Recensione de “Il Sindaco del Rione Sanità”

IL FILM E' STATO PRESENTATO ALLA 76ESIMA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

Il Sindaco del rione sanità‘ è un film che mostra alla perfezione la lotta tra il bene e il male in tutte le sue sfaccettature.

Genere drammatico, tratto dall’omonima opera teatrale del maestro Eduardo De Filippo. Questo film, presentato in concorso all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e vincitore del premio ‘Pasinetti’ e del premio del ‘Leoncino d’oro’, è stato diretto dal regista italiano Mario Martone e vede come protagonista principale Francesco Di Leva accompagnato da un cast costituito da: Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco e Adriano Pantaleo.

La pellicola in questione tratta di fatti che non si possono collocare in un preciso periodo storico (si evince solo il fatto che il tutto si verifichi volutamente nella contemporaneità), ciò che al contrario viene evidenziato è lo spazio in cui la narrazione prende avvio: la trama si sviluppa tra la casa del boss collocata ai piedi del Vesuvio e il rione Sanità appartenente alla Città di Napoli. 

La vicenda si apre con una scena notturna, che presenta la lite tra due ragazzi chiamati O’Nait e O’Palummiello, seguita da una scena in cui il primo spara all’altro per questioni di lavoro. In seguito all’accaduto si può assistere a una scena in cui i due si recano da Don Antonio Barracano per poter risolvere la questione. Da qui il nome di ‘Sindaco’, conferitogli perchè in grado di risolvere questioni private e di far prevalere la giustizia seppur seguendo le sue regole spesso sbagliate. Alla dimora del boss, il giorno seguente giungono varie persone accomunate dalla voglia di farsi giustizia tramite l’intercessione di Barracano. Ma una tra le tante, con la sua questione, determinerà lo sviluppo della storia stessa. L’episodio in questione vedrà come protagonista Rafiluccio Santaniello, figlio di un rinomato panettiere deciso a voler compiere un omicidio nei confronti del padre che lo ha rinnegato. Per poter evitare l’esecuzione di quel gesto estremo, Don Antonio, nel tentativo di dialogare col padre e di riconciliare così il rapporto tra padre e figlio, si recherà alla bottega di Arturo Santaniello, dove avverrà un evento del tutto inaspettato.

Quest’opera di stampo teatrale, preceduta da una rappresentazione curata dallo stesso Martone nel 2017, mantiene dei tratti tipici della messa in scena teatrale: spesso i personaggi appaiono e scompaiono come se stessero facendo delle entrate e delle uscite di scena dal palco, questa fedeltà all’impostazione teatrale permette però al film di essere quanto più fedele al testo Shakespiriano e di proporre dunque solo un’ attualizzazione dello stesso. 

Quest’ultima è stata resa possibile anche grazie all’accurata interpretazione e all’irruenza dei vari personaggi, ma soprattutto a quella del protagonista: Francesco Di Leva, che interpreta in modo magistrale il ruolo di Don Antonio Barracano. Egli è stato infatti capace di immedesimarsi alla perfezione in quel ruolo dal momento che – come lui stesso ha dichiarato – vive e ha vissuto in uno dei quartieri più difficili di Napoli e di conseguenza conosce la figura del “sindaco”( in quanto figura realmente esistente). Inoltre, la sua giovane età e la sua vivacità tipicamente partenopea gli hanno permesso di donare energia, modernità e anche un pizzico di brutalità a un personaggio che nel testo di Eduardo era presentato come un vecchio sessantacinquenne, rendendo la storia non solo più avvincente ma anche più ricca di significato. Infatti, a detta del protagonista, oggigiorno questi capocamorristi non superano i 45 anni d’età poichè o vengono arrestati o muoiono prima e di conseguenza è stato utile scegliere una personalità scattante per poter attualizzare ulteriormente il personaggio del “sindaco”.

Trattasi di una personalità, quindi, che rappresenta il nucleo della storia perchè, come lo stesso Barracano afferma in uno dei momenti centrali della pellicola (ovvero durante l’incontro con Rafiluccio Santaniello) “chi ha i santi, va in paradiso ma chi non ne ha si reca da lui” .


