Intervista ad Alberto Trobia

DA DOCENTE UNIVERSITARIO A MUSICISTA AMATORIALE: UNA PASSIONE CHE TOCCA L'ANIMA

Classe 1970, Alberto Trobia è un professore associato all’Università di Palermo; si è laureato prima a Palermo e poi a Milano, ha conseguito il dottorato di ricerca in Sociologia a Catania ed insegna, appunto,  Sociologia generale e Metodologia della ricerca sociale.

Una delle sue più grandi passioni è quella per la musica e vogliamo saperne di più.

Com’è nata la sua passione per la musica? E come riesce a conciliarla con il suo lavoro? Non dev’essere facile avere una vita così piena di impegni.

La mia passione per la musica nasce dal fatto che è stata sempre presente a casa mia. Mia madre, infatti, è stata un’insegnante di musica e una cantante lirica. Da piccolo, ho cominciato a studiare pianoforte, ma ho presto smesso, perché insofferente al solfeggio e alla teoria musicale. In casa, però, c’erano sempre in mezzo strumenti musicali e tanti ragazzi che venivano per le lezioni di pianoforte di mia madre. In un modo o nell’altro ho assorbito parecchie cose e, a un certo punto, ho cominciato a strimpellare a orecchio prima il piano e poi verso i 16 anni la chitarra. Quando ho capito che mi piaceva molto, ho iniziato a fare pratica in modo sempre più avanzato. Oggi mi manca gran parte della tecnica di esecuzione, ma riesco a suonare a livello basilare quasi ogni cosa che provenga dal mondo pop. A partire dalla fine degli anni Novanta, ho imparato anche a usare con una certa disinvoltura i software per fare musica al computer.

La passione per la musica si concilia benissimo con il lavoro, perché serve a distrarsi. Non faccio molti concerti (uno, due l’anno) e dunque non m’impegna moltissimo. Mi basta trovare, durante la giornata, un’ora o anche mezz’ora per scrivere, suonare o cantare. A volte, lavoro e musica coincidono, perché mi capita di studiare, da un punto di vista sociologico, il rapporto tra musica e società e le audience musicali. Ho pubblicato un paio di articoli sul tema e quest’anno ne uscirà un altro.

Due album, nel novembre del 2017, lanciati a distanza di un giorno: come mai questa scelta? Ha portato il successo sperato?

No, no, il primo album di cui parli, in realtà, è del 2000, con canzoni scritte nella seconda metà degli anni Novanta. Il secondo, invece, è del 2012, con canzoni scritte a partire dai primi anni del 2000. Sono stati pubblicati prima su un’altra piattaforma: Jamendo. Successivamente, nel 2017, li ho spostati sulla piattaforma di distribuzione Distrokid, che rilascia i brani in tutti i più importanti servizi di streaming e vendita di musica digitale. Quanto al successo, non è che sperassi granché. Per me è solo comodo avere questi brani disponibili, per farli ascoltare un po’ in giro e pubblicarli sui social, in modo da ricevere qualche parere. Tutto qui. I riscontri che ho ricevuto sono sempre stati positivi, ma bisogna dire che le canzoni sono state ascoltate da persone che mi conoscono e sono amiche. Dunque, è difficile ricevere una stroncatura.

Dalla musica pop, passando per la musica d’autore, siamo arrivati a “Melanchomaniac” da lei definito un viaggio musicale e un racconto. In che senso?

Non so se i precedenti fossero pop. Quello che faccio è sempre un po’ cantautorale, anche se allo stesso tempo pop. Credo che per me funzioni di più la definizione anglofona di singer-songwriter, che toglie al concetto italiano di cantautore la connotazione “politica”.

“Melanchomaniac” è un progetto ancora in itinere. Poiché nasce con una forte matrice letteraria (alcune poesie di Tiziana Cariello), si era pensato di fare diventare l’album anche un racconto, forse un romanzo, trasformando le poesie in prosa. Si era anche detto di scriverlo a partire dall’ordine delle canzoni, così come uscivano (ne sono previste una ventina) e di lanciare una pagina Facebook per pubblicare canzoni e capitoli a puntate. Le parti scritte non hanno funzionato granché, né – devo dire – la pagina. Probabilmente Facebook non è il medium giusto. Ma l’idea ce l’abbiamo e credo sarà sviluppata prima o poi.

Per realizzare questo progetto sono nate delle collaborazioni?

Diciamo che è stato il contrario: dalla collaborazione è nato il progetto. Spero, comunque, di coinvolgere altri amici nella realizzazione delle altre canzoni. Già nella prossima ci sarà un ospite, un amico, un musicista classico.

Può svelarci il suo nome? E infine, che consiglio darebbe ai giovani propensi ad approcciarsi al mondo della musica? Ha riscontrato particolari difficoltà? Se sì, come le ha affrontate?

Si chiama Alessandro Amico ed è un musicista professionista, che insegna anche chitarra classica. Suona con me da una vita e fa parte dei “Three Hands”, il gruppo col quale portiamo in giro una lezione-concerto sull’arte dei Beatles. Consigli non ne posso dare. Non sono un professionista, né ho tutto questo successo per potere dare dei consigli. Per me la musica è solo un piacere e un passatempo. Anche chi fa musica per professione, però, non dovrebbe mai dimenticare che la musica è soprattutto emozione e non si finisce mai di imparare.

di Flavia Geraldi

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