Andrea Scanzi e Massimo Bernardini raccontano un intimo Gaber

ALL'INCONTRO "GIORGIO GABER: LA SUA GENERAZIONE HA PERSO?" A PALAZZO DEL GOVERNATORE, ANDREA SCANZI E MASSIMO BERNARDINI RICORDANO L'ARTISTA CONTROVERSO.

Nel weekend dedicato all’anteprima di Parma2020, è iniziata la VI° edizione del Festival della Parola, quest’anno dedicato a Giorno Gaber. Una serie di incontri per scoprire i lati più intimi del cantautore. Il Festival si è aperto con l’incontro Giorgio Gaber: la sua generazione ha perso? con ospiti Andrea Scanzi, Massimo Bernardini e il presidente della Fondazione Gaber, Paolo Dal Bon.

L’UMILTÀ DI UN FENOMENO – Visibilmente commosso nel ricordare l’amico, Scanzi racconta la sua prima intervista all’artista che di rado le concedeva e ricorda la soddisfazione provata nell’essere riuscito, appena adolescente, a fare breccia in quell’uomo. “Giorgio era molto rigoroso e selettivo nei confronti delle interviste, quindi anche dei giornalisti. In genere era un ‘No’ per tutti. Con Andrea è stata un’eccezione” rivela Paolo Dal Bon. Gaber era infatti attirato da quello che un giovane giornalista poteva pensare di lui e della sua musica. “Lui era incuriosito: voleva sapere cosa mi era piaciuto e soprattutto cosa non mi era piaciuto dello spettacolo“, aggiunge Scanzi. La stessa curiosità, Gaber la dimostra nei confronti dell’amico Bernardini. “Io incontro direttamente Gaber quando, nel 1980, fa Io se fossi Dio che è il punto massimo di provocazione. Il più virulento, duro e indigeribile per il sistema. Io lo intervistai allora per Famiglia Cristiana“. La cosa che affascina Bernardini è l’interesse che Gaber dimostra per l’opinione di un cattolico e per ciò che può pensare di quei testi ‘eretici’: “Gli serviva tantissimo avere uno come me, con una sensibilità così diversa. Prima degli spettacoli mi faceva ascoltare le sue canzoni”.

DOVE NASCE IL CORAGGIO DI GABER“Gaber faceva parte dello star system popolare degli anni ’60”, ricorda Bernardini. La Rai, infatti, aveva intuito la sua abilità di stare sul palco e quella dote da conduttore televisivo. In quegli anni, l’autore partecipa al Festival di Sanremo, al Festival di Napoli, a Canzonissima. Gira anche alcuni spot pubblicitari.  “A un certo punto non gli basta sta roba – continua Bernardini – alla fine degli anni Sessanta, cantare quello che sta cantando, stare a quello star system, a quella televisione non gli basta”. La stagione di innamoramento e quel desiderio di libertà portati dal ’68, cambiano in Gaber il modo di fare musica. “È lì che nasce il coraggio – commenta Bernardini – lui capisce che deve cambiare la canzone, che deve cambiare lo stare sul palcoscenico“.  Negli anni ’70, Gaber comprende che il teatro è la forma d’arte più ‘alta’, in grado di arrivare al cuore della comunità. Resta contagiato dal Piccolo Teatro milanese: ” Il mondo di chi non propone un teatro di ricreazione, ma un teatro di nutrimento” conclude il giornalista. Sostituendo l’esperienza televisiva con il teatro-canzone, abbandona dunque l’ideologia dello show business, rifiutando gli inviti della televisione e dei grandi Festival.

UN AUTORE CONTROVERSO – I suoi testi diventano una personale protesta alla società italiana, attraverso un nuovo modo di scrivere la canzone, più impegnato. Comprende che, in quanto artista, può esprimere se stesso, dare libero sfogo alla propria coscienza. Il Signor G porta in scena non un semplice spettacolo musicale, ma una vera rappresentazione teatrale, a volte tanto dura e scomoda da attirare i fischi del suo stesso pubblico. Il cantautore, infatti, non può dirsi un autore in grado di accogliere la simpatia di tutti, per la forza e a volte la brutalità con cui coloriva le sue canzoni. “Gaber era uno che divideva da morire quando era vivo, soprattutto quella sinistra che oggi lo santifica” ricorda Scanzi.

Ombretta Colli con il marito Giorgio Gaber (FARABOLAFOTO / ANSA)

In ‘Io se fossi Dio’ viene fuori proprio quel coraggio e quella forza della provocazione che lo distinguevano dagli altri cantautori. Una provocazione estrema nelle parole che seguono l’uccisione di Aldo Moro: ” Io se fossi Dio quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio c’avrei ancora il coraggio di continuare a dire che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana è il responsabile maggiore di vent’anni di cancrena italiana”. Scanzi precisa però che la sua non era una provocazione fine a se stessa. Gaber aveva piuttosto l’esigenza di essere estremo, perché quella brutalità costringeva chi ascoltava ad avere un pensiero e a mettersi continuamente in discussione. “Lo spettacolo poteva anche non esserti piaciuto, ma la parola cantata da lui rendeva impossibile restare indifferenti”. Ciò nonostante, Scanzi rivela quale fosse il grande timore di Gaber sul palco: “La mia grande paura è che quando sono usciti tutti, il mio stesso pubblico che mi ha applaudito esce e lui dice a lei: oh dove andiamo a mangiare la pizza adesso?”.

Negli anni ’90, dopo una pausa da quell’impegno politico che lo ha sempre contraddistinto, Gaber torna a parlare di politica di fronte lo scandalo Tangentopoli. Inizia tuttavia ad essere accusato di qualunquismo, per quel tono che sembrava avercela con tutti su qualunque cosa. Le critiche investono anche il suo matrimonio quando la moglie, Ombretta Colli, intraprende l’attività politica all’interno di Forza Italia. A tal proposito, Bernardini ricorda però come Gaber anche di fronte quelle contestazioni riuscisse a darne una lettura ironica e poetica: “Io amo Ombretta. A lei piace Berlusconi. A me no – e aggiungendo – Non mi preoccupa tanto il Berlusconi in sé, quanto il Berlusconi in me”.

di Martina Santi

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