Abolire il suffragio universale: sono gli elettori a mettere in crisi la democrazia?

GRILLO CHIEDE DI TOGLIERE IL VOTO AGLI ANZIANI E SEMPRE PIÙ SPESSO VIENE INVOCATA LA STESSA POSSIBILITÀ PER GLI ELETTORI "IGNORANTI". DAVVERO LIMITARE IL SUFFRAGIO UNIVERSALE SEMBRA UNA BUONA IDEA?

Beppe Grillo è tornato a far parlare di sé con un articolo recentemente pubblicato sul suo blog in merito alla proposta di togliere il diritto di voto agli anziani. Tale idea propone di limitare l’età degli elettori ad una soglia massima, fin quando essi, supportando una determinata idea, potranno vivere abbastanza per subire le conseguenze a lungo termine delle proprie scelte elettorali.

Che questa sia stata l’ennesima provocazione dell’ex comico lo si può tranquillamente supporre dal modo in cui conclude il suo intervento: “Il dibattito è aperto”. Non gli si può negare tuttavia di aver raggiunto un certo successo: i media si sono prontamente lanciati sulla notizia, sollevando diverse reazioni tanto da parte della stampa quanto dai principali leader politici dei vari partiti. La domanda che in molti si stanno facendo, e che tanti si sono già posti, è: sarebbe giusto, per il bene della nazione stessa, eliminare il suffragio universale? Applicando piccole restrizioni, sia ben chiaro, che conferirebbero il diritto di voto a tutti quei cittadini realmente interessati e consapevoli delle conseguenze che la preferenza da loro espressa nei seggi avrebbe sulla società tutta.

Prima di avventurarmi anch’io in questa giungla vorrei però riproporre come punto di riferimento l’Articolo 48 della Costituzione: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. […] Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.

Secondo la Costituzione il dibattito finirebbe qui dunque, eppure lo stesso artcolo 48 recita: “Il suo esercizio (del diritto di voto N.d.R.) è dovere civico”. Il diritto di voto comporta quindi, per tutti i cittadini, un obbligo nei confronti della società, non solo per quanto riguarda il dovere morale di prendere parte alla vita politica del Paese, ma anche per quello di farlo con criterio, scegliendo consapevolmente di votare programmi che possano contribuire ad un miglioramento sociale. Se, come afferma Grillo, appoggiandosi all’opinione del filosofo ed economista belga Philippe Van Parijs, gli elettori sono guidati in gran parte dai loro interessi personali (secondo The nature of pubblic belief systems in mass publics, uno studio di Philippe Converse sull’elettorato americano del 1964, circa il 45% degli elettori-campione votava solo in base all’appartenenza al gruppo sociale teoricamente difeso dal partito politico in questione), è forse davvero possibile che, come sostiene l’ex comico genovese, gli anziani non si interessino molto alle conseguenze a lungo termine della politica che appoggiano. Parlandoci francamente, sentireste la mancanza dei voti di chi si disinteressa del negazionismo di un candidato nei confronti del cambiamento climatico, perchè tanto non sarà presente un domani per subirne gli effetti? O ancora, immaginandovi al posto dei giovani britannici che a breve si troveranno tagliati fuori dall’UE, vi mancherebbero i voti dei numerosi ultra-sessantacinquenni che hanno tanto contribuito, come dimostrano le statistiche, ad accompagnarli all’uscita senza pensare cosa avrebbe realmente significato per il futuro del Regno Unito una manovra simile?

A questo punto abbiamo aperto il vaso di di Pandora, ma a ben pensarci allora, quelli degli anziani non sono i soli voti che andrebbero tolti di mezzo secondo queste teorie. Una fetta di popolazione ben più ampia, e pertanto più pericolosa per gli elettori consapevoli, è composta proprio dagli elettori “ignoranti”. Lungi da me anche solo ventilare qualsiasi forma di elitarismo, o il suggerire dove tracciare il solco che separerebbe gli aventi diritto dagli “indegni”, dai quali non sono certo sarei escluso. Quello di cui sto parlando è la prospettiva di inserire un test di idoneità al voto contenente semplici domande di educazione civica, come proposto da David Harsanyi in un discusso articolo del The Washington Post, ispirandosi a quello necessario per ottenere la cittadinanza. Un test di uguale difficoltà per tutti, con una soglia di sbarramento molto bassa, che taglierebbe fuori dalla vita politica una frazione minima di elettori. Per informarsi oggi bastano uno smartphone e una connessione internet, anche se non è sempre così facile districarsi nella gigantesca mole di fake news che pullula la rete nell’epoca dei social e dell’informazione in tempo reale. Ed ecco allora che la proposta non sembra così senza senso: in teoria l’unica cosa che potrebbe impedire ad una persona di votare sarebbe il più totale disinteresse nelle questioni del Paese, cosa che a rigor di logica giustificherebbe tale esclusione.

