Dall’omertà alla giustizia. Cucchi, 10 anni dopo

"A MIO FRATELLO AVEVAMO FATTO UNA PROMESSA. OGGI L'ABBIAMO MANTENUTA" DICHIARA ILARIA CUCCHI. COSA CI INSEGNA QUESTA TRISTE STORIA?

Vignetta di Mauro Biani, pagina Facebook di Ilaria Cucchi

“A mio fratello avevamo fatto una promessa. Oggi l’abbiamo mantenuta”. Queste le parole di Ilaria Cucchi che, insieme ai suoi genitori Rita e Giovanni, ha combattuto per 10 lunghissimi anni affinchè potesse esser fatta giustizia per il fratello Stefano. Il 14 novembre 2019 arriva la sentenza: omicidio preterintenzionale. La Corte d’Assise di Roma condanna a 12 anni i carabinieri Alessio di Bernardo e Raffaele d’Alessandro, colpevoli dell’omicidio del geometra romano.

Dopo anni di sofferenza, è finalmente arrivata la sentenza che ha riportato giustizia a questa tragica vicenda. Ma la famiglia Cucchi può davvero sentirsi soddisfatta? Tra forze dell’ordine, medici e infermieri coinvolti in una storia che si è dipinta di violenza e disumanità, solo due persone sono state condannate. Si può parlare perciò di giustizia, ma probabilmente sarebbe più corretto definirla come una giustizia parziale. Il lungo percorso giudiziario intrapreso sembra inoltre non finire qui, data la volontà di d’Alessandro e di Bernardo di ricorrere in appello per una sentenza considerata troppo severa. Sarà interessante seguire la sua evoluzione e capire soprattutto se gli unici due condannati sconteranno effettivamente la loro pena.

dalla pagina Facebook di Ilaria Cucchi.

IL CASO DI STEFANO CUCCHI-  Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi viene fermato e portato in caserma. Dopo esser stato perquisito e trovato in possesso di alcune sostanze stupefacenti e un farmaco per curare l’epilessia – di cui il 31enne era affetto – viene disposta la custodia cautelare. All’udienza per la convalida del fermo, tenutasi il giorno successivo all’arresto, il ragazzo presenta ematomi sul volto e difficoltà a camminare e a parlare. Eppure Cucchi, prima della cattura, si mostrava in ottimo stato fisico e privo di traumi.

É evidente che quei segni non sono causati da una semplice ‘caduta dalle scale’, come dichiara Stefano, ma da un pestaggio. Ma chi è il responsabile? Stefano è rimasto in carcere tutto il tempo e vi è entrato in perfetta forma fisica: come avrebbe potuto ridursi così? Il giudice nell’udienza stabilisce comunque la custodia cautelare dell’imputato presso il carcere di Regina Coeli.

Le condizioni fisiche del ragazzo però si aggravano in pochissimo tempo. Stefano Cucchi muore il 22 ottobre 2009, a sei giorni dall’arresto. Stefano, su quel tavolo dell’obitorio, sembra esser in un corpo che non gli appartiene: livido, smagrito e con lesioni gravi. Così gravi che lo spinsero persino a privarsi di cibo e acqua per il troppo dolore provato. Al momento del decesso il geometra romano pesa solo 37 chili.

LA SENTENZA ARRIVA DOPO 10 ANNI-  Alla vista del corpo in obitorio, la famiglia di Cucchi e, in particolare la sorella Ilaria, decide di intraprendere una lunghissima battaglia legale per far emergere la verità sulla morte di Stefano e per rivendicare la sua dignità. Le cause del decesso erano evidenti fin dall’inizio e confermate anche dalle foto scattate dai familiari in obitorio – poi rese pubbliche. Per arrivare alla verità sul caso del giovane, però, c’è voluto un iter giudiziario durato ben 10 anni. 

Lo scorso 14 novembre 2019 viene emessa la sentenza che riconosce i carabinieri Alessio di Bernardo e Raffaele d’Alessandro colpevoli di omicidio preterintenzionale, condannati in primo grado a 12 anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. L’imputato-accusatore Francesco Tedesco, il carabiniere che con le sue dichiarazioni dopo anni aveva fatto luce sul pestaggio subito da Stefano, viene assolto dall’accusa di omicidio e condannato a 2 anni e 6 mesi per falso. Lo stesso reato di cui è accusato Roberto Mandolini, comandante internale della stazione dei carabinieri Appia (condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione). I due, insieme al carabiniere Vincenzo Nicolardi, vengono però assolti dall’accusa di calunnia. Arriva la sentenza anche per i medici che si occuparono – oppure no- del giovane in ospedale: 4 sono dichiarati prescritti e uno innocente, così come risultano innocenti alcuni agenti della polizia penitenziaria.

“Ora Stefano può riposare in pace”, queste sono le prime parole pronunciate da Ilaria Cucchi dopo la sentenza. Una donna che con determinazione e tenacia ha continuato a lottare pur di render giustizia a suo fratello. L’abuso di potere da parte dei carabinieri che causarono la morte del giovane romano pare esser stato finalmente punito e la famiglia Cucchi può sentirsi rincuorata nell’aver mantenuto la parola data al proprio figlio e fratello. Resta comunque una ferita profonda rimarginata per un breve e intenso istante da una sentenza per nulla scontata. Una sentenza che, in storie simili a quella di Stefano, non è mai arrivata. Ilaria aveva promesso al fratello che non sarebbe finita così su quel tavolo dell’obitorio: oggi quella promessa è stata mantenuta.

