Con la cultura non si mangia? Anche il Festival Verdi nel mirino dei sindacati

HANNO PARTECIPATO AL BANDO PUBBLICO COME MIMI MA ORA CHIEDONO UNA GIUSTA RETRIBUZIONE. LA POSIZIONE DI CGIL E VERTICI TEATRO REGIO

Il Festival Verdi è un appuntamento annuale e di grandissimo prestigio per Parma. Nel 2019, tra settembre e ottobre presso il Teatro Regio, sono stati portati in scena quattro spettacoli per celebrare il 206° compleanno di Giuseppe Verdi. Appuntamenti, questi, a cui si è aggiunta la rassegna Verdi Off, eventi collaterali e gratuiti che hanno portato arte e musica per le strade e le piazze della città. L’edizione 2019 ha coinvolto 26 mila spettatori e ha riconfermato, per la quarta edizione consecutiva, di essere fonte d’attrazione per il pubblico di Parma e non solo. Il Festival Verdi ha, infatti, richiamato l’attenzione di media nazionali e internazionali; registrato incassi da capogiro che ammonterebbero a 1,4 milioni di euro dalla biglietteria. Un record di cui si è brindato.

A dare tuttavia una piccola nota stridula a questo successo sono state alcune lamentele provenienti da collaboratori esterni del Festival Verdi, ‘artisti’ – più specificatamente della categoria mimi – che, ascoltati dalla sigla sindacale CGIL, hanno portato le loro ragioni all’attenzione della stampa locale.

ARTISTI NON ANCORA SCRITTURATI – Alcuni di questi collaboratori impegnati nel Festival hanno recentemente lamentato l’assenza di una giusta retribuzione, una retribuzione che corrisponda alle ore di lavoro spese e degna degli sforzi fatti. La polemica si è sollevata grazie a CGIL, che denuncia le loro condizioni di lavoro e avanza richieste di tutela tramite la regolarizzazione dei contratti e il riconoscimento di una paga proporzionata alla loro professionalità. Va tuttavia sottolineato che si tratta di una problematica estesa a tutti gli istituti e realtà del panorama culturale, o quasi, e non riguarda solo il Teatro Regio di Parma.

CGIL, segretaria Luisa Diana

Luisa Diana, segretaria generale NIdiL Cgil di Parma, spiega che “Fondazione Teatro Regio avrebbe contrattualizzato i suoi artisti con contratti di lavoro autonomo, i quali prevedono che il compenso a loro destinato venga stabilito per giornata e indipendentemente dalle ore di lavoro“. Determinato quindi il compenso a prescindere dalle ore lavorate e dai giorni. Inoltre, “la categoria ‘attività lirico sinfoniche’, a cui Teatro Regio appartiene, non prevede nessun tipo di normalizzazione o regolarizzazione contrattuale del lavoro svolto dagli artisti, ai quali non viene riconosciuto neanche il rimborso spese”. Leggendo i bandi rivolti ai mimi, pubblicati quest’anno, si trovano compensi che variano da un massimo di 400 euro a recita, per la partecipazione al Nabucco, a un minimo di 150 euro per l’Aida. I contratti collettivi nazionali è ciò a cui i Sindacati si sono appellati, ovvero formule di contratto standard che imporrebbero un compenso minimo al di sotto del quale non andare; o alla scelta di formule contrattuali che siano proporzionate alle ore di lavoro svolte, riconosciute agli artisti scritturati, come accade già in diversi teatri italianiSebbene siano tutte richieste non ancora assecondate, CGIL si dice “fiduciosa nel credere che sia possibile trovare per il prossimo anno un punto di incontro” e giungere così, presto, ad un accordo che riconosca agli artisti i diritti che meritano.

Direttrice Teatro Regio, Anna Maria Meo

Critica verso queste posizioni é la dottoressa Anna Maria Meo, direttrice generale del Teatro Regio. Le richieste degli artisti per quest’anno non potranno essere accolte per una serie di ragioni. Innanzitutto, secondo quanto sostenuto dalla direttrice, non esiste un contratto nazionale standard. L’unico contratto applicabile quest’anno era quello destinato alle fondazioni lirico-sinfoniche dove non è regolamentata la figura del mimo. 

In assenza del suddetto contratto standard nazionale, Anna Maria Meo ribadisce che “mente chi ci accusa di esser rimasti al di sotto del tetto minimo previsto. Non esiste alcun tetto, per cui non siamo stati né sotto, né sopra a quello regolamentato. Abbiamo fatto un bando, pubblicando la retribuzione offerta ai mimi; abbiamo avuto una partecipazione molto numerosa e solo alcuni sono riusciti a far parte del team dello spettacolo”. Inoltre, “nel momento in cui l’artista accetta di fare l’audizione, di partecipare allo spettacolo e di venire retribuito, non è possibile andare a incrementare lo stipendio in corso d’opera”. Ciò è dettato anche dal fatto che quest’incremento sarebbe dovuto essere applicato a tutti gli artisti, non solo alla categoria dei mimi. Se la richiesta fosse stata accolta, “ciò avrebbe generato un aggravio di spesa di qualche decina di migliaia di euro fuori budget”. Il rigore va dunque letto a vantaggio dei lavoratori che contano sulla stabilità dell’istituzione per mantenere le medie occupazionali.

La direttrice si dice favorevole ad aprire un dialogo con i sindacati e a venire incontro alle richieste dei lavoratori coinvolti. Questo confronto però dev’essere strutturato e non può aver luogo nelle situazioni di emergenza. “Sulla prossima contrattazione, dovendo ancora approvare il budget del 2020, possiamo provare a incrementare la paga dei mimi che verrano scritturati l’anno prossimo”.

