Noi tolleriamo o conviviamo con gli altri?
SEMINARI D’EUROPA ALL’UNIVERSITA’ DI PARMA CON L’ANTROPOLOGO FRANCESCO REMOTTI
“Comprendere l’oggi guardando al passato e al futuro”.
Interviene con questo consiglio il Magnifico Rettore Paolo Andrei martedì 8 ottobre 2019, durante la presentazione del 1° incontro dei ‘Seminari di Europa‘ 2019/2020, un ciclo di convegni in cui ogni mese verrà analizzato il concetto di ‘tolleranza’ da più prospettive.
Cosa significa tolleranza? Si interpella l’antropologia culturale, la disciplina che studia l’essere umano per le sue caratteristiche sociali e culturali. Nella nostra società a cosa siamo più propensi? Sentiamo spesso utilizzare la parola tolleranza in svariati contesti, ma siamo sicuri che sia l’unica alternativa? Chiediamoci se sia il momento di optare per la convivenza.
Nell’auditorium del Palazzo del Governatore di Parma, a delineare questo concetto, troviamo il prof. Francesco Remotti, professore emerito di Antropologia culturale all’Università di Torino e socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Durante la sua carriera lo studioso è riuscito a conciliare teoria e pratica della ricerca antropologica, dialogando in maniera interdisciplinare, arrivando a riflettere sull’attualità attraverso l’analisi delle molteplici culture. Lo presenta Alessandro Pagliara, curatore della rassegna e professore di storia romana dell’Università di Parma, insieme alla prof.ssa di Antropologia culturale Martina Giuffrè. L’Università, oltre ad essere un luogo di formazione, rende possibile il dialogo con il territorio e la riflessione sui temi d’attualità, come dichiara Marco Mezzadri, Vicedirettore del Dipartimento delle discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali, seguito dagli interventi di Fabrizio Storti, Pro Rettore delega della Terza Missione, e da Roberto Valentino, Vicedirettore del Centro Universitario per la Cooperazione Internazionale.
“TOLLERARE E’ UN PO’ COME INSULTARE”- Il prof. Remotti cita J. Goethe proponendo il punto di vista di chi è tollerato, sopportato, chi subisce le conseguenze di un rapporto asimmetrico. Sopportare implica che un soggetto A si pone in una posizione di superiorità rispetto ad un soggetto B, ma questa situazione è precaria, alla ricerca di un equilibrio costante perché in un attimo può avere fine. “Si cerca di congelare una situazione” ma secondo il professore, permane il “rischio di scivolare”. Questa coesistenza può sfociare infatti in un rifiuto del soggetto B, che implica dei progressivi stadi di gravità, dall’indifferenza al disprezzo, dalla segregazione al respingimento. Vi è una separazione più o meno accentuata dei due soggetti che coesistono: essi non condividono altro al di fuori del loro spazio di esistenza. Nell’era in cui possiamo virtualmente condividere tutto, vi è il rischio di rintanarci dentro il nostro spazio e guscio identitario, che non ci permette di aprirci ‘agli altri’. “La definizione ‘i nostri simili’ è un’espressione desueta, non si usa più – fa notare l’antropologo – si usa di più marcare la spaccatura tra ‘noi’ e ‘gli altri'”. Uno dei concetti su cui Remotti ha più discusso e scritto è proprio quello di identità, che descrive come un modo di rappresentare la società, in cui un ‘noi’ si esclude e crea la sua prigione. Il sottotitolo di questa conferenza titola infatti: “Prigionieri dell’identità e artigiani delle somiglianze”.
CHI SONO GLI “ALTRI”? – Mettiamo il caso che un soggetto A permetta al soggetto B di entrare nel proprio spazio identitario a patto di accettare questa gerarchia e l’identità dominante, di rinunciare ad ogni possibile rivendicazione delle proprie caratteristiche e differenze: ci inoltriamo nel concetto di integrazione. Il prof. Remotti non riporta degli esempi sui fatti contemporanei, ma richiama semplicemente la parola ‘immigrati’, lasciando i suoi ascoltatori a riflettere sull’attualità alla luce delle sue proposte.
Quante volte negli ultimi tempi sentiamo parlare di atteggiamenti di ‘supremazia’? Riecheggiano in televisione e sui social. Atteggiamenti ostili nei confronti di chi arriva, oggi come ieri su un barcone, e si trova davanti ad una barriera, un muro di ostilità. Sembra passare il messaggio che l’empatia sia un sentimento per i deboli, meglio essere intolleranti. Nei momenti di crisi o di difficoltà la scelta più sicura è quella di chiudersi nei confronti dell’altro. Negli ultimi tempi si è sentito spesso ripetere il concetto di tolleranza zero, che al di là della politica sembra essere una malattia epidemica: nessuno ha più la pazienza di mettersi nei panni dell’altro e trovare un punto di contatto, di equilibrio. Condividiamo pensieri, ma a suon di #primagliitaliani, che eliminano ogni possibile politica di convivenza e mettono in atto un respingimento ‘degli altri’.
L’ALTERNATIVA POSSIBILE – “Il razzismo è una forma di identitarismo, poi ci sono altre forme che non fanno leva sulla biologia, ma sulla storia, sulla cultura…”. Il prof. Remotti fa capire i limiti della politica dell’identità, con o senza tolleranza, e propone la politica della somiglianza. Essa si basa sulla valorizzazione delle differenze di ogni individuo al fine di arrivare ad una convivenza, ad un vivere insieme con una visione comune. Convivere crea un relazione, un coinvolgimento tra pari, un equilibrio e un dialogo per stare insieme e costruire come degli artigiani ciò che ci unisce. È un lavoro per step progressivi, ma porterebbe ad una maggiore stabilità per il lungo periodo. “Rendersi conto che i problemi nostri sono anche i vostri, e viceversa. – afferma il prof. Remotti – Pensate ai problemi dei cambiamenti climatici”.
Cambiare mentalità e modalità è possibile. Gli ultimi repentini cambiamenti politici, almeno nel contesto italiano, dimostrano come possano cambiare le carte in gioco in poco tempo. Dimostra che il nostro contesto storico segue la velocità di twitter, che muta a suon di martellanti slogan. Ma potrebbe arrivare il momento in cui si smetterà di tollerare gli intolleranti. Come afferma il prof. Remotti, la tolleranza ha un termine. Spiegando i suoi risvolti negativi, che può farci scivolare in un progressivo respingimento di ogni differenza e, nella peggiore delle ipotesi, a volere annientare ciò che non ci somiglia. Qualsiasi individuo a quel punto sarà differente da noi per qualche caratteristica. Magari nella migliore delle ipotesi, la fine della tolleranza corrisponderà all’applicazione dell’alternativa: lavorare per valorizzare le differenze, costruire artigianalmente un progetto di convivenza valido per il lungo periodo, senza accanirsi a suon di tweet per ogni avvenimento che dura solo il tempo di salire di tendenza.
di Michela Dalla Benetta
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