“L’eterno conflitto? Non è solo una questione religiosa”

TRA RASSEGNAZIONE E SPERANZA: LA PALESTINA NON E' LONTANA

Bandiera della PalestinaHanzala è un nome di fantasia, per tutelare l’incolumità del ragazzo che ci ha rilasciato l’intervista. E’ uno dei cosiddetti arabi del ’48, cioè un palestinese con cittadinanza israeliana: se si venisse a sapere che ha rilasciato questa intervista rischierebbe di perdere la cittadinanza, quindi di non poter più tornare a casa sua.

Come si vive a Parma da palestinese? Sii sincero, lascia da parte i buonismi.

“Secondo me non è questione di essere arabo-palestinese, è un discorso che riguarda gli stranieri. Conviviamo bene, tutto sommato, con gli italiani”.

E la comunità palestinese?

“A livello burocratico la stiamo costruendo, per ora ci siamo solo noi come collettivo. In tutto siamo circa 200 persone, per la maggior parte studenti e laureati che lavorano qui. Abbiamo iniziato a muoverci nei confronti dell’amministrazione dopo gli attacchi su Gaza e, alla fine, il Comune ha aggiunto la bandiera palestinese sul Ponte delle Nazioni. Ora stiamo inoltrando domanda per avere una sede, come tutte le altre comunità straniere”.

Quanto pesa il fatto che lo Stato palestinese non sia ancora riconosciuto in certe nazioni?

“Posso dire che a noi non arrivano aiuti di alcun genere. Ad esempio, se un rifugiato politico arriva qui a Parma, non disponiamo di mezzi né per cercargli un lavoro, né per inserirlo nella società. L’amministrazione sia comunale, sia regionale, sia statale, non ci fornisce di quegli aiuti economici che potremmo utilizzare per aiutare i nostri connazionali”.

Con che sentimenti guardi a quello che succede nella Striscia di Gaza, che spesso trova spazio sulle nostre testate nazionali?

“Il mio è un caso particolare: sono un arabo-palestinese con passaporto israeliano. Dopo la guerra arabo-israeliana del ’48, gli arabi-palestinesi che rimasero sul territorio occupato da Israele acquisirono anche la nazionalità israeliana. Tra quelli che non l’acquisirono, invece, c’erano quelli di West Bank, quelli della Striscia di Gaza e i rifugiati politici. Per quanto riguarda le testate, le notizie che riportano sono nettamente pro-Israele e non rappresentano la verità. Del resto, l’Italia è il secondo fornitore di armi dello Stato israeliano”.

C’è un conflitto di interessi da parte dell’Italia?

“Si. Gli italiani vivono in una situazione in cui lo Stato non li ascolta e non risponde alle loro esigenze. Devo dire che questa cosa non mi sorprende più di tanto. Per quanto mi riguarda, da arabo che vive in Israele, è in atto un processo di ‘israelizzazione’ nei nostri confronti”.

Puoi spiegare?

“Noi siamo di fatto arabi-palestinesi, ma a livello burocratico siamo israeliani. Il punto però è che viviamo di fatto in una dittatura perciò se manifesti pubblicamente a favore della Palestina rischi di perdere la cittadinanza israeliana, quindi di non poter tornare nella propria patria. Quando Israele bombarda Gaza mi viene difficile inquadrare la cosa da un punto di vista ‘israeliano’. Lì vivono i miei cugini e loro stanno ammazzando i miei cugini, nonostante io abbia la cittadinanza israeliana e paghi le tasse”.

Quando ha cominciato a degenerare la situazione?

“In realtà la questione è iniziata prima, nel 1916 con l’accordo Sykes-Picot. Inghilterra e Francia si divisero la Palestina, ma ai tempi, quando c’erano gli inglesi, gli ebrei rappresentavano solamente il 4% della popolazione. La Palestina, prima della dominazione inglese, era turca. Con il cambio di guardia è stato agevolato l’arrivo degli ebrei. Con le loro ricchezze, nel ’48 si sono ritrovati a possedere il 12% del territorio. Nel ’48 poi è iniziato il conflitto, quello che noi chiamiamo al-Nakba che significa letteralmente ‘la catastrofe’. Negli anni della guerra gli ebrei hanno preso il controllo dell’85% dei territori, ammazzando e cacciando via circa la metà della popolazione. Ciò ha spinto molti palestinesi alla fuga. All’epoca c’era mezzo milione di rifugiati. Oggi, invece, sono diventati sei milioni. Prima del 1916 non esistevano Siria, Giordania, Palestina: c’era il territorio degli arabi. Israele è nato con l’obiettivo di dividere i paesi arabi, per impedire a quest’ultimi di controllare il Maghreb e il Golfo arabo. L’unità degli arabi porterebbe un’ingente quantità di petrolio e gas sotto il controllo di un unico Stato”.

