Senza peli sulla lingua: intervista a Massimo Fini

LA FIRMA DEL FATTO QUOTIDIANO, PARLA A TUTTO CAMPO DI POLITICA, DI CALCIO, DI MORTE, DELLA GLOBALIZZAZIONE, DI RIBELLIONE, DELLA STORIA

Massimo Fini è nato a Cremeno nel 1943. Giornalista e saggista, premio Montanelli alla carriera, ha lavorato in L’Europeo, Il Giorno, e L’Indipendente. Ha scritto saggi storici, sul calcio, sul Mullah Omar, sul denaro, sulla globalizzazione. Si definisce un ribelle. Detesta la vecchiaia. Ama il calcio, il gioco, Che Guevara. Scrive sul Fatto Quotidiano.

Come giudichi il governo Conte bis, rispetto al precedente?

Secondo me questo governo è molto più omogeneo, nel senso che i 5 stelle hanno un programma sociale, sostanzialmente, e se nel PD è rimasto ancora qualcosa di sinistra, come diceva la famosa frase di Nanni Moretti:“Dì qualcosa di sinistra”, dovrebbe essere sicuramente più coerente di quello precedente, che aveva dovuto mettere assieme due visioni assolutamente contrapposte; infatti avevano creato quel marchingegno del contratto. Quindi il mio giudizio è positivo, per ora, poi bisognerà vedere in futuro.

Si parla tanto di rivoluzione verde anche nel programma di governo, tu non vedi una contraddizione tra il modello capitalista e l’esigenza di rispettare l’ambiente?

E’ ovvio che se fai un discorso ambientalista fai anche un discorso pauperista, nel senso che questo modello di sviluppo, è chiaro, va a distruggere l’ambiente mondiale. Però vedi, i 5 stelle sono uno strano animale al loro interno, nella loro pancia, usando le vecchie categorie di destra e sinistra (che io ho criticato nel 1985, con La ragione aveva torto? (Marsilio, Venezia), ma lasciamo pure perdere), c’è un po’ di tutto, ma ci sono anche elementi nuovi. Quando Grillo parla in modo un po’ confuso di tempo liberato- che non è il tempo libero, dedicato ancora e sempre al consumo: qui a Milano lo si vede molto bene, nel weekend i milanesi schizzano via e vanno a St. Moritz, a Gstaad, a Cortina, a consumare le stesse cose con gli stessi ritmi- parla del tempo per se stessi, quindi per la riflessione, la contemplazione, o per le cose che veramente ti piacciono.

L’esigenza di profitto nel capitalismo si scontra non solo con l’ambiente ma anche con la stessa vita umana, come nel caso del Ponte Morandi?

Certamente. O tu fai una rivoluzione violenta e spazzi via tutto, ma questo lo può fare solo ISIS, o sennò devi mediare, e quindi cercare di limitare le grandi opere a favore delle piccole opere, e cercare di mediare su questo punto. Se -ovviamente per fortuna di tutti non capiterà mai- dovessi diventare presidente del Consiglio, il mio discorso sarebbe:-Io non vi prometto più viaggi ai Caraibi o più automobili, ma vi prometto un’altra cosa: più tempo per voi stessi. Perché il tempo nella mia ottica è il vero valore della vita, e anche il suo padrone inesorabile.

I 5 stelle erano nati ai loro inizi sull’idea della decrescita felice…

La decrescita felice, che è un’invenzione di un mio allievo spurio, Maurizio Pallante, però non può realizzarsi, perché la decrescita ci sarà ma sarà sanguinosa, nel senso che un giorno, la gente di città si renderà conto che non può mangiare l’asfalto e bere il cherosene, e si riverserà nelle campagne dove individui più avveduti si saranno già ritirati, avendo però l’accortezza di munirsi di qualche kalashnikov; cioè sarà una guerra sanguinosa.

