Quanto è istantanea la cazzata?

IL GIORNALISMO NELL'ERA DIGITALE: QUANTA QUALITÀ È DISPOSTO A PERDERE IN NOME DELLA VELOCITÀ?

 

La Commissione parlamentare Antimafia ha recentemente approvato un emendamento al Codice Bindi, un codice di autoregolamentazione che stabilisce le regole di candidabilità alle elezioni e che prevede una serie di reati che rendono ‘impresentabile’ un candidato politico.

Con un emendamento al Codice di autoregolamentazione, la Commissione ha aumentato il numero degli illeciti che impediscono ad un candidato di essere presentato alle liste. Inoltre, è stata introdotta una clausola secondo cui chiunque abbia una condanna superiore ai 4 anni di reclusione, è automaticamente giudicato ‘impresentabile’. Nell’allargare il raggio di azione del nuovo Codice, la Commissione ha però omesso i cosiddetti ‘reati di opinione’, in cui confluiscono ad esempio la diffamazione, la discriminazione razziale o l’apologia di fascismo. 

La notizia, apparsa su alcuni giornali la settimana scorsa, è stata però riportata in modo impreciso: veniva infatti affermato che i reati di opinione erano stati eliminati dall’elenco degli illeciti che rendono ineleggibile un candidato, ammettendo dunque la candidatura di persone colpevoli di dichiarazioni fasciste e razziste.

“L’emendamento di Lega e Movimento 5 stelle stralcia, di fatto, dal nuovo codice Antimafia i reati su discriminazione razziale, etnica e religiosa tra quelli che impediscono la candidatura” scriveva la settimana scorsa la testata online TPI.

In realtà, le cose sono diverse, poiché ancor prima della modifica della Commissione Antimafia, i reati di opinione non sono mai stati un motivo di incandidabilità. Nessuno ha dunque ‘stralciato’ alcun reato dall’elenco. La Commissione ha semplicemente deciso di continuare ad ometterli, come le precedenti commissioni avevano già fatto.

In sintesi, alcune testate hanno riportato una notizia falsa o quantomeno inesatta. Intendiamoci, non è obiettivo di questo editoriale puntare il dito contro alcun giornale. Questa stessa redazione era intenzionata a scrivere un articolo sulla vicenda, proprio sulla base di informazioni errate. Al contrario, tale imprevisto ci dà l’occasione per fare una riflessione sul vero problema della questione: la mancanza di tempo.

L’evoluzione della comunicazione editoriale dalla carta stampata al giornalismo online non ha infatti solo cambiato le modalità di accesso alle notizie; ha determinato un nuovo modo di considerare il tempo e l’esigenza di comparire tra i primi risultati di una ricerca Google può costringere le redazioni a pubblicare prima di un’adeguata verifica dei fatti, anche nel rischio di riportare una notizia falsa.

Foto di Martina Santi

Quanto è istantanea la cazzata? Un interrogativo al centro dell’incontro con Roberto Saviano al Festival del Giornalismo 2019. La velocità e la superficialità sono infatti l’ingrediente fondamentale delle fake news, in grado di imporsi istantaneamente sulla rete, grazie ad un contenuto semplice, diretto ed immediato. La verità, al contrario, è complessa e richiede tempo, ma soprattutto fa esistere le cose. “La parola ha in sé il DNA dell’azione“, sostiene Saviano.

Le tempistiche che il giornalismo digitale oggi impone, tuttavia, sono ben diverse da quelle dei canali informativi più tradizionali e non sempre riescono a conciliarsi con un’efficiente verifica delle fonti e delle informazioni. La fretta inciampa, dunque, nell’errore e quando il tempo per riflette è troppo poco, sono le emozioni a decidere per noi. È quanto accaduto con la notizia di cui sopra ed è quanto accade nell’era della ‘post-verità’, in cui hashtag e algoritmi governano ormai le notizie. Essendo, però, questo il risultato delle scelte del pubblico, forse allora dovremmo tutti fermarci un momento e rallentare il trend del fast-journalism, in nome di uno slow-journalism fatto di ricerca, compiendo un’opera di memoria, di scelta e di verità, come la chiama Saviano.

di Martina Santi 

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