Status Symbol e moda: quando la società cambia per simboli
GLI STATUS SYMBOL NEL TEMPO: LA STORIA SI RIPETE MA IL MESSAGGIO E' SEMPRE LO STESSO
ASOS ha messo in vendita degli auricolari che non funzionano, ma che sono uguali uguali agli AirPods della ben nota marca Apple. Costano circa 8 euro, contro gli oltre 150 euro di quelli originali della mela. Perchè fabbricarli? Per giunta non funzionanti? Beh, questi poco discreti auricolari della Apple sono diventati un vero e proprio status symbol per i millenials che a questo punto, vien da pensare, farebbero di tutto per averli. Ora chi non se lo può permettere potrà fare finta, accodandosi ai suoi coetanei e sfoggiando due apparecchi nelle orecchie che neanche le guardie del corpo! Sorvolando sulla bellezza estetica di questo status symbol, quali altri simboli hanno segnato le generazioni passate? Facciamo un viaggio tra alcune mode e status symbol, magari vergognandoci anche un po’ di aver indossato quei jeans o sfoggiato quelle orribili scarpe che avevano tutti.
Gli status symbol sono simboli che contribuiscono ad identificare una persona a seconda della condizione economica, delle idee politiche e dell’età. Non vanno di certo interpretati in maniera rigida e inequivocabile, però possono indubbiamente dire tanto e accomunare intere generazioni. Fin dai secoli scorsi, forse fin da quando la civiltà ha preso forma, ci sono sempre stati oggetti preziosi destinati esclusivamente all’élite. Si decretava chi poteva indossare cosa. Con al rivoluzione industriale le cose cambiano, ora la classe borghese, ma anche chi non era così agiato, poteva permettersi alcuni oggetti considerati dei veri e propri status symbol. Come asserisce nel 1890 il sociologo Veblen, nasce così il consumo vistoso, il consumo aspirazionale e le analisi sul ruolo sociale dell’abbigliamento. E se non si possono acquistare certi oggetti di consumo, si possono comunque trovare delle scorciatoie, come quella proposta da ASOS.
SIMBOLI NELLA MODA– La moda è dove pullulano gli status symbol, attraverso l’abbigliamento è infatti facile identificarci al primo sguardo. È indubbio che se si vuole essere alla ‘moda’, anche se forse si può parlare di conformismo, l’outfit va studiato bene. Ogni generazione vede i suoi “immancabili” e ogni status che si vuole rappresentare ha il suo stile. Negli anni ’80-’90, un giovane ‘ribelle’ si rivedeva negli immaginari rock, con i capelli ingellati a cresta oppure con i capelli lunghi, per i più metal/inconpresi che rock. Nei primi 2000 arrivano poi i ‘Gabber’ e la moda di vestirsi come rapper. L’outfit giusto è quindi quello della tuta acetata, grosse sneakers ai piedi, berretto con la visiera a becco, gilet bombato e marsupio a tracolla. Ehi ma non vi ricordano qualcuno? Stessa moda che si tramanda oggi per i giovani ‘trapper’. Il tutto deve essere però rigorosamente griffato e può essere abbellito con gli accessori del momento: occhiali da sole da donna, sigaretta elettronica (lo svapo), i già citati AirPods, e tutto quello che è oro e luccichii. Risultato? Spendere tanti soldi per sembrare daltonici… ma ricchi.
E se i trap-boy e le trap-girl hanno un rapporto ambiguo con la povertà e la ricchezza, i giovani che gravitano intorno al mondo dell’indie lo hanno con il ‘disagio’. In Italia questa moda si è sviluppata di pari passo all’ ‘Itpop’, genere musicale rappresentato da artisti come Calcutta, i Thegiornalisti (non piangere giovane fan che stai leggendo), Maria Antonietta e Gazzelle. È l’immaginario ideale per chi si sente triste ed incompreso. Alcuni ‘must’? I giubbotti della Napapirji o North Face, gli zaini dell’Eastpak, le camice a quadri, la frangetta per le ragazze, i pantaloni stretti e le scarpe ‘Old Skool’ della Vans. Poi magari c’è l’indie che tende più verso l’universo hipster e quindi è bene scovare le bretelle dall’armadio del nonno e procurarsi delle specifiche lozioni per i baffi.
