La Tampon tax è solo la punta dell’iceberg

ALLA SCOPERTA DI CONTRACCEZIONE, ABORTO E OBIEZIONE DI COSCIENZA: TANTI FRONTI SU CUI L'ITALIA È RIMASTA INDIETRO RISPETTO ALL'EUROPA E AL MONDO

Marco Verch / Flickr

Tampon tax: aliquota ordinaria applicata agli assorbenti e ai prodotti dell’igiene femminile. In concreto, una tassa del 22%. In base ad una direttiva del 2006 , in Italia sono previste delle categorie di prodotti cui è possibile applicare un’aliquota IVA agevolata al 4% o al 10% (tra questi visite mediche, beni di prevenzione sanitaria o protezione igienica). I prodotti igienico-sanitari per donne no, non rientrano in queste categorie. Il 14 maggio è stato bocciato un decreto Pd sulla semplificazione fiscale che proponeva di ridurre la tassazione al 5%, proposta già accantonata durante la discussione della legge di bilancio. C’è chi urla allo scandalo, come la deputata Pd Enza Bruno Bossio, e pone un veto al provvedimento in Commissione bilancio perché troppo oneroso, come il M5S.

Chiunque si voglia incolpare, sarebbe il caso di ricordare che l’aliquota ordinata sugli assorbenti è presente in Italia dal 1973 e che negli anni è graduelmente cresciuta dal 12 al 22% senza particolare scandalo, interesse o rivendicazione da parte di nessuno.

ULTIMI TRA GLI ULTIMI – Ci sono Paesi nel mondo che hanno deciso di impegnarsi per ridurre, o addirittura a eliminare, la tampon tax. Il primo in assoluto è stato il Kenya, che nel 2004 ha cominciato ad abbassare la tassazione sugli assorbenti fino ad arrivare nel 2011 a distribuirli gratuitamente nelle scuole. Dal 2015, invece, il Canada ha deciso di eliminare completamente l’imposta, come hanno fatto, dal 2016, anche Maryland, Minnesota, New Jersey, Pennsylvania e Massachusetts. Negli altri stati USA, l’aliquota non supera comunque il 9%. Anche India e Australia hanno eliminato nel 2018 l’aliquota. L’Europa si sta lentamente muovendo in questa direzione: l’Irlanda e la regione autonoma della Canarie hanno recentemente abolito la tassazione sui prodotti igienici femminili, la Scozia ha avviato la distribuzione gratuita degli assorbenti alle studentesse, mentre Belgio e Olanda hanno l’imposta fissa al 6%. Se esistesse una classifica dei Paesi ‘women friendly‘, l’Italia occuperebbe le ultime posizioni. Peggio di noi, solo Danimarca, Svezia, Ungheria e Norvegia dove la tassazione varia dal 25 al 27%.

C’È MOLTO DI PIÙ – I prodotti igienici femminili non sono gli unici a essere caduti tra le maglie larghe del welfare italiano. Nel nostro Paese i sistemi di contraccezione sono tutti a pagamento. La loro prescrizione gratuita e accessibile – prevista dall’articolo 4 della legge n. 405 del 1975 –  inciampa spesso nel malfunzionamento dei singoli enti preposti (Regioni, ospedali, Asl). I preservativi non sono mutuabili, così come le pillole anticoncezionali (queste, tra l’altro, non rimborsabili). I costi da sostenere per le donne, sulle quali spesso ricade la maggior parte del peso della contraccezione, sono notevoli. Una spirale medica, della durata di 5 anni e quindi non definitiva, ha un costo di circa 250€ più il ticket per l’inserimento. Per un innesto sottocutaneo, che dura circa tre anni, si spendono intorno ai 195€ più le spese mediche per inserirlo. Certo, pillole, anelli vaginali e cerotti hanno un costo minore che si aggira intorno ai 7/20€, ma resta sempre un costo da sostenere. Non va meglio con la contraccezione d’emergenza (pillola del giorno dopo) che non è inserita nell’elenco dei farmaci indispensabili. Nel maggio 2018 il tavolo tecnico presieduto dall’allora ministra Beatrice Lorenzin, in merito all’aggiornamento della Farmacopea Ufficiale, ha stabilito che la presenza della pillola del giorno dopo non sia più obbligatoria in tutte le farmacie.

Il problema, però, è sia economico che culturale. Lo Stato dovrebbe puntare maggiormente sulla prevenzione, non solo per rispettare il proverbio, ma anche per risparmiare: fornire metodi contraccettivi gratuiti ridurrebbe il rischio di gravidanze indesiderate che allo Stato costano circa 2.000€ a intervento. Più contraccettivi, meno gravidanze non cercate, meno aborti, più risparmio statale. Sarebbe così semplice. La Relazione al Parlamento sui dati definitivi delle Interruzione Volontarie di Gravidanza (IVG) recita: “In totale nel 2017 sono state notificate 80.733 IVG, confermando il continuo andamento in diminuzione del fenomeno, in misura leggermente maggiore rispetto a quello osservato nel 2016 (-4.9% rispetto al dato del 2016 e -65.6% rispetto al 1982, anno in cui si è osservato il più alto numero di IVG in Italia pari a 234˙801 casi)”. Un calo, secondo il presidente della Società Medica Italiana per la Contraccezione (SMIC) Emilio Arisi, dovuto in parte all’eliminazione dell’obbligo di ricetta per contraccettivi noti come ‘pillola dei cinque giorni dopo’ e ‘pillola del giorno dopo’.

