Scontro generazionale: noi bamboccioni, loro egoisti
GLI UNDER 35 SEMPRE PIÙ MAMMONI, MA LE CAUSE SONO ECONOMICHE ED È COLPA ANCHE DEI LORO GENITORI BABYBOOMER
Prendete una stazione ferroviaria, o un vagone. Prendete una banca, o qualche ufficio postale. Cos’hanno in comune? Ebbene, osservando, vi accorgerete che in fila sbuffando o seduti annoiati, vi sono esemplari di generazioni differenti. Forse, vi potrebbe capitare di sentir bofonchiare: “I giovani di oggi fra i 25 e i 34 anni non vogliono fare nulla, – e ancora – mantenuti dai genitori, sono dei fannulloni”.
E no, non è proprio così, o per lo meno, è riduttivo e scorretto. E, per di più, è giusto mantenere la fila anche in questo caso: in ordine, il primo a dare il via alla serie di etichette diversamente carine fu Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia allora, che nel 2007 esordì con ‘bamboccioni’, passando per ‘choosy’ (schizzinosi) della ex ministra Fornero, fino al ‘non averli più fra i piedi’, in riferimento ai giovani expat, di Giuliano Poletti, nel 2016. Insomma, una generazione derisa, spesso ignorata, sicuramente non compresa.
DATI ALLA MANO – Passando dalle dichiarazioni ai dati, emerge come la situazione sia alquanto più complessa. È vero, l’Italia presenta la più alta percentuale di under 35 che rimangono a casa dai genitori: il 66,4%; peggio solamente Grecia, Croazia, Slovacchia e Malta. Pensare che ciò sia da imputare semplicemente all’incapacità di fare una lavatrice o del preferire la lasagna domenicale della zia è ingiusto, è necessario dare un’occhiata anche ad altri numeri per comprendere quali siano i fattori (in maggioranza economici) che li rilegano a casa con mamma e papà. Innanzitutto, la disoccupazione giovanile in Italia è una delle più alte rispetto agli altri paesi dell’UE, circa il 32% (quasi il doppio della media europea). Allo stesso modo, il Belpaese si conferma fra le ultime posizioni anche in relazione agli stipendi: secondo un’analisi della ‘Global Remuneration Planning Report’ che tiene conto anche del costo della vita e della pressione fiscale delle singole nazioni, i dipendenti italiani percepiscono un salario netto che è quasi la metà di quello dei colleghi tedeschi (23mila euro contro i 47mila). Se è da tenere in conto che, da noi, due studenti universitari su tre durante la formazione tendono a vivere sotto il tetto familiare (mentre la media europea è di uno su tre), si deve anche considerare il sistema scolastico italiano che porta a dedicare allo studio quasi 44 ore settimanali, il 30% in più rispetto ai coetanei europei. Questo spesso impedisce ai giovani di portare avanti carriera universitaria e, nel frattempo, una lavorativa che possa garantire loro un’indipendenza economica dai genitori. E per quanto riguarda quei cervelli in fuga che, abbandonato il nido, “è bene rimanessero dove sono andati”? Spesso criticati, senza neppure fermarsi a riflettere su quanto sia difficile prendere e abbandonare tutto in cerca di un ambiente più stimolante, risultano oggi essere quasi 100 mila, numero che potrebbe scendere in vista della sempre maggior precarietà (i giovani fra i 18 e i 34 anni sono una delle categoria più a rischio povertà) che non concederà neanche più la possibilità di cercare fortuna altrove per mancanza di un budget iniziale che permetta questo passo.
LA MORALE DEI BABYBOOMER – Dunque, la situazione è ben articolata, perciò inaccettabile che venga ricondotta a semplici stereotipi pronunciati da adulti. Che poi, a sentir fare la morale da coloro che giovani lo sono stati negli anni dell’entusiasmo, e hanno aspirato ad esserlo per tutta la vita, proprio non va. Sì, perché quei bamboccioni sono figli dei cosiddetti ‘babyboomer’, i nati fra il ’45 e il ’65, il periodo della ripresa economica e demografica. Loro nati e cresciuti quando tutto sembrava andare per il meglio, quando la parola chiave era ottimismo e sembrava possibile trovare un lavoro, affermarsi, comprare casa. Loro laureatesi quando non era obbligatorio per trovare un lavoro dignitoso, ambire a posti di dirigenza, avere un salario adeguato e i costi (compresi degli affitti) non erano così proibitivi, mentre oggi una triennale non basta più e allora via di magistrale, master e dottorati, per aspirare poi a un impiego malpagato. Loro che non hanno fatto nulla per salvaguardare l’ambiente, abusando dei combustibili fossili (e ora tocca proprio a quei fannulloni sobbarcarsi dei problemi del pianeta da loro calpestati). Fortunati? Sicuramente. Egoisti? Forse. Irresponsabili? Probabilmente.
Certo, non è opportuno scaricare le colpe alle generazioni precedenti. E dovrebbero imparare a non farlo neanche loro, con quelle successive. ‘Fare di tutta l’erba un fascio’ è sempre sbagliato, dovrebbero saperlo. Per di più se ci si riferisce a chi quest’Italia avrà il compito di farla ripartire. I giovani sono sbandati (come tutti quelli della loroetà), non sanno dove andare, né quale strada seguire per realizzare quei sogni che forse con l’American Dream del Novecento qualche somiglianza ce l’hanno, seppur con meno pretese. Gli adulti, allora, dovrebbero insegnareloro come coltivare grandi ideali, e come in virtù di questi agire in maniera più efficiente di come hanno fatto loro, evitando certi sbagli. Dovrebbero, come minimo, condividere con i figli la musica dei Beatles e dei Rolling Stones. Di certo, non affossarli in partenza con etichette discutibili. Hanno grandi capacità anche loro, e fame, molta fame.
E così eccolo, tornando alla stazione ferroviaria, il ragazzo bamboccione che prende l’ennesimo treno per andare a studiare. Ecco l’altro, che conta gli spiccioli della colletta fra coinquilini per pagare la bolletta scaduta. Ecco, l’altro ancora che preleva dallo sportello i soldi guadagnati con il lavoretto del sabato sera.
No, non sono tutti degli scansafatiche.
di Beatrice Matricardi
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