FIUME IN SECCA DEI FONDI STATALI? – Se da una parte vediamo il prestigio internazionale di questo teatro, dall’altra vediamo le difficoltà di fare i conti con i finanziamenti pubblici. La Fondazione Teatro Regio vede entrate prevalentemente erogate dal FUS (Fondo Unico per lo spettacolo), lo strumento del Ministero dei beni culturali a sostegno dei vari settori dello spettacolo. Come riportato nel documento Buisiness Plan 2019-2021, l’anno scorso, con lo strategico cambio di categoria, il Teatro avrebbe dovuto ottenere un incremento di capitali che gli è stato negato. Infatti, per il triennio 2018-2020, invece dei 107.000 € previsti dalla categoria Programmazione concertistica e corale, si sarebbe dovuti passati ai 726.057 € come Festival di assoluto prestigio. Tuttavia, con il decreto ministreriale del 2014, si è applicato un tetto del 5% sull’aumento dei finanziamenti. I contribuiti pubblici si sono fermati a 112.634 €, vedendo una mancata entrata pari a 613.414 €.

Il pomo della discordia vede una diversa lettura. Mentre per il Ministero esso va applicato indistintamente, i legali della Fondazione sostengono che esso sarebbe stato legittimo solamente se il Teatro fosse rimasto nella stessa categoria. Pur non essendo questo il caso, il giudice ha dato rilevanza all’esigenza del Fus di sostenere il numero più elevato possibile di operatori del settore. Quindi, a seguito dei vari ricorsi bocciati dal Tar del Lazio, attualmente la Fondazione si è rivolta al Consiglio di Stato per far valere le sue ragioni. “Cerchiamo, nelle modalità previste dalla legge, – spiega la direttrice Meo – di far valere il nostro punto di vista andando a sostegno del nostro progetto. Questo, crescendo, ha prodotto significativi aumenti di lavoro, consentendo al Teatro di guardare con un certo ottimismo al futuro”. Al momento, però,  questo ottimismo è costretto a ridimensionarsi, specie nel caso in cui la mancanza di fondi si dovesse protrarre per l’intero triennio.

Le entrate della Fondazione non si esauriscono tuttavia al Fus, ma provengono anche dal Comune, dagli sponsor, dagli incassi dei biglietti, della legge Festival Verdi, da vari eventi e dalle proprie entrate, il cui apporto è assai rilevante. Guardando alla previsione dei ricavi prevista per il 2019, il primo ha stanziato un contributo ordinario pari a 3 milioni di euro. I privati, tra cui la Fondazione Cariparma, hanno contribuito per un totale di altri 3 milioni di euro; il valore dei biglietti di lirica e di concertistica è pesato rispettivamente 1.8 milioni e 70.000 euro. La legge n° 17 Festival Verdi, approvata il 3 febbraio 2017, garantisce un altro milione di euro. Infine, eventi quali il Regio Young, spettacolo dedicato al pubblico delle famiglie, e ParmaDanza hanno comportato un ricavo pari a 700 mila euro, mentre le entrate proprie si sono fermate a 650 mila euro.

CON LA CULTURA NON SI MANGIA?- La Fondazione Teatro Regio è solo uno dei vari esempi di realtà che faticano a conciliare la salvaguardia economica con il diritto alla dignità contrattuale dei lavoratori. Emblematico è stato lo scorso anno il caso delle 9 operatrici museali della Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo il cui contratto non è stato rinnovato dopo la loro richiesta di una maggiore retribuzione, essendo inquadrate con contratto nazionale multiservizio a poco più di 5 euro all’ora, nonostante la loro professionalità certificata da lauree e dottorati. Le operatrici della cultura sono state solo successivamente risarcite dopo l’intervento del Tribunale di Parma. O ancora si pensi all’attuale stato di incertezza sulla continuità delle programmazioni di eventi al Teatro delle Briciole della Fondazione Solares, per cui la Direttrice Anna Maria Meo ha espresso “parole di solidarietà assoluta verso quelle realtà che hanno contribuito alla crescita culturale della comunità e che non si può nemmeno immaginare possano esaurire così la loro funzione”. Il Teatro delle Briciole rischia infatti di non portare la sua rassegna per Parma 2020 dopo che le ex direttrici del progetto erano state nei mesi scorsi ‘silurate’ dal loro incarico. Manovra che ha portato subito l’intervento del Comune di Parma dopo le scottanti dichiarazioni delle coinvolte ai media locali. Dopo poche ore di trattativa infatti il Cda di Solares Fondazione ha fatto dietro front ed è attualmente in trattativa con le responsabili della rassegna del Teatro delle Briciole. 

Tornando al Festival Verdi, sulle problematiche sollevate dai mimi interviene anche Davide Fellini, segretario generale della SLC CGIL, che spiega: “Questa categoria è oggi coinvolta in cause legali che impediscono il rilascio di dichiarazioni”. Una battaglia giuridica che potrebbe non dare i risultati sperati dai lavoratori considerato che, stando ai bandi pubblicati, il Teatro non avrebbe azioni da giustificare se non quelle che prenderà in futuro. Tutto si è evoluto secondo quanto pattuito e nel rispetto della legge anche se l’augurio è che per Parma 2020 gli operatori della cultura vengano riconosciuti e valorizzati come ci si aspetterebbe dalla capitale della cultura italiana.

di Anna Zappulla e Francesco Scomazzon

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