Manca anche informazione a livello istituzionale: pochissime sono le pagine del Ministero della Salute dedicate alla contraccezione, i consultori sono allo stremo per mancanza di personale e di risorse e, come se non bastasse, “nonostante in Italia siano disponibili tutti i metodi, non c’è nessuna informazione sostenuta dal governo, a differenza del resto d’Europa. Ci sono pochissimi ginecologi in grado di inserire una spirale, pochi medici che riuscirebbero a sostenere un colloquio di consulenza sulla contraccezione per indirizzare ogni donna al metodo più efficace per lei”, afferma Marina Toschi, membro del Comitato per la contraccezione gratuita e consapevole, in un articolo del Fatto Quotidiano.

L’European Parliamentary Forum on Population and Development (EPF) ha pubblicato a Febbraio 2019 il nuovo Atlante della contraccezione, che dimostra come l’Italia sia la peggiore tra gli Stati dell’Europa occidentale per quanto riguarda diffusione e accesso alle moderne tecnologie contraccettive. Tra i migliori ci sono Belgio, Francia e Regno Unito che prevedono sistemi di rimborso per diverse tipologie di contraccettivi e hanno istituito politiche di accesso facilitato alla contraccezione per giovani donne a basso reddito.

Contraceptioninfo.eu

FOSSE SOLO LA TAMPON TAX – L’imposta sui prodotti igienici femminili sembra essere, in un quadro nazionale del genere, il problema minore. O meglio, l’ultima dimostrazione di un atteggiamento ideologico-culturale arretrato. Forse si parla molto di questa aliquota al 22% perché affrontare una discussione seria su contraccezione o addirittura aborto sembra un’impresa. 

Il 22 Maggio è stato il 41° anniversario delle Legge 194, che in teoria disciplina le modalità di accesso all’aborto in Italia. Appunto, in teoria. Nel nostro Paese il 68% dei ginecologi sposano l’obiezione di coscienza. L’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica ha condotto un sondaggio che dimostra come siano in molti a non essere soddisfatti dalla 194: il 31% del campione vorrebbe cambiare la legge a tutela dell’applicabilità, mentre il 50% chiede anche di migliorare l’IVG farmacologica, che viene effettuata solo nel 15,7% dei casi. Da questo comune sentire è nata anche la proposta di legge regionale ‘Aborto sicuro’, promossa dall’associazione e lanciata per la prima volta in Lombardia. Altre regioni aderiranno alla campagna come Lazio, Liguria, Marche, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, ma altre restano le roccaforti anti-aborto.

Dopo l’approvazione della legge contro l’interruzione di gravidanza in Alabama, giustamente qualcuno ha fatto notare che anche in Italia abbiano il nostro Alabama: la regione Molise. Qui solo un ginecologo su 27 non è obiettore di coscienza. Si chiama Michele Mariano ed è il direttore del Centro per la procreazione responsabile all’ospedale Cardarelli di Campobasso. Un esempio virtuoso il suo o forse solo un ginecologo che svolge il suo dovere fino in fondo e il cui ruolo diviene ancor più fondamentale se si pensa al fatto che è effettivamente l’unico a farlo.

Ma i ginecologi obbiettori non sono soli: su 23 anestesisti, il 71,9% è obiettore. Dato preoccupante sì, ma ancor più strano se si pensa che la legge 194 prevede l’esonero del personale “dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza” e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Non gli anestesisti, in teoria. “Com’è possibile garantire un servizio quando solo l’1% del personale non sceglie di obiettare? Come sarà la vita di quell’unico medico? C’è qualcosa che non ha funzionato nell’applicazione dell’obiezione di coscienza? E ancora: per quale motivo gli anestesisti dovrebbero poter fare obiezione di coscienza?” scrive lucidamente in un articolo di Wired.it. Chiara Lalli, docente di bioetica e storia della medicina all’Università della Sapienza di Roma, in un articolo su Wired.it.

 

NON TUTTO È NEGATIVO – L’Emilia-Romagna, inserita nel contesto italiano, fa da buon esempio. La Regione prevede, dal 1° gennaio 2018, la distribuzione gratuita dei metodi contraccettivi (anche d’emergenza) e della consulenza del personale sanitario presso i consultori familiari delle Aziende USL o gli Spazi giovani. L’iniziativa va a favore di tutti i giovani sotto i 26 anni e delle donne di età compresa tra i 26-45 anni che siano state colpite dalla crisi, abbiano un’esenzione di disoccupazione e siano nei 12/24 mesi successivi a un parto. Gli Spazi Giovani consultoriali, inoltre, offrono educazione sessuale nelle scuole, progetto inserito nel Piano regionale della Prevenzione che garantisce un miglior monitoraggio locale. Positivo il calo delle interruzioni volontarie di gravidanza: la Regione Emilia-Romagna fa sapere che nel 2017 si è registrato il numero più basso di IVG (7.130) dal 1980, anno di inizio rilevazione. Rispetto all’anno precedente il calo è stato del 7% e rispetto al 2004 (anno in cui si era verificato il numero più alto di aborti volontari) si è registrato un -40%.  Minore è anche la presenza di obiettori di coscienza: nelle strutture sanitarie che praticano IVG, l’incidenza dell’obiezione tra medici ostetrici-ginecologi è del 50,5% e  del 27,1% tra i medici anestesisti. Percentuali ancora elevate, certo, ma in un Paese in cui la media nazionale di medici obiettori si aggira intorno al 70,9% e al 48,8% per gli anestetisti, i dati emiliani sono una piccola conquista.

di Bianca Trombelli

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