Ma facciamo un salto ai roaring 80s e 90s. Anni ’80 uguale pc (come lo è stato la televisione negli anni ’60), il rolex d’oro per gli uomini, il visone per le donne, il Moncler per le ragazze e, magari, per i più ribelli la maglia del Chè.
Negli anni 90′ vinceva l’orologio Swatch e lo stile si rincorreva guardando Beverly Hills 90210 e ascoltando le Spice Girls, i Backstreet Boys e poi Britney Spears. Per le ragazze c’erano i crop top (magliette quasi reggiseni) oppure le t-shirt sopra all’ombelico. Per la capigliatura invece dopo aver visto Ghost, portare i capelli corti androgini alla Demi Moore era d’obbligo. Negli anni ’90 troviamo ancora i Levi’s 501, le Dr. Martens, i choker, le borse total logo di Luis Vuitton o Gucci.
LA TECNOLOGIA RETRÒ È DI TENDENZA– Mentre gli ideali, l’abbigliamento e gli stili possono ritornare, gli strumenti tecnologici invece trovano difficilmente continuità. Ed è forse proprio dal divario tecnologico che scaturisce la maggior incomprensione generazionale. Chi di noi non ha mai sentito un anziano deprecare internet o i cellulari? Se fino alla fine degli anni ’90 avere un ‘mobile phone’ era uno status symbol, oggi si può dire una necessità. Anche tua nonna oggi non può fare a meno del cellulare.
Ma possiamo trovare esempi di repentino cambiamento di simboli anche restringendo il range di tempo. Pensiamo all’iPod, creazione della Apple,un’azienda che nel tempo si è sempre distinta nel rendere i propri prodotti dei veri e propri status symbol di innovazione. Nel 2001 l’iPod fu un’invenzione rivoluzionaria, un lettore tascabile in grado di contenere intere librerie musicali e che spazzò via in un batter d’occhio mangia-nastri e walkmen, cambiando lo stesso mercato discografico. A 18 anni dalla sua prima versione, continua ad essere venduto, ma per un giro d’affari irrisorio rispetto ad altri prodotti dell’azienda della mela. A una persona nata negli anni ’80 l’iPod potrebbe continuare a sembrare una conquista tecnologica; a un ragazzino nato dopo gli anni 2000 e cresciuto con la realtà della musica streaming già affermata, uno strumento come l’iPod sembrerà probabilmente un’inutile anticaglia.
Bisogna però fare attenzione a decretare prematuramente la morte di questi trend perché potrebbero ritornare. Un caso emblematico è quello dei vinili che hanno ampiamente attraversato la storia della musica in tutta la seconda metà del ‘900 e sono stati praticamente dichiarati morti a metà degli anni ’90, soppiantati dai compact disc. Sono poi ritornati prepotentemente in auge negli ultimi anni, scalzando proprio i CD e conquistando fette di pubblico anche tra i più giovani.
IL CONFLITTO GENERAZIONALE ATTRAVERSO I SIMBOLI- “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori”. Sono forse le parole di un over 50 indignato su Facebook? No, sono le parole di – squillino le trombe – Socrate, riportate nell’ottavo libro de La Repubblica di Platone. Queste ci aiutano a comprendere come il conflitto generazionale sia da sempre una costante della storia dell’uomo. Come accennato prima, dietro le diverse tendenze si celano movimenti sociali profondi che trovano per l’appunto nei simboli la loro espressione esteriore. Movimenti sociali che sono il risultato di collisione di visioni della società diverse. Tra i modelli archetipici che si potrebbero citare, va ricordata la dinamica conflittuale tra padri e figli che è stata spesso un motore di rivoluzione. Infatti, per ogni figlio che si ribella al padre, c’è un rinnovamento sociale che produce un simbolo che sostituisce a sua volta un altro simbolo. E così via. Ma se i figli che si ribellano ai padri sono una costante, lo sono anche i figli che ricadono negli stessi errori dei genitori. Non è implausibile infatti immaginare gli adolescenti di oggi cresciuti con la trap, Fortnite e Tik Tok lamentarsi degli adolescenti del domani. La storia si ripeterà sempre e ci sarà da ridere.
di Angelo Baldini
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