Beppe Cantarelli e la discografia, tra vecchie glorie e decadenza presente
IL PRODUTTORE CANTARELLI RICORDA I BEI TEMPI DELLA DISCOGRAFIA, DA MINA A MICHAEL JACKSON, E CRITICA IL MONDO MUSICALE ODIERNO
Beppe Cantarelli è compositore, cantante, arrangiatore, produttore, e direttore d’orchestra. Ha lavorato con Mina, Aretha Franklin, Mannoia, Vanoni, Berté, Oxa, Renis, Stevie Wonder e Joe Cocker. Ha suonato insieme a Quincy Jones e insieme a Michael Jackson lo ha visto lavorare all’album Thriller. Lo abbiamo intervistato durante la serata conclusiva del Music Village di Parma, lo scorso venerdì 14 giugno.
Volevo chiederti innanzitutto come trovi la serata di oggi.
Incantevole! A parte la stagione, che è perfetta, però stavo dicendo a Massimo Bonini che il sound è squisito, perché a noi non piace il sound troppo alto. Stavo dicendo prima che ero stato a sentire un concerto dei Boston: avevo i filtrini delle sigarette nelle orecchie e sono andato a casa col mal di timpani, mi fischiarono le orecchie per tre giorni…qui suonano benissimo, un repertorio classico, eseguito bene, sono venuto qua a dare manforte ai miei amici, a Ronnie Jones, all’avvocato Sarchi che è anche mio avvocato, chitarrista bravissimo, a Jane Jeresa. Sono venuto invitato da loro, è una serata molto bella, la gente vedo che si diverte molto.
Tu hai potuto vedere Michael Jackson durante la registrazione dell’album Thriller, com’è stata quell’esperienza?
Nell’82 quando sono andato negli USA, a Los Angeles, ho fatto il tour con Quincy Jones, come chitarrista, avevo sostituito Steve Lukather dei Toto, un gruppo che quell’estate aveva Rosanna in classifica. Allora lui non poteva andare in tour con Quincy. Durante la settimana andavo in studio con Jackson, che stava suonando l’album Thriller; lui era uno dei miei mostri sacri, volevo vedere in studio come lavoravano, ho conosciuto Paul Mc Cartney. E Jackson è venuto a cantare con noi in un paio di serate a Los Angeles e a Indianapolis, la sua città natale. Alla fine del concerto di Quincy facevo un pezzo che si chiamava Stuff Like That, Jackson lo cantava con noi, e poi ci ha dato una coreografia, perché quando facevamo il pezzo staccavamo tutti gli strumenti, eravamo una ventina, e uscivamo dal palco per ballarla. Io cannavo tutti i passi: infatti Michael Jackson, in un libro che ho pubblicato alcuni anni fa, Mina canta Cantarelli. Canterelli canta Mina, dove racconto alcuni aneddoti con Mina e altri artisti, Michael mi disse:”Continua a fare il tuo lavoro, non cercare di fare il ballerino.” Avevo anche portato un pezzo per il suo album successivo, Quincy lo aveva anche optato, però poi non ce l’ho fatta a inserirlo.
Con Mina invece hai lavorato tanto.
Ho fatto 4 LP, ho cominciato a suonare con lei a Bussoladomani, poi ho fatto l’LP che ha fatto piú successo, Attila, 1 milione di copie vendute, ho fatto molti pezzi, fra cui il brano Sei metà in cui sono stato il primo a fare un duetto con lei. Non aveva mai cantato duetti con nessuno prima, aveva fatto Parole parole con Alberto Lupo, però lui recitava. Lei non voleva cantare con nessuno, Pavarotti mi ricordo era venuto a chiederglielo, Frank Sinatra, ma lei rifiutava sempre. E poi per sbaglio, quando io le cantavo i miei pezzi per farglieli imparare, ché dopo lei avrebbe registrato, facevo la base nella sua tonalità con gli altri musicisti, poi facevo una traccia, una voce guida come si dice in gergo, dove cantavo nella sua tonalità, Mina andava a casa, si imparava il pezzo, col suo arrangiamento vocale; e io lì la prendevo in giro, la imitavo, facendo un po’ i Bee Gees, in falsetto, la prendevamo in giro, anche lei rideva. Mina torna in sala-lei cantava un colpo e via-, cominciamo a registrare e ci chiede:“Tieni aperta la voce di Beppe sotto”. Parte il pezzo, la prima strofa non canta, però ci fa segno di continuare. A un certo punto comincia a cantare, poi si ferma poi ricomincia, e alla fine io e l’ingegnere del suono, che la conosceva da trent’anni -aveva sempre cantato tutto in un unico take- diciamo, adesso la riprova, invece lei viene in regia, ci dà il foglio delle liriche, e vicino a ogni riga c’erano un pallino e una croce. “Dove vedi il pallino canta solo Cantarelli, dove vedi la croce canto io, dove ci sono entrambi apri tutte e due le piste”, e dopo fa:”Questa qua uscirà come duetto” e io le ho detto: “Cazzo, ma io l’ho cantata per prenderti per il culo, fammela ricantare”, “No!” fa lei, m’ha fatto ricantare solo due parole, perché voleva che facessi “niente” in dialetto cremonese.
