La crisi globale dell’acqua si combatte a partire dallo sciacquone del water

IL CICLO DELL'ACQUA È ORMAI ALTAMENTE CONTAMINATO, GLI SPRECHI SONO TANTISSIMI E QUELLA E' UNA RISORSA FINITA: COSA CHIEDERE ALLA POLITICA?

La disponibilità dell’acqua sulla Terra è stato uno degli argomenti più dibattuti nei giorni delle manifestazioni internazionali per il clima, uno dei problemi più grossi del quale si è chiesto alla politica di farsi carico. È necessario però fare un po’ di chiarezza nell’analizzare il fenomeno, portando alla luce alcuni dati che dovrebbero far riflettere prima di capire cosa chiedere a chi ha il potere.

UNA RISORSA FINITA – Frequentando le scuole elementari e medie, tutti quanti abbiamo studiato quella cosa facile e intuitiva che risponde al nome di ‘ciclo dell’acqua’. Questo comodo argomento di interrogazione, che i più facevano a gare per esporre, ci faceva arrivare a una conclusione, semplicistica e consolatoria: l’acqua che abbiamo a disposizione è infinita perché deve stare a un riciclo continuo. Beh, notizia dell’ultima ora: non è più così. Quando parliamo di acqua dobbiamo pensare a una risorsa finita nel senso matematico del termine: limitata. Infatti, per quanto il nostro sia stato ribattezzato come il “Pianeta blu”, rischia di non esserlo più. Ben il 97% dell’acqua qui presente è rappresentato dai mari e dagli oceani, però a noi è consentito ‘divertirci’ solo con il restante 3%. Allora uno potrebbe pensare: “Fortuna vuole che ci sia il ciclo dell’acqua”. Già, ma sempre per la rubrica “Forse non tutti sanno che” quel ciclo oggi è altamente contaminato dall’uomo, che con le sue azioni, le sue industrie, e le sue manomissioni di ecosistema, entra a gamba tesa e modifica un equilibrio che fino allo scorso secolo si reggeva da solo.

Oggi è necessario parlare di crisi globale dell’acqua non solo per le guerre che si sono combattute, si combattono e si combatteranno per essa, non solo per la scarsità che alcune zone della terra vivono e alla quale è strettamente necessario rimediare, ma perché noi stessi e il nostro mondo ‘sviluppato’ dobbiamo fare i conti con un’inversione di equazione. Fino a qualche anno fa, infatti, in un tempo in cui l’offerta d’acqua superava di gran lunga la domanda, lo stile di vita dell’uomo si è assestato su dei ritmi e dei numeri che consentivano di vivere nell’abbondanza. Ritmi che non sono più sostenibili. Le cose non stanno più così non perché sia diminuita l’offerta, ma perché è ‘semplicemente’ aumentata la domanda. Ad essere abituati a quello stile di vita oggi sono molte più persone rispetto a quelle che lo erano 60 anni fa, ma questo non è più sostenibile.

Un esempio su tutti? Lo sciacquone del water. Nessuno di voi si è mai chiesto per quale motivo l’acqua dello scarico del water sia acqua potabile? Probabilmente sì. La risposta è che questo accade perché il nostro sistema di distribuzione delle acque domestiche è fermo ai canoni e ai criteri del secolo scorso. Questa constatazione, che potrebbe essere una banalità, ha un numero di implicazioni pazzesco.

A quanto pare il nostro è un Paese così consapevole della crisi che oggi per mandar giù gli escrementi dei suoi abitanti lungo il tubo di scorrimento del water pensa bene di usare solo acqua potabile, chiara e raffinatissima. E stando a delle norme, le nostre deiezioni ci costano ad ogni seduta 10 litri d’acqua in media (dipende dalle cassette), che per una media di 5 volte al giorno (arrotondata per difetto) fanno 50 litri di acqua al giorno ‘sprecata’ per lo scarico del water. Una sciocchezza, che moltiplicata per i 60 milioni di regali sederi tricolore fanno 3 miliardi di litri di acqua al giorno finita nel nulla.

RIPENSARE ALLA RETE IDRICA – Secondo il professore Pierluigi Viaroli, docente del dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma, uno dei punti che bisognerebbe rivedere riguarda il riutilizzo delle acque domestiche e la rete idrica: “Questo spreco è figlio del fatto che le strutture delle nostre case sono ferme al secolo scorso, un tempo in cui, come detto, la domanda era nettamente inferiore all’offerta. Tanti dei nostri sono edifici antichi – dice Viaroli – spesso datati di secoli, e la logistica con cui la rete idrica domestica di questi è costruita non contempla l’idea di un riutilizzo delle acque domestiche. Questo è frutto di una concezione che non è più attuale della gestione dei sistemi igienici e sanitari nelle abitazioni e nei luoghi di vita dell’uomo che sono fatti in base a vecchi criteri, novecenteschi”.

Tante delle nostre case (non tutte, per fortuna) sono state costruite con degli impianti che se hanno la doppia cassetta con i diversi quantitativi di acqua dello scarico a seconda delle esigenze ci fanno sentire come se fossimo in Star Trek.

Per quanto tanti dei nostri edifici siano storici, tanti altri in cui si svolgono le nostre quotidiane attività non lo sono. Prendiamo le scuole o gli uffici: molti sono di nuova fattura, ma, secondo Viaroli “non esiste al momento nessuna legge che obblighi a dotarsi della linea separata delle acque”. È bene dire che pensare a impianti ‘futuristici’, dove il futuro si trova spesso e volentieri solamente oltre il confine alpino, ha dei costi non indifferenti. Ogni amministratore locale saprà che questa operazione, apparentemente semplice, ha dei costi importanti, rispetto ai quali si è quasi costretti a fare a meno, ma nel prendere queste decisioni si è sempre lasciati da soli. Ed è qui che dovrebbe entrare in gioco la politica, quella a cui urlavano i ragazzi in piazza: “Forse – a sentire Viaroli – la politica non può abbattere da sola quei costi, ma può trovare il modo di incentivare con politiche attive”.

