che sono veramente, cioè dei confini mentali, che però noi aggiriamo e oltrepassiamo. Così facendo troviamo altre strade, nuove possibilità che ci sembrano più vere ed esaltanti.

Tuttavia rimaniamo col problema principale, insormontabile, quello dei limiti e dei divieti imposti dalla scuola, i quali ci vietano di dare respiro al nostro tipo di apprendimento, per cui il nostro diventa solo un’esperienza nascosta, intima ed esclusiva. Direi reclusiva. Non si facciano illusioni, tutti quanti: il sistema non si cambia dal di dentro. Puoi solo buttare un seme e sperare che resista e germogli in tutto questo terreno avvelenato che abbiamo intorno.

Negli ultimi anni la cronaca sulla scuola riporta molte violenze, da parte dei ragazzi e anche dei docenti. L’ultimo esempio (4/3, giornale.it) riguarda una scuola elementare di Firenze, in cui una maestra ha spinto un suo alunno a terra di proposito, per farlo picchiare da un suo compagno. Qual è la causa di queste violenze, secondo lei?

Ci sarebbe da stupirsi se qualche studente non reagisse all’azione repressiva e coercitiva della scuola. Non possiamo immaginare nessuno che non abbia una adeguata reazione di fronte a una mancanza di libertà che dura anni e anni. Quindi gli episodi di violenza dei ragazzi sui loro insegnanti sono la logica conseguenza del trattamento che ricevono. Non è mai colpa dei ragazzi. E se esistono atti di violenza degli insegnanti sugli alunni, posso semplicemente dire che questi insegnanti usano violenza ogni giorno, una violenza che non si vede, ma c’è ed è molto grande, prova ne è la reazione umanissima di qualche studente.

In campo psichiatrico, Basaglia ci aveva insegnato che la libertà guarisce anche dalle pulsioni violente delle persone ridotte in costrizione (non a caso per gli animali si dice ‘tenuti in cattività’). La scuola, che reclude ogni nuova generazione per anni, fa però esattamente il contrario di Basaglia: incatena ancora di più il recalcitrante, lo punisce, lo intontisce con i farmaci, dopo averlo classificato ed etichettato (la scuola ha moltissimi modi per etichettare qualcuno). Morale: chi si difende dalla violenza istituzionale non dovrebbe mai essere accusato e condannato, ma è ciò che la scuola fa ed insegna a fare.

Quale impatto hanno avuto le recenti riforme nel suo ambiente scolastico?

Tutte le riforme, non solo quelle degli ultimi anni, sono state progettate per compiacere il capitale, le esigenze del mondo padronale. E tutte le scuole, non soltanto dove opero io, subiscono necessariamente l’influenza nefasta delle riforme. La riforma non è altro che il rinnovamento dei dispositivi del sistema. Non è cambiamento. Per i molti la riforma è una soluzione ai problemi, ma per chi possiede il potere è l’ottima l’occasione per rinnovare e rafforzare gli strumenti repressivi.

di Fabiano Naressi

 

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