E poi hai fatto l’ultimo tour con Mina.
Bussoladomani ‘78, Attila, poi altri due album, poi sono emigrato negli States.
Però hai anche prodotto tanti artisti italiani.
Dopo aver fatto Attila mi chiamavano tutti, perché l’album era andato benissimo, aveva venduto 1 milione di copie, è rimasto in classifica piú di 6 mesi, infatti è il suo album record di vendite, dove avevo tanti pezzi miei, era un album felice, ha scelto un repertorio azzeccato.
Il mondo della discografia non è piú come una volta?
Dal 2000 mi sono ritirato a fare musica privata, faccio quello che mi piace quando mi piace, mi sto divertendo e basta. Ho dei progetti molto ambiziosi in ballo, fra cui un’opera, e un album doppio di blues rock and soul con l’orchestra sinfonica. Progetti dove io mi diverto una cifra, sbattendomene altamente delle radio innanzitutto, che non capiscono un cazzo; cerco di mettere assieme quello che io considero le due pietre miliari della cultura musicale occidentale, che amo come aspetto musicale: la musica colta dei salotti europei, la musica cosiddetta classica in senso lato, unita al blues rock and soul, che è nata dai campi di cotone, dove lavoravano i neri, ecc. Da queste due pietre miliari si rifanno tutti i generi musicali, rap compreso. Quindi son tornato alle origini, mettendoli insieme con una produzione senza tempo, nel senso che non seguo i trend, le mode, infatti registro tutto con chitarra e voce in diretta, take solo, Mina me ne ha attaccato la febbre tanti anni fa. Poi sovrappongo un contrabbasso, un’orchestra sinfonica di 70/80 elementi, e poi a volte qualche solista di respiro internazionale.Io ho la mia etichetta in America, che si chiama Rap Opera Records, musica a 180 gradi. Per simboleggiare il fatto che mi rifaccio proprio a questi due stili musicali, se vogliamo chiamarli così, che io chiamo pietre miliari della nostra cultura musicale.
Quindi l’America continua ad avere il predominio per quanto riguarda la registrazione dei dischi?
Innanzitutto gli USA sono sempre stati e continuano ad essere un terzo del mercato discografico mondiale, anche se adesso il mercato va un po’ a farsi fottere. Però già dal punto di vista commerciale gli States possono imporre gli stili, gli artisti che hanno fatto scuola, stasera abbiamo sentito tanti pezzi che arrivano da quel repertorio, non a caso.
Secondo te i talent possono essere utili per un ragazzo, per cominciare una carriera?
Qualche anno fa la De Filippi mi aveva chiamato a fare il giudice, sono rimasto due puntate e sono scappato. Perché ci sono dei ragazzi devo dire con molto talento nel canto, c’è molta preparazione, dovuta appunto a tutti i talent che hanno incentivato lo studio del canto. Il problema è chi ha in mano il potere, cominciando dalle varie De Filippi, che hanno il monopolio nella musica italiana del mercato, loro prendono questi artisti, in 6 mesi li fanno diventare famosi per mandarli a fare le serate, ma poi non gli danno niente perché guadagnano tutto loro, li spremono come dei limoni. Se tu non solo crei una concorrenza sleale, ma addirittura crei un monopolio dove o vai lì o non hai vita, almeno lancia degli artisti nuovi, che siano validi. Gli artisti di per sé sarebbero validi, ma il problema è il repertorio che gli creano attorno. Difatti vedi questi artisti, che sono delle iperboli, che salgono perché il fenomeno mediatico li ha creati e li ha imposti sul mercato, li mandano a fare quattro serate a 30.000 euro e dopo non se li fila piú nessuno, perché non c’è sostanza. Cioè non sono piú usciti dei Battisti, dei Baglioni, ecc. nonostante adesso si possa avere una visibilità maggiore degli artisti di una volta.