I COMMENTI SULLA SENTENZA – Dopo la pronuncia della sentenza non sono mancati i commenti che, in realtà, da sempre hanno accompagnato il duro percorso intrapreso dalla famiglia Cucchi. Ilaria da 10 anni è il bersaglio facile dei ‘leoni da tastiera’ che senza pietà si scagliano contro la dura lotta per la giustizia intrapresa da queste vittime. Vittime che ai loro occhi sono sempre apparse invece come colpevoli: “Se la sono cercata”. Ma è davvero così? Stefano aveva sbagliato, era in possesso di sostanze stupefacenti. Ma questo giustifica il pestaggio? Un uomo in divisa può avere il diritto di togliere la vita a un altro uomo? No, non si può portare avanti una simile affermazione. Nessuno cerca la propria morte. Nessuno merita di morire così.

Matteo Salvini commenta la sentenza con: “La droga fa male”. Vero, ma del tutto fuori contesto. In una situazione simile le frasi moraliste sono inutili e il perbenismo lascia il tempo che trova. Salvini avrebbe potuto mostrare maggiore umanità e dare il proprio appoggio ad una famiglia a cui è stato strappato via il proprio figlio. Le vere problematiche sollevate da questo processo sono ben altre: l’abuso di potere e la necessità di difendere la dignità e i diritti umani. Chi sbaglia paga e questo si sa, ma un detenuto ha meno diritti di una persona libera? Un uomo con problemi di tossicodipendenza ne ha ancora meno di un detenuto qualunque? La legge è uguale per tutti si legge nei tribunali, ma a volte le distinzioni sono talmente evidenti che è impossibile chiudere gli occhi e far finta di nulla. Sarebbe bastato un semplice processo, una sentenza, una maggiore dose si umanità. Forse oggi Stefano sarebbe ancora vivo.

Non tarda ad arrivare l’indignazione di Ilaria che querela il politico e afferma “Ora basta. Questo signore deve smetterla di fare spettacolo sulla nostra pelle”.

 

Anche l’ex senatore Carlo Giovanardi, che già si era espresso sul caso Cucchi, torna a commentare l’accaduto a distanza di anni continuando a sostenere la sua difesa nei confronti degli agenti e considerando i medici responsabili della morte di Stefano.

La sentenza dello scorso 14 novembre è la dimostrazione del crollo di un muro di omertà costruito intorno alla vicenda, di qualcosa che va ben oltre le fazioni politiche e le loro prese di posizione. È la dimostrazione di come la maggioranza della gente comune creda nella giustizia: quella vera e non quella fatta di depistaggi e omissioni utili a difendere l’immagine di uomini teoricamente incaricati di mantenere l’ordine del proprio Stato.

post sulla pagina Facebook di Ilaria Cucchi

IL BACIAMANO DEL CARABINIERE – Una foto in particolare ha fatto il giro del web e dei giornali dopo la sentenza. Il carabiniere che bacia la mano a Ilaria smuove commozione e gratitudine. Questa foto è la dimostrazione di un Paese che vuole imparare dai propri errori e ha il coraggio di riconoscerli. Al termine della sentenza, il maresciallo maggiore dell’Arma ha baciato la mano di Ilaria, un gesto del tutto spontaneo e non una forma di esibizionismo. Il militare infatti, lavorando da anni nelle aule di tribunale dove si è svolto il processo Cucchi, ha assistito in prima persona alle udienze e si è unito al dolore provato dalla famiglia di Stefano. Sorpreso dal clamore suscitato dal suo gesto, il maresciallo commosso ha voluto precisare “Mi sento in colpa per l’Arma ed è stata una forma di scusa. Quei carabinieri condannati hanno infangato duecento anni di storia.”

Un gesto che fa ben sperare. A distanza di anni, la giustizia ha fatto il suo corso ed è stata restituita non solo alle vittime di questa vicenda, ma anche alle forze dell’ordine che da sempre si battono per il bene e la difesa dei propri cittadini. Non si tratta di una semplice sentenza ma di una forma di riscatto per Stefano e la sua famiglia in primis, ma anche per i i militari non coinvolti direttamente, ingiustamente etichettati con valori non corrispondenti alla realtà. Questo caso dimostra che è possibile avere un finale diverso per queste vittime. Un finale in cui non vince l’omertà istituzionale ma dove si riconoscono con onore gli errori commessi.

I carabinieri condannati sono venuti meno ai loro compiti ufficiali e pagheranno per i loro errori. Ma non bisogna cadere nell’errore di generalizzare e render colpevoli determinati uomini solo perché ricoperti dello stesso ruolo degli accusati di questa vicenda. Neanche Ilaria lo ha fatto: “Questo per me è un carabiniere vero”. Sono criminali i carabinieri condannati, non tutti coloro che indossano la divisa.

 

di Annarita Paglia 

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