Linguaggio senza regole: quando la politica diventa marketing
LA RICERCA DEL CONSENSO ELETTORALE CAMBIA IL MODO DI PARLARE DEI POLITICI. IL LINGUAGGIO E' IMPOVERITO IN NOME DELLA SEMPLICITÀ
Sempre più comunemente si assiste ad un impoverimento del linguaggio politico. I rappresentanti dei cittadini hanno affinato le tecniche di ricerca del consenso: frasi fatte, slogan, retorica sono il nuovo impianto comunicativo utilizzato per parlare al proprio elettorato. I social network hanno, poi, accorciato la distanza tra elettori e politici, perché l’istantaneità del messaggio vanifica ogni forma di mediazione. Ma qual è il prezzo che la politica e la stessa società pagano?
L’IMBARBARIMENTO DEL LINGUAGGIO – “Quando si vota in questo paese lo decide un manuale che si chiama la Costituzione. Non è il menù di un beach club a Milano Marittima”. Oppure: “Bruno, stai sereno e trac”. Espressioni come queste, con chiare allusioni provocatorie, sono state protagoniste del Matteo VS Matteo, il dibattito politico mediato da Bruno Vespa, tra il leader della Lega Matteo Salvini e l’ex leader del PD, Matteo Renzi. Assistere a situazioni in cui gli esponenti delle istituzioni si esprimono liberamente, senza avvertire il peso della responsabilità del loro ruolo di rappresentanza, è un fatto ormai ordinario. Il linguaggio politico utilizzato risulta scarno, privo di un’autentica discussione politica: autorevole, competente e raffinata.
L’europarlamentare Irene Tinagli, in una puntata di Quante Storie, mette in evidenza un’estrema semplificazione del linguaggio: immediatezza, superficialità, utilizzo di termini sguaiati diventano le tecniche più comuni per ottenere la simpatia degli elettori e il loro consenso. La trasparenza infatti è il principio che viene imposto dalla comunicazione politica attuale, al fine di trovare un punto di incontro con l’elettore. La conseguenza, però, è la costruzione di format comunicativi plasmati in base alla conformazione del proprio elettorato. In altre parole, oggi il politico non si rivolge più a tutti i cittadini, ma adegua il proprio linguaggio al singolo elettore a cui si rivolge, come avviene nel marketing.
Interpellato sull’argomento, il professore Marco Deriu – docente di Sociologia della comunicazione politica e ambientale dell’Università di Parma – conferma questo fenomeno. I cittadini si sono oggi trasformati in clienti, soggetti ai brand proposti dalla politica. Deriu evidenzia, inoltre, l’assenza di proposte politiche stimolanti, dovuta alla scomparsa dei partiti. Questi, secondo il professore, non sono più i veri protagonisti della politica, sostituiti dai singoli rappresentati. Si assiste, in altre parole, ad una eccessiva personalizzazione della politica.
Ecco allora che si accentuano gli aspetti e le caratteristiche di ciascun politico. In questo contesto, ha acquisito un ruolo sostanziale il linguaggio non verbale: ammiccamenti, atteggiamenti, smorfie vengono immortalati e diventano meme virali sui social, ridicolizzando l’immagine stessa del politico. Non da ultimo è il largo ricorso al simbolismo, per veicolare un messaggio. Un esempio? Il bacio del rosario: una battuta ormai nota del copione di Matteo Salvini.
Ma a quali fattori si può imputare il cambiamento della comunicazione politica?
IL BERLUSCONISMO – A partire dalla sua discesa in campo nel gennaio del 1994 alla guida di Forza Italia, Silvio Berlusconi scosse la classe dirigente della Prima Repubblica con la sua capacità di rinnovare il modo di fare politica. Come imprenditore riusciva a comunicare con i suoi elettori, grazie a una personalità carismatica molto forte e alla sua influenza mediatica. In particolare, uno dei tratti linguistici che più lo caratterizzava, era l’abilità nel creare slogan e nel fissare parole chiave di semplice comprensione, utilizzandole ripetutamente. Il linguaggio di cui si serviva il Cavaliere era intenzionalmente basso, usando spesso metafore per avvicinarsi il più possibile al proprio pubblico. Vanno anche menzionate le sue battutine e barzellette, che lo hanno reso un personaggio ‘umoristico’ e vicino alle persone. “Berlusconi ha giocato un ruolo importante perché la sua figura emerse in corrispondenza con la privatizzazione dello spazio pubblico, in particolare quello politico” commenta il professor Deriu il quale aggiunge come a questo cambiamento sia seguita anche la trasformazione in senso commerciale della televisione. Di conseguenza, lo stesso linguaggio politico adeguò il proprio registro a quello televisivo.