Questo modello di sviluppo mostra anche dei lati oscuri, Salvini l’anno scorso fece scalpore quando parlò di milioni di italiani che consumano antidepressivi…

Il modello nasce come sai in Gran Bretagna alla metà del XVIII secolo, con grandi speranze perché c’erano la Rivoluzione scientifica e quella industriale, ma si è dimostrato un’utopia nei due sensi, sia in quello capitalista, sia in quello comunista, un’utopia fallimentare. Tant’è vero che nevrosi e depressioni sono malattie della modernità: prima non esistevano, esistevano lo schizofrenico, il pazzo, ma erano un’altra cosa. Il fenomeno della droga è sotto gli occhi di tutti, ma al di là della droga, negli Stati Uniti, paese più ricco del mondo per ora, che gode delle rendite di posizione della vittoria nella seconda guerra mondiale, più di un americano su due fa uso abituale di psicofarmaci, non droga quindi. C’è qualcosa di marcio nel regno di Danimarca, è questo modello ammalante.

Sei giorni fa (10/9) Trump ha licenziato il suo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, a quanto pare per aver ostacolato la mediazione coi talebani per la fine della guerra in Afghanistan. Quando Assange ha tirato fuori i cablo di Wikileaks si è capito che esiste un Deep State, Stato profondo, che a partire dalla CIA e dal Pentagono ha iniziato le guerre in Medio Oriente: quindi Trump vorrebbe interrompere la guerra ma lo stato profondo gli rema contro?

Il problema non è Trump perché è coerente con se stesso, è un imprenditore di formazione, non ha  nessuna voglia di spendere 45 miliardi di dollari l’anno per la guerra in Afghanistan; se fosse stato per i suoi consiglieri, lo ha detto lui stesso, avrebbe fatto cinque guerre. Trump non vuole fare guerre, ha una mentalità di tipo economicista certamente, ma perlomeno in questo è coerente, fa guerre economiche e vorrebbe non fare le guerre di Bush. Che sono 5, 6 guerre che si sono riversate tutte nei loro effetti negativi in Europa; in questo senso, è importante la figura di Angela Merkel (che purtroppo adesso lascerà) che ha detto, e in linguaggio diplomatico dirlo è molto forte: -I nostri amici di un tempo non sono più nostri amici. Questo dovrebbe capire l’Europa, nel senso che sono passati 75 anni dalla seconda guerra mondiale, ed è ora di finirla di essere sudditi degli Stati Uniti. Ci vorrebbe una politica equilibrata fra Stati Uniti e Russia, noi in realtà siamo molto più vicini alla Russia che agli USA, sia per ragioni geografiche, sia per ragioni energetiche, sia per ragioni culturali: Dostoevskij, Tolstoj, Puškin e compagnia, sono a tutti gli effetti scrittori europei.

Di Julian Assange non se ne parla molto, anche se le accuse sono cadute, tentano di estradarlo lo stesso negli USA con l’accusa di aver rivelato una verità; dovrebbe essere trattato come un caso Watergate?

La tua domanda contiene la risposta, è ovvio che un giornalismo libero dà un enorme fastidio.

Repubblica ha fatto una battaglia legale a Londra per desecretare le carte del processo ad Assange ma pochi giorni fa (14/9) gli è stata respinta l’istanza in appello, tu ci vedi un altro caso di complicità tra inglesi e americani?

La Gran Bretagna per ragioni legittime è assolutamente legata agli USA; il fatto che se ne siano andati, la Brexit, è un vantaggio per l’Europa, perché la Gran Bretagna non fa parte dell’Europa, è una cosa a sé, e quindi è un alleato strettissimo degli USA, mentre noi dovremmo avere una posizione diversa. Il fatto che si siano tolti dai coglioni secondo me è un vantaggio.

Sulla morte di Nadia Toffa tu hai criticato il modo in cui i media hanno trattato la notizia, perché?