Praticamente, stai dicendo che vedi un filtro legato ad interessi economici più che a interessi religiosi, nonostante la questione venga generalmente associata alla seconda di queste tipologie.

“Precisiamo. Gli ebrei non sono tutti semiti, vale a dire che il 90% degli ebrei sono diventati musulmani per via della diaspora romana nel II secolo d.C. Oggi ci sono gli ebrei ‘con i capelli biondi e gli occhi azzurri’ che non hanno nulla a che vedere con gli ebrei di Mosè. Quelli si sono convertiti all’incirca ottocento, novecento anni fa. Quella non è la loro terra promessa, i loro avi non sono mai stati in Palestina, è tutto ‘un cazzo di politica’. L’Inghilterra e la Francia, le nazioni che hanno creato lo Stato di Israele sono le stesse che cinquanta – o cento – anni prima li hanno sterminati in massa. Questo vale anche per la Russia. In quel caso gli ebrei furono vittime quanto lo siamo noi palestinesi, la colpa è da attribuire all’esercito dell’Occidente”.

Esiste una soluzione a tutto ciò? Cosa si potrebbe fare per porre fine al conflitto e fare in modo che si realizzi la pace?

“Una soluzione non è sempre facile da trovare: non esiste la bacchetta magica. Noi chiediamo un unico Stato che contenga tutti i cittadini dei territori palestinesi, arabi, ebrei o curdi che siano. Però, per quale motivo uno arrivato cinquant’anni fa a Gaza e nella Palestina afferma che quel territorio è suo? Noi abbiamo un conflitto che si sviluppa soprattutto nell’ambito del controllo delle risorse. Parlando da arabo-israeliano posso dirti che a me è permesso andare in discoteca, o candidarmi anche se sempre ad un livello basso, però non posso oppormi al fatto che siano loro a controllare le risorse. E’ evidente che veniamo considerati come cittadini di secondo livello e quindi veniamo discriminati. Spero che gli arabi non si comporteranno come gli ebrei si stanno comportando con noi. Questi ultimi non dovrebbero dimenticare che sono pur sempre cinque milioni di sionisti circondati da mezzo miliardo di arabi. Loro adesso non si creano il problema perché sono alleati con gli Stati Uniti, ma se tra dieci o cinquant’anni le cose cambiassero? Hanno subito la peggiore cosa che potesse mai capitargli con Hitler, e adesso stanno mettendo in pratica la stessa cosa. Per questi motivi non riesco a immaginare un futuro migliore. Ora come ora, vedo solo generazioni sempre più arrabbiate e sempre più tese agli estremismi“.

Questo non è come vivere sotto ricatto? Puoi accedere ai servizi, ma solo a determinate condizioni, è questo che stai affermando?

“Si. Questa è una cosa che puoi applicare solo con la legge del più forte. Il più forte comanda e fa in modo che questa situazione continui. Tutto ciò non è naturale e io non riesco a sentirmi a mio agio quando uno che è arrivato nella mia nazione dieci anni fa afferma che vuole cacciare via gli arabi perché non sono fedeli a Israele. Per quale motivo una palestinese-americana, una che discende da una famiglia che vive da mille anni in Palestina, non possiede il diritto di ritorno, cioè la possibilità di ritornare in quella che considera la sua terra natìa, mentre un’ebrea-americana, anche se i suoi avi non sono mai andati lì, può usufruire di questo diritto? Semplicemente perché è raccontato da qualche parte, da qualcuno che quattromila anni fa era considerato il loro profeta? E’ tutta una questione di interessi, non c’entra niente la religione“.

