‘Bianchi. Una storia italiana’: presentazione del libro di Marchesini

LA STORIA ED IL VALORE DELLE BICICLETTE BIANCHI NELLA STORIA ITALIANA

La presentazione del libro di Daniele Marchesini ‘Bianchi. Una storia italiana’ (Bolis Edizioni 2018) è stata il secondo appuntamento della serie di incontri ‘Libri di storia – incontri con gli autori’ patrocinata dal Comune di Parma, in previsione e preparazione di Parma capitale italiana della cultura 2020.

È stata preceduta dalla presentazione del libro di Andrea Addobbati ‘Facchinerie. Immigrati bergamaschi, valtellinesi e svizzeri nel porto di Livorno’ del 19 marzo ed ha anticipato quella del testo di Gigliola Fragnito ‘Rinascimento perduto. La letteratura italiana sotto gli occhi dei censori (secoli XV-XVII)’.

BIANCHI, UNA STORIA ITALIANA: L’INCONTRO – Tenutosi il 10 Aprile alle 17:00, al Palazzo del Governatore (Piazza Garibaldi), l’incontro, aperto al pubblico fino ad esaurimento posti, si è svolto nell’auditorium Carlo Mattioli. Dopo alcune foto di rito davanti il modello Paris-Roubaix del 1952, ovvero la bicicletta – gentilmente concessa per l’occasione dall’attuale proprietario Pietro Montemurro – con cui Fausto Coppi vinse il Tour de France di quell’anno, ha avuto inizio la conferenza.

A presiedere al tavolo Piergiovanni Genovesi, Delegato del Rettore alle iniziative culturali di carattere storico nonché moderatore dell’incontro, Daniele Marchesini autore del libro e docente per tanti anni di Storia dell’Italia contemporanea all’Università di Parma, Ugo Berti Arnoaldi, dirigente editoriale della casa editrice Il Mulino, e Stefano Pivato, docente di storia contemporanea all’università di Urbino.

LA STORIA DELL’ITALIA ATTRAVERSO LE VITI DI UNA BICI – “Attraverso le viti di una bicicletta, è vero che si può anche scrivere la storia d’Italia”, Giovannesi utilizza questa citazione di Gianni Brera (Il principe della zolla, Il Saggiatore, 2015) per introdurre il lavoro di Marchesini. Un oggetto, la bicicletta, che si lega indissolubilmente alla storia del nostro Paese di gran parte del Novecento e che può vantare, in molte aree geografiche come nel parmense, una grande tradizione ciclistica di cui le biciclette Bianchi sono state delle indiscusse protagoniste .

Il libro di Marchesini è un libro che offre una panoramica trasversale che parte dalla fondazione dell’azienda Bianchi (un’azienda, ancora esistente, che ha prodotto anche automobili, motori per barche e motociclette) per poi concentrarsi sull’aspetto sportivo ciclistico delle corse, riepilogando le imprese dei grandi campioni che pedalarono sulle biciclette Bianchi, dall’emblematico colore celeste, per poi concentrarsi soprattutto sull’aspetto sociale e culturale del ciclismo in Italia.

STORIA DELLA F.I.V EDOARDO BIANCHI – La Bianchi (Fabbrica Italiana Velocipedi) fu fondata a Milano nel 1885 da Edoardo Bianchi ed è la più longeva azienda produttrice di biciclette ancora esistente. La fabbrica contribuì al grande slancio industriale del paese d’inizio Novecento, aiutata anche dalla guerra di Libia (1911-1912) e dal primo conflitto mondiale per cui produsse biciclette pieghevoli per i bersaglieri. Negli anni ’30 poteva contare migliaia di operai e infatti, nel 1934, Mussolini fece visita allo stabilimento di Milano per promuovere quella eccellenza italiana.

