Greta Thunberg “impiccata” a Roma: perché tanto odio?

DA UNA PARTE GRETA SARCASTICAMENTE ELEVATA A FALSA SIBILLA CUMANA, DALL’ALTRA VOCI AMBIENTALISTE DAI TONI APOCALITTICI. ECCO COME USCIRE DA QUESTO IMPASSE.

 

Ripensando all’episodio di via Isacco Newton a Roma, accaduto solo pochi giorni fa, non si può fare altro che unirsi alla condanna di tanta violenza nei confronti di una ragazza appena sedicenne. Un fantoccio con le treccine raffigurante l’attivista per il clima, Greta Thunberg, è stato appeso sotto a un ponte con la scritta “GRETA IS YOUR GOD” e una minaccia, “Seguiranno altre azioni”. Il dibattito pubblico necessita di visioni e proposte serie e concrete, ma si merita la solita razione di retorica populista.

Perché si è voluti arrivare a questo livello di brutalità? Quali pensieri volevano suscitare “Gli svegli“, il gruppo che così si è firmato per rivendicare il gesto? Ci si può limitare a questo, senza leggere nel gesto nient’altro che una sfida alla civiltà, oppure si può alzare gli occhi cercando di analizzare il cartello appeso sulla ringhiera.  Si sposta il fulcro della “critica” dall’attivista svedese ai suoi seguaci, ricordandoci, malgrado le modalità gravemente scorrette, qualcosa di rilevante: Greta è diventata un simbolo, una voce severa che crea polarità, nel bene e nel male.

Sarebbe scontato spiegare quanta bontà ci sia in realtà nell’azione di Greta. E’ stata la prima promotrice del Friday’s for future, un movimento che offre l’occasione a tantissimi giovani di poter partecipare collettivamente al proprio domani, informandosi e individuando dei problemi reali che troppo spesso faticano a entrare nella cronaca del quotidiano. Tuttavia al plauso seguono diverse critiche, di cui quel fantoccio “impiccato” ne è un mero esempio. “Gli svegli”, che forse tanto svegli non sono, portano avanti il negazionismo. Il messaggio di Greta, come quello di un tipico adolescente, guarda all’ideale eroico inevitabilmente rigido e incontestabile. I cambiamenti climatici però sono un fatto, la scienza sembra essere sufficientemente concorde anche sulla loro natura antropogenica. Gli effetti sul nostro pianeta sono già in atto: la riduzione dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari, la desertificazione di intere aree causate dalle minori precipitazioni, le piogge acide, le scarse riserve d’acqua e crisi agricole che producono grossi flussi migratori che guarda caso tanto infastidiscono proprio quei movimenti politici populisti d’Europa che in primis negano i cambiamenti climatici e l’urgenza di un rimedio. Un cane che si morde la coda.

Detto questo, come evidenziato da molti – non ultimo il professor Dario Bressanini (Chimico, ricercatore nonché divulgatore scientifico) – se le analisi del problema sono di competenza scientifica, le soluzioni concrete che si devono cercare presentano aspetti multidisciplinari che variano dall’economia, all’etica, alla politica. Inoltre, benché agli scienziati competa la grande responsabilità di perimetrare il problema, è del tutto ingenuo credere che il cittadino medio assorbirà questi dati e svilupperà da solo un comportamento virtuoso. Serve tempo e un’adeguata strategia di comunicazione così da migrare da uno stato di incertezza a uno di consapevolezza e soprattutto di un consenso sociale generale.

Nel discorso di Greta, un elemento che più di altri crea polarità, è l’etica della vergogna. Noi come individui non facciamo abbastanza ed è qui che il discorso si fa nocivamente personale. Chi potrebbe accettare le prediche di una ragazzina sul proprio modo di vivere? Siamo forse disposti a rinunciare alla macchina, ai voli in aereo, al consumo di carne? E ai figli (risparmiando così 58,6 tonnellate di CO2 all’anno per ciascun bambino)? Sono scelte impraticabili anche se è altrettanto scontato che ciascuno debba essere incoraggiato a fare del suo meglio per migliorare nel suo piccolo il mondo in cui vive. Siamo tutti, letteralmente, sulla stessa barca. Inutile puntarci il dito contro con tutte le ipocrisie che ne deriverebbero.

Un altro aspetto controverso è la critica del progresso o meglio dell’illusione che l’Occidente ha sempre avuto di poter crescere e capitalizzare all’infinito. Critica che passa la patata bollente ai nostri leader politici, la cui azione viene considerata poco lungimirante se non addirittura inadeguata. Anche in questo caso è lampante il danno che il messaggio della Thunberg rischia di procurare alla sua campagna. Siamo tutti d’accordo che noi Paesi del “primo mondo” abbiamo contribuito negli ultimi due secoli ad aumentare il flusso di gas serra, tuttavia qualcosa è stato fatto e negli ultimi trent’anni i paesi dell’UE hanno ridotto le emissioni del 20%. Il progresso tecnologico-scientifico ha da sempre proceduto per ipotesi e sistemi errati che via via si sono corretti e affinati. Il nostro stesso sistema economico capitalistico non fa eccezione facendo leva sulla progressiva efficienza. Tutto ciò ha nutrito un senso di prospettiva che altrimenti non sarebbe mai stato possibile ed è proprio questa che ci permette di migliorare pensando a nuove strategie per risolvere i problemi dell’oggi. 

In quest’ultimo decennio l’informazione, echeggiata dal potere dirompente dei social, ha molte più possibilità di trovare giustizia e di maturare consapevolezza nelle menti e nei cuori dei giovani. Grazie a  Greta si è portato le masse a fare i conti con l’emergenza ambientale come mai erano riusciti gli scienziati e altri paladini dell’ambiente, fino ad ora. Prima di muovere rancorose critiche, ricordiamoci che Greta è una ragazzina, con tutti i limiti che ne conseguono dalla sua giovane età. Greta va difesa e tutelata come persona non come simbolo di una causa, perché ciò produce solo due effetti uguali e contrari, ovvero la santificazione e l’odio. Questi sono evidentemente contrari perché donano o infliggono all’individuo che li riceve emozioni opposte; tuttavia sono anche uguali perché lo immortalano nel tempo, spersonalizzandolo e impedendogli di condurre un vita comune. E se l’idea di questo successo mediatico può piacere ad alcuni, teniamo presente quanto difficile, oserei direi impossibile, è l’essere capaci di rispondere positivamente alle aspettative di milioni e milioni di adolescenti. Chiediamoci invece, noi adulti, se sia giusto lasciare le sorti di questo dibattito nelle mani di una sedicenne, oppure se sarebbe meglio interiorizzare le provocazioni lanciateci, arrestare le nocive fonti di disinformazione e prendere in mano le redini di un futuro collettivo.

di Francesco Scomazzon

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