C’è stata un’enfatizzazione, che poi è tipica della nostra epoca, della morte di una persona più o meno nota, ma questo secondo me è offensivo nei confronti di altri che sono esattamente nella stessa situazione, ma non avendo nomi e cognomi importanti non hanno parola. Io su questo ho anche avuto uno scontro col mio direttore Marco Travaglio, con cui ho un rapporto splendido, mi ha detto:”Qui non si parla di morti”, ma io non parlavo di morti, parlavo della stampa, dell’enfatizzazione che aveva dato a questa morte rispetto ad altre che sono ugualmente degne di considerazione.

Invece sulla morte in generale c’è una specie di reticenza quasi inconscia a parlarne…

La cosa che non viene assolutamente accettata è la morte biologica, la morte naturale. Noi abbiamo perso il contatto con la natura. Quando c’era il mondo contadino, il ciclo seme-pianta-seme era perfettamente conosciuto, si sapeva che la morte non è solo la fine di una vita ma è la precondizione della vita stessa. Noi non siamo più capaci di accettare quelli che i filosofi chiamavano i nuclei tragici dell’esistenza, cioè il dolore, la vecchiaia, la morte. Quando ci imbattiamo in queste cose non le accettiamo, ma sono la scansione naturale della vita.

Tu dici che in qualche modo stai aspettando serenamente la morte?

No, serenamente un cazzo! Però so che c’è, non è che mi metto a fare l’isterico perché la Nobile Signora ha alzato la sua falce su di me, so che è inevitabile. Questo l’ho detto a mio figlio fin da quando era bambino:-Guarda che i genitori devono morire, l’orrore sarebbe il contrario, ho preparato fin da subito questo povero ragazzo all’evento.

Sull’imperatore Nerone hai scritto una biografia (Marsilio, 1993, Venezia) sorprendente, nel senso che a scuola si dà un’immagine terrificante del personaggio, mentre tu metti in luce la sua politica sociale: c’è un controllo culturale sui libri di scuola?

Ecco, io non so se questo viene fatto appositamente perché, voglio dire, la storia la scrivono i vincitori, in questo senso per me Nerone è emblematico. Io ho fatto una breve prefazione in cui dico che questo libro deve servire ai giovani per capire attraverso le menzogne di ieri quelle di oggi, per loro sicuramente più importanti. Su Nerone c’è proprio un capovolgimento totale del personaggio, e questo non è che lo dica io, a livello scientifico, a livello universitario questo si sa, è noto, anche se poi gli storici per conformismo devono comunque dire che Nerone era un infame, ma era tutt’altro. Uno si prende la briga di andarsi a vedere la Domus Aurea, quello che hanno restaurato, e capisce che il mondo di Nerone è totalmente il contrario, è un mondo solare; ma una  serie di menzogne, come l’incendio di Roma, sono cose che non si riescono a cancellare. L’altro giorno ho visto su Sky Arte una trasmissione che dava atto che Nerone era un uomo di cultura, e però alla fine era comunque nefando.

Dà fastidio come figura storica?

Non so, è incancellabile come figura: c’era uno spot del Crodino, dove Nerone arriva tutto accaldato al bar, e il barista gli chiede:- Perché sei così accaldato, e lui:- Ho bruciato mezza Roma! Non riusciamo a toglierci dalla testa questa storia totalmente inventata. Lo stesso Tacito, che gli era avversario, riconosce non solo che questa è una palla pazzesca, ma che Nerone fece un intervento degno di una grande protezione civile moderna.

Volevo chiederti sul caso delle tifoserie, oggi (16/9) la questura di Torino ha arrestato alcuni capi ultrà della Juventus che pare ricattassero la società in cambio del controllo delle curve, sappiamo che ci sono tifoserie che espongono striscioni razzisti, tu come vedi la situazione nelle curve?