Come evidenzia Marchesini, però, quello del duce era un entusiasmo un po’ ‘forzato’, perché la bicicletta non era certamente un mezzo che poteva dare al Paese l’aspetto maestoso e imperiale da lui auspicato

Mussolini in realtà fece di necessità virtù. Il ciclismo italiano in quegli anni era molto vincente ed era un fiore all’occhiello. Ma Mussolini non amava il ciclismo perché è uno sport povero e restituisce un’immagine dell’Italia che il fascismo avrebbe voluto cancellare, perché non al passo con i tempi”

La storia del ciclismo italiano si lega infatti a quella della campagna e della provincia, le aree più povere che si appassionavano alle corse e ai suoi protagonisti, moderni eroi di quel faticosissimo sport fatto su mezzi di trasporto a pedali.

BICICLETTA COME RINASCITA ED ELEMENTO PERTURBANTE – Tra i tanti ciclisti che pedalarono le biciclette Bianchi, una menzione d’onore spetta sicuramente a Fausto Coppi, che nel 1952 fu il primo ciclista a vincere sia il Giro d’Italia che il Tour de France, Vittorio Adorni, campione del mondo nel 1968 e direttore sportivo della Bianchi quando nel 1973 vinse il campionato del mondo Felice Gimondi. Il libro ripercorre anche le storie di queste grandi campioni del passato, ma le Bianchi sono state le fedeli compagne anche di grandi campioni della storia più recente come Marco Pantani e Jan Ullrich.

La storia ciclistica della Bianchi è rimasta però indelebilmente legata a quella di Fausto Coppi, le cui imprese sportive divennero leggendarie, metafora della lotta e dello sforzo per la vita in un paese che, nel secondo dopoguerra, voleva rinascere dalle sue macerie, come puntualmente sottolinea Arnoaldi.

Il ciclismo era così diffuso tra la popolazione di quel tempo che nel 1948 la vittoria del Tour de France, da parte di Gino Bartali, fu strumentalizzata dalla DC per poter distogliere l’attenzione dall’attentato che subì Palmiro Togliatti in quei giorni e scongiurare i timori di possibili tumulti ‘rivoluzionari’. “Sia lodato Bartali” titolò la prima pagina de Il Resto del Carlino.

“Tedofora della modernità tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, seppur accolta con entusiasmo da larghe fasce della popolazione, la bicicletta fu anche guardata con sospetto e timore, quasi come un elemento perturbante”, spiega Stefano Pivato.

Costituì infatti una rivoluzione dei costumi e fu avversata da personalità come Papa Pio X, il Papa antimodernista per eccellenza, che vietò ai preti il suo utilizzo, in quanto macchina moderna.

La bicicletta rappresentò, in un certo senso, anche una spinta all’emancipazione femminile: per andare in bicicletta e potersi piegare sui manubri le donne dovevano infatti liberarsi della costrizione del corpetto. In più, per evitare “osceni svolazzi” delle gonne, iniziarono a mettere i pantaloni.

LA STORIA DELLA BICICLETTA È ANCHE QUELLA DEGLI ULTIMI – La storia delle bicicletta, e in fondo anche quella delle bici Bianchi, è una storia fatta del sudore di grandi campioni ma anche della partecipazione entusiasta di vaste zone rurali e agricole italiane. È la storia delle tradizioni e dei costumi di questa parte d’Italia, un po’ dimenticata e ridimensionata negli anni, che a lungo ha costituito il serbatoio principale di pubblico del ciclismo.

Pivato fa anche notare che, nel confusionario affaticarsi per ottenere la maglia rosa ed elevarsi sulla massa indistinta di tutti gli altri ciclisti, c’era anche un’altra sfida: quella di arrivare ultimo. Il pubblico non si accontentava di vedere il vincitore tagliare il traguardo, ma voleva vedere tutti, soprattutto l’ultimo ciclista che avrebbe concluso la tappa. Una nota divertente ma molto significativa di uno sport che, pur nel suo carattere individualista, dava lustro anche ai cosiddetti ‘ultimi’.

Tornano dunque ancora utili e necessarie le parole di Gianni Brera che forse più di tutti è riuscito a tratteggiare la natura di questo sport: Solo in provincia si coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la solitudine indispensabili per riuscire in uno sport così faticoso come il ciclismo

 

di Angelo Baldini

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*