Desiderereste degli aiuti da parte del popolo italiano?

“Da parte del popolo italiano non vorrei nulla più che si informasse sulla situazione della Palestina”.

Da un po’ di tempo a questa parte si sente molto parlare di Isis. Cosa ci dici sul terrorismo islamico?

“Io credo che il terrorismo islamico sia uguale alla creazione di Israele. Un popolo che non è del posto arriva in un territorio e, servendosi del fanatismo religioso, inizia ad uccidere, a distruggere la cultura e cancellare la storia di un altro popolo. Questa è esattamente la stessa cosa che ha fatto Israele. Hanno ucciso e distrutto, in nome della religione giudaica. Personalmente credo che l’Isis non durerà tanto. Questa organizzazione è nata semplicemente per far allargare lo Stato curdo. Israele e gli Stati Uniti appoggiano l’eventuale nascita di uno Stato curdo. Il motivo è che questo Stato attualmente occupa una zona dell’Iraq ricca di petrolio. Tuttavia c’è anche un’altra porzione nelle mani dell’Isis, che si è spinto oltre, geograficamente parlando, per ottenere il controllo dei bacini petroliferi. Tutto il mondo sta attaccando l’Isis ma l’esercito che combatte è quello curdo. Quando i curdi cacceranno l’Isis da una città, la occuperanno e nessuno andrà lì a toglierli di mezzo. I curdi della Siria che sono stati cacciati da lì sempre dall’Isis stanno aspettando in Turchia, ma secondo me, non torneranno mai in Siria. Torneranno invece nel Kurdistan, dove i loro capi sono sottomessi agli americani, che gestiscono il petrolio di quella zona lì”.

Hai detto che l’Isis ha agito come Israele. Quali sono le conseguenze delle azioni dell’Isis?

“L’Isis contribuisce a realizzare il nuovo disegno del Medio Oriente. Dopo cento anni dall’accordo Sykes-Picot, che ha già ridisegnato il Medio Oriente, sono cambiate molte cose. Prima del 1916 eravamo uniti, adesso invece abbiamo ventitré paesi arabi. E’ questo il disegno di Israele”.

Vuoi aggiungere altro?

“Vorrei dire due cose. Se questa registrazione diventa di dominio pubblico e viene fuori che io ho una posizione filo-palestinese, potrei avere dei problemi la prossima volta che torno nella mia terra natale. Non voglio. La Palestina è casa mia e l’eventualità che io non possa tornare mai più a casa mia a causa di un’intervista… Non potete occultare il mio nome? Lasciarmi anonimo?”

Certo che sì.

“Vorrei dire, ai piccoli, alle generazioni nascenti, che bisogna smetterla con l’odio tra arabi ed ebrei. Cinquant’anni fa gli ebrei che arrivarono in Israele non odiavano gli arabi perché sapevano e avevano visto come gli arabi si erano comportati con loro. Oggi invece, le nuove generazioni odiano gli arabi e li identificano come una minaccia. Così non va. I piccoli non devono vedere tutto questo odio. Solo così un giorno avremo la speranza che le cose cambino. A Gaza i bambini odiano gli israeliani perché essi hanno ammazzato la metà di loro. Nei dintorni di Gaza invece odiano gli arabi perché non riescono a dormire bene di notte. Se si continua così, il risultato è un Paese senza futuro. Netanyahu negli ultimi dieci anni ha contribuito a creare una generazione di odio, di minaccia, di assassini. Circa quattro mesi fa è stata la volta di quel ragazzo di Gerusalemme, quello che hanno bruciato: allora io mi chiedo, perché Netanyahu vuole convincere gli ebrei che per loro siamo una minaccia? Noi? Che non facciamo altro che abitare la nostra terra? Non siamo terroristi. Prima entri in casa mia e poi mi dici che sono io il terrorista? Se io reagisco, sono legittimato, sto difendendo casa mia. Se un ladro viene a rubare in casa tua, tu sei legittimato a difendere te stesso e la tua casa. Certo, ci si può adattare e ‘imparare a vivere’ così, ma questo non toglierebbe il fatto che si tratta di una cosa del tutto innaturale”.

 

di Luca Mautone e Silvia Moranduzzo

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