Il discorso è complesso, il calcio è una metafora di molte cose, è il modo moderno di poter scaricare la propria aggressività in modo controllabile. Questo le culture che ci hanno preceduto lo sapevano bene, le culture africane sono state maestre: c’era la guerra finta, levando le alette dalle frecce in modo da rendere il tiro impreciso e innocuo, c’era la festa orgiastica, andando più indietro nella Grecia antica c’era il capro espiatorio: era uno straniero che veniva mantenuto dalla città, e quando si creavano tensioni sociali lo si sacrificava, questo appunto per cercare di deviare la violenza; il capro espiatorio si chiamava pharmakos, medicina. Una certa aggressività allo stadio deve essere tollerata: cioè spesso questi striscioni sono ironici, a Verona si dice “Forza Vesuvio”, a Napoli si dice “Giulietta era una troia”, non fanno male a nessuno, però permettono uno scarico di aggressività. Se tu pretendi, come ha preteso l’Illuminismo di eliminare l’aggressività sbagli, l’aggressività fa parte della vitalità, quindi va tenuta e controllata.

Il problema è anche il ruolo delle società calcistiche?

Sì, è chiaro che le società svolgono un ruolo molto ambiguo, perché da una parte finanziano questi gruppi, e vabbé…Devo dire che anche questo fa parte di cambiamenti che ci sono stati nella nostra società, quando io ero ragazzino non esistevano le curve, non giravano tanti soldi. Ripeto, il calcio lo prendo come specchio non marginale della società. Da cosa è dominata la società? Da economia e tecnologia, no? Il calcio ne è stato invaso, e i suoi contenuti simbolici, rituali, mistici, comunitari sono stati stravolti dall’ingresso di questi due demoni.

Tu vedi una differenza tra i due termini di ribelle e di rivoluzionario?

Il ribelle non è un rivoluzionario, non vuole cambiare la società, non è un cospiratore, va a viso aperto, è uno che vuole essere fedele a se stesso. Quindi c’è una notevole differenza; purtroppo tutte le rivoluzioni sono fallite e si sono rivelate spesso peggiori, alcune, di quello che c’era prima. La parabola della Rivoluzione russa produce poi lo stalinismo…direi che una rivoluzione che si è abbastanza salvata è quella cubana, quella di Fidel Castro e soprattutto del mio mito Ernesto Che Guevara. Che quando ha raggiunto il potere se ne va perché capisce che comunque il potere produce la castrazione della libertà e va a battersi in Bolivia, sapendo bene di rischiare la pelle. Non è mai stato apprezzato dai marxisti ortodossi di casa nostra, perché nel loro DNA non sta che uno raggiunga il potere e poi lo lasci. E’ un eroe romantico, come lo è il personaggio, a cui ho dedicato una biografia, di Catilina.

Un altro personaggio che nelle cronache viene mistificato?

Purtroppo a scuola si insegna così, tra l’altro si insegna male la storia, perché poi alla fine si fa fino a un certo livello, la storia di battaglie, di guerre, invece non si fa studiare quel grande scrittore che è Plutarco che nelle Vite parallele fa dei ritratti straordinari di personaggi greci, e soprattutto più interessanti ancora di personaggi romani, e così incuriosisce i ragazzi. Se tu di Cesare sai, da Cicerone, che era “marito di tutte le mogli e amante di tutti i mariti”, si riportano, senza fare gossip, i personaggi storici alla loro dimensione. Così per il Medioevo, un lavoro straordinario lo ha fatto la scuola degli Annales francese, ti riporta la mentalità medievale; c’è tutto un discorso da fare sui cosiddetti secoli bui, che in realtà erano molto più armoniosi dei nostri, perché in questa società tu raggiunto un obiettivo ne devi conseguire immediatamente un altro, non hai un momento di armonia, di equilibrio, di calma. E’ il dramma delle società dinamiche, tra cui la nostra, quelle erano società statiche, e quindi come dicevo fenomeni come depressione e nevrosi non esistevano.

Come vedi il futuro delle nuove generazioni, rispetto alla tua?

All’interno di questo quadro, di società dinamica noi siamo stati più fortunati, perché comunque c’erano aperture molto maggiori, uscivamo dalla guerra. Io per esempio ho fatto 6 lavori, prima di incrociare quello attuale che mi era il più congeniale. Adesso per i ragazzi è difficile; ogni tanto gli farei fare uno stage in Afghanistan o in Iraq, però capisco anche che è molto più difficile.

di Fabiano Naressi

 

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