INCENTIVARE PREMIA – In totale, ogni singola persona con uno stile di vita ‘normale’ arriva a consumare 170/200 litri di acqua al giorno, tra doccia, lavaggio di indumenti, piatti e consumo alimentare (con cui si intende non solo l’acqua che beviamo). È un numero legittimo, a ben vedere, che potrebbe sì essere ridotto ma non annullato. Ecco perché bisognerebbe invece puntare al differente utilizzo di queste. Se da un lato è forte lo sviluppo delle tecnologie di riutilizzo delle acque reflue, con l’immissione di tanta parte di queste nell’agricoltura (dopo opportuni trattamenti), dall’altro i limiti sono tanti. “L’Emilia Romagna è una regione virtuosa – tiene a sottolineare Viaroli – che ha raggiunto una copertura di circa il 75% del riutilizzo delle acque reflue. Ma non è così ovunque”. Già, perché, come lo stesso Viaroli fa notare, le procedure sono complicate, al punto che la stessa città di Milano ha raggiunto un obiettivo simile solo nel 2003.

Nel corso del tempo sono state fatte delle leggi che aiutassero a rispondere a queste problematiche, il problema però “è che queste non vengono applicate nel modo dovuto – sostiene Viaroli – Ci sono dei modi di applicazione ma soprattutto dei tempi di applicazione. Perché a dire ‘facciamo i depuratori’ siamo d’accordo tutti, poi la realizzazione di queste opere ha una serie di complicazioni. Bisogna far sì che le acque reflue raggiungano degli standard non dico di potabilità, ma di purezza tale da poter essere messa in circolo”. E secondo il professore, non è nemmeno il prezzo lo strumento che dovrebbe aiutare ad arginare il problema: “Secondo me questa strategia è penalizzante perché l’aumento dei costi penalizza. È l’incentivazione che premia. Devi dare risorse a chi applica tecniche di coltivazione virtuose. Uno che investe nella microirrigazione va incentivato. Come? Con le detassazioni”.

Al netto della responsabilità individuale, fino a che la gente non prende cognizione del problema, non lo farà nemmeno la politica. E come può la gente prendere consapevolezza? “Le persone ne prenderanno coscienza nel momento in cui apriranno il rubinetto e non uscirà acqua”, asserisce Viaroli.

IL COMPARTO AGRICOLO – Il 69% delle risorse idriche a nostra disposizione viene utilizzato per l’agricoltura. Questo numero, abnorme se ci pensate, è figlio ancora di una non totale consapevolezza da parte del comparto agricolo nel merito dell’ottimizzazione dell’acqua usata per l’irrigazione. Ancora una volta, l’Emilia-Romagna si dimostra una regione virtuosa, dove tante delle sue colture sono coltivate con il concetto di ‘irrigazione di precisione’, cioè dare l’acqua esattamente dove serve. In altre parti d’Italia e del mondo, però, non è così e gli altissimi sprechi in giro per il mondo toccano punte del 40% sul totale delle acque utilizzate. Gli esperimenti ben riusciti ci sono, ma sono numericamente irrisori rispetto alla totalità dello spreco. È questo il problema globale.

È per questo che Viaroli sostiene: “Innanzitutto è necessario avere dei sistemi acquedottistici di distribuzione di acque potabili che siano fatti come Dio comanda. Ovvero che abbiano poche perdite. Queste non possono essere eliminate in assoluto, ma possono essere ridotte. Quando un acquedotto perde il 40/50% dell’acqua che trasporta, il problema è grave. Ad esempio l’acquedotto di Genova è un colabrodo da questi numeri. Ci sono delle regioni che si danno degli obiettivi per ridurre le perdite. L’Emilia-Romagna è una regione che ha sviluppato nel tempo anche degli interventi importanti, anche conseguenti buone leggi regionali per cui raggiunge l’obiettivo 20% di perdite che sembra tanto, ma è comunque meglio del 40”.

“In secondo luogo avere delle fonti di approvvigionamento sicure, che non vuol dire ‘fare le dighe’ ma pensare a cosa è utile per trattenere acqua nel territorio. E qui si parla di ricostruire il territorio che è stato deformato dalle attività dell’uomo. Il suolo impermeabile, ad esempio, non trattiene l’acqua. Mentre quello in cui questa viene assorbita e va giù la ritroviamo nel fiume in poco tempo e la riutilizziamo. Il suolo scoperto, artificializzato e senza copertura, trattiene molta meno acqua di un suolo senza vegetazione. Quindi bisogna col tempo e graduazione recuperare tutte le aree del territorio che possono essere ri-naturalizzate, riportate a una condizione simile a quella che avevano non tanto tempo fa, 50 o 60 anni fa. Quando si era molto più attenti a questi aspetti. Così facendo noi avremmo dei suoli che facilitano il ciclo dell’acqua e sarebbe un risparmio idrico importante. Possiamo fare meno strade e farne quando servono. Non fare cattedrali nel nulla”.

E in ultimo si potrebbero attuare delle politiche di incentivazione per nuovi impianti in edifici nuovi, che possano rivedere l’utilizzo delle risorse idriche domestiche per avere un risparmio o un’ottimizzazione dell’acqua.

di Pasquale Ancona

 

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