Quindi produci da solo perché sai di avere maggiore libertà negli arrangiamenti, nella scelta dei musicisti, cioé non devi confrontarti con delle etichette?
Ma il problema non è tanto le etichette, che ormai sono da decenni in mano alle radio, e ai media. Il mercato si è fagocitato, è imploso per colpa loro, come dico anche nel mio libro, nei seminari che faccio in America, nelle Università di Giurisprudenza applicata allo show business, che la crisi musicale irreversibile è iniziata negli anni ’80, dove hanno cominciato a tralasciare l’essenza della musica, che è il repertorio, la composizione. Tralasciando la composizione il mercato è morto. Difatti se vai a Wall Street, e chiedi al banchiere di darti 300 milioni di euro per fare un’etichetta e lui ti chiede che collaterale mi dai, a meno che non gli porti questa chiesa (Chiesa di S. Maria del Quartiere, ndr) che vale 200 milioni, il palazzo in via Montaneapoleone a Milano che ne vale altri 300, se gli dai un collaterale doppio, triplo di quanto gli chiedi forse il banchiere accetta. Però l’unico collaterale che è rimasto è il repertorio, editoriale e discografico, che sono le canzoni, quelle forti. Te lo dimostro: negli ultimi 15 anni la discografia non ha piú creato repertorio: cioè ha prodotto merda. Quando andavo in studio a vedere Michael Jackson, quell’anno lì lui aveva acquistato, alle spalle di Paul Mc Cartney che poi ha litigato con lui per questo, il repertorio, cioè il copyright dei pezzi dei Beatles, quasi tutto il repertorio. Paul Mc Cartney era pronto a comprarlo a 43 milioni di dollari, Jackson l’ha comprato a 45, nell’82. 10 anni dopo, quando Jackson cominciava a cadere in disgrazia perché i suoi dischi vendevano meno, e spendeva l’ira di Dio, la Sony gli ha chiesto per rinnovare il contratto il repertorio dei Beatles in cambio di 900 milioni di dollari. Questo per farti capire quanto è importante il repertorio, il catalogo, è l’unico considerato come collaterale dai banchieri. Se tu vedi qualche artista che fa una cover, che rifà un pezzo di un repertorio, tranne qualche rarissima eccezione sono tutti pezzi di 30, 40, 50 anni fa. Quindi ti ho dimostrato oggettivamente, che in una materia soggettiva, dove tu puoi dire questa canzone mi piace io ti posso dire mi fa schifo, una materia soggettiva che il banchiere non può valutare in termini economici, il repertorio, la composizione è quello che fa la differenza. La discografia da industria primaria è diventata secondaria, sopravvive facendo le licenze ai film, alla televisione, ma non va avanti da sola.
Nelle radio italiane non passano mai i cantautori storici, Rino Gaetano, De André, Guccini, Dalla, De Gregori, perché?
Le radio in genere, quelle più commerciali sono un ossimoro, una contraddizione enorme, perché voglio qualcosa di nuovo, però ti dicono “Questo non è radiofonico”. Non va bene, devi portare loro una cosa nuova però vogliono che porti la stessa merda che segua i trend, che cambiano ogni 3-4 settimane, e per questo la discografia si è rovinata, e così anche la creatività. Ti faccio un esempio: quando è uscito Thriller, 130 milioni di copie, di cui 30 solo negli Usa, quando Quincy Jones faceva i mix nell’estate dell’82, e io andavo in sala a vederlo, è uscito il singolo con Mc Cartney The Girl Is Mine, poi la CBS, allora era la Epic, aspettava il master finale per pubblicarlo a Natale. Quincy a settembre, alla fine del tour ha dato delle cassettine a tutti i suoi collaboratori, anche a me, erano dei “rough mix” per avere un’idea dai collaboratori: non c’erano Thriller, né Beat it, né Billie Jean. Quincy ha deciso di bloccare tutto, insoddisfatto dell’ascolto, e puoi ben capire che la Epic gli ha fatto un culo a tromba: cioè l’album prima aveva venduto 12 milioni di copie, aspettavano l’uscita natalizia come il pane. Quincy Jones è andato dritto e ha rimandato tutti a scrivere, anche Jackson, e quando dopo hanno fatto la release dell’album c’era Thriller che gli ha dato il titolo, Beat it e Billie Jean: immaginati quell’album lì senza quei tre pezzi. Quindi questo ti dimostra l’importanza del repertorio.
(Un ringraziamento speciale a Massimo Bonini)
di Fabiano Naressi
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