Però qui sorge il problema principale: come si attua, concretamente, la distinzione? Questo fantomatico test, chi lo preparerebbe? Chi è che dovrebbe decidere le domande, la griglia di punteggi da utilizzare per correggere le risposte e la soglia di sbarramento? Qualcuno dovrà pur farlo, e quel qualcuno avrà il potere di decidere quale sarebbe il livello minimo di conoscenza per poter votare, livello che verrebbe stabilito da quello che di fatto sarebbe un esame scritto. Quali inoltre i limiti e i rischi applicativi di una proposta simile? Chi potrebbe garantire che, prima o poi, qualcuno non possa trovare un modo per usare a proprio vantaggio una simile selezione dei votanti? O, tornando alla proposta di Grillo, a che età diventerei troppo vecchio per poter dire la mia su chi deve governare l’Italia? Dopotutto l’aspettativa di vita è in costante ascesa (per il momento).

La realtà è che aldilà della questione di trovare un modo affidabile per separare consapevoli e ignoranti, o giovani e anziani che siano, tutte le proposte di questo stampo sono un potenziale pericolo. Qualsiasi limitazione all’universalità del diritto di voto (per quanto proposta spassionatamente ed a fin di bene per risolvere una apparente crisi della democrazia moderna) significherebbe l’ammissione del fallimento degli ideali democratici secondo cui il potere viene esercitato dal popolo di una nazione, e che proprio tramite la partecipazione di tutti può autodeterminarsi ed amministrarsi al meglio. La soluzione a questi problemi dovrebbe invece consistere nel creare migliori condizioni di consapevolezza politica, affinchè la popolazione sia informata ed istruita a sufficienza per potere continuare a decidere coscienziosamente, tramite il voto.  

Cosa è meglio per la nazione? Non certo porre delle restrizioni di qualsiasi sorta che porterebbero ad una politica escludente, di stampo oligarchico o epistocratico, vanificando più di un secolo di lotte per i diritti civili.

Mettendo da parte la possibilità di selezionare gli aventi diritto al voto, come è possibile rimediare ai problemi che comporta il voto non responsabile? La soluzione potrebbe essere semplice: investire sulla consapevolezza degli elettori.  Come affermato da Benjamin Page e Robert Shapyro in The Rational Public, l’elettore medio, per quanto disinformato possa essere, dimostra comunque una discreta capacità di discernimento ed elaborazione di fronte alle nuove informazioni. Secondo i due studiosi l’opinione pubblica sarebbe quindi razionale e recettiva, e i problemi strutturali della democrazia (quella americana nel loro caso) sono principalmente da ricercare nel ruolo delle élite e nel lavoro dei media, che regolano la quantità e la qualità delle informazioni politiche che giungono agli elettori.

Tra le soluzioni possibili, campagne informative e pubblicità progresso che non ricordino solo come si vota, ma che veicolino l’importanza di un gesto così apparentemente semplice come quello di tracciare una X su una scheda elettorale. Mettere le persone di fronte alla necessità di informarsi e capire come funzionino le elezioni, quali e quanto realizzabili siano le proposte di un tale politico o partito, quali le necessità di un paese e, soprattutto, come votare sia un diritto e un dovere. Si tratta di un dovere civico, perché votando ci si assume la responsabilità di affermare cosa sia meglio per la collettività, non solo per sè stessi, ma anche di un diritto, che nessuno obbliga ad esercitare se non si è realmente interessati o informati a sufficienza. Paradossalmente, diventa quindi un dovere morale, oltre che una dimostrazione di senso civico, decidere di non esercitare questo diritto nel caso in cui ci si renda conto di non avere gli strumenti necessari per compiere una scelta consapevole.

di Leonardo Monselesan

1 Commento su Abolire il suffragio universale: sono gli elettori a mettere in crisi la democrazia?

  1. andrea casari // 10 giugno 2020 a 6:19 // Rispondi

    Sono contro ogni possibile idea e forma di limitare il suffragio universale, a mio avviso si deve investire nella scuola e nella formazione, ma ciò porterebbe frutti solo nei decenni a venire, mentre una possibile ed immediata “limitazione” potrebbe essere pensata per chi si presenta in politica, ovvero si potrebbe controllare e limitare non tanto la libertà di riunirsi in un eventuale partito politico, ma quella di chi dovrebbe eventualmente rappresentarli in parlamento. Le norme vigenti attualmente sono assolutamente raggirate e vanno cambiate come andrebbe tolta anche la possibilità della transumanza al Gruppo Misto. Purtroppo la forma italiana della Democrazia Parlamentare si è trasformata, naturalmente o meno è da vedere, in una Burocrazia Parlamentare (statalista non moderna e non riformista).

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