Il motivo? Ebbene lui difende gli ignoranti in quanto rappresentano la parte più vulnerabile della società e in quanto incapaci di farsi giustizia autonomamente. Questo suo atteggiamento deriva dal fatto che, avendo vissuto sulla sua pelle delle violenze da parte dei più forti, si impegna ad amministrare una giustizia diversa da quella “fornita” dallo Stato, solo per poter aiutare i più deboli: gli ignoranti appunto e al contrario di ciò che si possa pensare, non lo fa per consolidare il proprio potere, ma per mettere luce su alcuni aspetti sottovalutati del posto in cui vive. 
È poi degna di nota l’evoluzione che questo personaggio compie durante il corso della storia ed è altrettanto magnifica la decisione finale dello stesso atta a dare un prezioso insegnamento: quello di intervenire per evitare altro spargimento di sangue, perchè come lui stesso afferma nel film:“un uomo è uomo quando capisce che è arrivato il momento di fare marcia indietro e la fa”. Personaggio, quindi, che non merita di essere definito solo ed erroneamente come ‘criminale’, in quanto uomo dotato di debolezze che traspaiono nel film e di una grande volontà di ristabilire l’ordine,affinché non ci sia più bisogno di un sindaco del suo genere. 

La riuscita di questa pellicola però è da attribuire, in particolar modo, alla regia di Martone, che è stata capace di far ‘rivivere’ un’opera teatrale utilizzando il mezzo cinematografico, ma non travolgendo la sceneggiatura integrale, al contrario valorizzandola e rendendola ulteriormente un capolavoro, senza l’utilizzo di crudeltà e stereotipi.  Il tutto è stato reso possibile dal montaggio accurato (sebbene rapido e/o poco presente a causa dei vari long takes effettuati capaci di creare sequenze lunghe ma piene di una sorta di tensione intrigante)  di Jacopo Quadri, che ha donato alla proiezione un ritmo incalzante e intrigante.

In quanto alla colonna sonora si potrebbe affermare che la narrazione è stata impreziosita e al contempo alleggerita dalle note dell’album rap in dialetto napoletano di Ralph P, che consiste nella trasposizione dei fatti in musica (per esempio nella canzone “Rione Sanità” viene ripercorsa tutta la storia di don Antonio).

Ciò che ha ulteriormente reso il film un’opera maestra è la Città di Napoli, in quanto quest’ultima non rappresenta solo l’ambientazione dei fatti, ma, al contrario si trasforma in un ulteriore personaggio. Quest’ultima prende vita grazie alla fotografia – curata da Ferran Paredes Rubio – che la fa apparire poche volte nel corso della narrazione in qualità di sfondo (attraverso le varie riprese aeree e immagini spesso poco nitide) mostrandola, però come un posto distrutto dalla mancanza di giustizia: la città stessa sembra soffrire per ciò che sono costretti a subire i suoi abitanti. E questo è stato prevalentemente reso possibile grazie all’utilizzo di una palette di colori freddi atta probabilmente al voler trasmettere le emozioni degli stessi abitanti. 

Non sarebbe giusto definire questa pellicola come una proiezione finalizzata alla denuncia della camorra e di coloro che la esercitano, al contrario si potrebbe catalogare come un lungometraggio volto a far conoscere determinate situazioni perché, stando alle dichiarazioni del regista Martone, c’è bisogno di agire su una dimensione politica e dunque di interrogarsi sulla realtà per poter donare una giusta rappresentazione della stessa.

Questo film è stato capace di evidenziare la lotta tra il bene e il male e la correlazione che vi è tra le due tramite le azioni del protagonista non del tutto lecite ma volte comunque al bene dei più deboli, di aver offerto un grande omaggio ad una pièce che merita di essere ricordata e da ultimo, ma non per importanza, di aver messo in luce una realtà a molti ignota.

di Krizia Loparco

 

 

 

1 Commento su Recensione de “Il Sindaco del Rione Sanità”

  1. Complimenti all’autrice dell’articolo!

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*