CAMBIA LA PREPARAZIONE – Nonostante l’iniziale estraneità dalla politica, Berlusconi riuscì ugualmente a destreggiarsi tra i ranghi dell’establishment italiano. Ma non fu il solo. Come dimostra l’analisi di Filippo Mastoianni (Il Sole 24 ORE) sulla composizione della classe di governo italiana, si sta assistendo ad un cambiamento evidente. Fino a 10 anni fa, Palazzo Chigi era rappresentato per la maggior parte da giuristi e avvocati.
A partire dal 2007 è però iniziata una nuova tendenza. Negli ultimi anni infatti si assiste ad un aumento della percentuale di economisti e laureati in scienze politiche. Mentre non ha subito particolari variazioni la percentuale di ministri in possesso del diploma di scuola secondaria, con l’eccezione del Governo Monti. L’ex Presidente e l’intero Consiglio dei ministri raccoglieva tecnici ed esperti, che parlavano in ‘tecnichese’ e forse anche per questo fu aspramente criticato per aver attuato riforme impopolari.
Oggi, infatti, la figura dell’esperto non riesce più a conquistare la fiducia del cittadino, il quale preferisce piuttosto quei comunicatori politici con cui riesce a identificarsi. È chiaro, però, che la possibilità di candidarsi in politica, al di là del background scolastico, si rispecchia inevitabilmente anche nel registro comunicativo. Ne è un esempio il Movimento 5 Stelle che, rivendicando il principio di sovranità popolare, svecchiò le istituzioni con candidati più giovani, in grado di comunicare con il proprio elettorato, nonostante la ridotta esperienza in campo politico.
COMUNICAZIONE NEI SOCIAL MEDIA – I rappresentanti politici hanno sfruttato la potenza divulgativa dei social networks. Piattaforme come Facebook o Twitter diventano i contenitori privilegiati per la diffusione delle notizie. Queste rimbalzano nel formato digitale prima ancora di essere riportate su carta o di essere discusse in aula parlamentare. Un fenomeno che il docente Deriu definisce ‘velocizzazione della politica’. “La democrazia ha bisogno di tempi, spazi, approfondimento e confronto. Sarebbe necessario rallentare: la politica 24h su 24 può essere degradante” commenta Marco Deriu.
Sui social, invece, immediatezza e diffusione sono assicurate: un post Facebook, così come un tweet, può raggiungere migliaia di elettori in brevissimo tempo. Tuttavia, in questo modo la politica resta schiacciata dai limiti che la scrittura online impone: massimo 280 caratteri per Twitter. Dunque, la maggiore trasparenza che i social dovrebbero garantire rischia di essere solo apparente quando questioni che meriterebbero un’approfondita analisi, vengono banalizzate e semplificate in slogan e frase costruire.
La conseguenza è che il cittadino ‘inesperto’ si accontenta di quelle informazioni povere, sufficienti però a fargli ritenere di avere un’opinione in merito alla questione X. Se dunque si può oggi parlare di una riduzione della distanza fra ‘noi’ e ‘loro’, lo stesso si può dire per la facoltà di pensare. Le fake news sfruttano proprio questo fenomeno: notizie non verificate o trattate superficialmente vengono pubblicate e diffuse in rete.
Una delle tecniche più recenti di comunicazione online tra rappresentanti e elettori è la piattaforma Rousseau. Il sistema del Movimento 5 Stelle dà la possibilità agli iscritti di orientare, attraverso il loro voto, le decisioni politiche del partito. In questo modo, problemi che dovrebbero essere discussi e argomentati nelle sedi istituzionali, vengono lasciati nelle mani del singolo cittadino.
Il ricorso ai social network come nuovo mezzo di comunicazione non è però solo un fenomeno italiano. Il presidente Trump utilizza in maniera virale Twitter, dove usa un linguaggio basso, grezzo e scurrile, che ne denota una marcata inesperienza politica e una più forte esperienza nella televisione. The Donald utilizza dunque un registro comunicativo piuttosto semplice, ma che riesce comunque a fare breccia nell’elettorato. Sorprende, dunque, che alle elezioni del 2016 Donald Trump si sia imposto come successore di Obama, noto invece per la sua grande oratoria.
Di fronte ad una società interconnessa e digitale, è essenziale che anche la politica si apra alle nuove possibilità del mondo online e sfrutti in maniera costruttiva le sue piattaforme. Tuttavia, come argomenta Mark Thompson CEO del New York Times, nel libro La fine del dibattito pubblico, è anche necessario un ripensamento del linguaggio sia per i giornalisti sia per la classe politica.
“I giornalisti non devono fare da megafono per i politici, ma dovrebbero verificare, interloquire e ribattere alle affermazioni politiche” suggerisce il professore Deriu. Mentre per risanare il discorso politico, Thompson suggerisce l’utilizzo di argomentazioni efficaci, ma chiare e accessibili al pubblico. Secondo l’autore, dunque, la ricerca di un linguaggio più moderno e innovativo può procedere di pari passo con l’approfondimento e il dibattito costruttivo. È sufficiente evitare allusioni, battute, smorfie e gesti che spesso caratterizzano i moderni scambi politici.
di Michela Dalla Benetta
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