Natura Dèi Teatri: Lenz reinterpreta l’Orestea di Eschilo con la Performing Art

VENDETTA, FAMIGLIA, OMICIDIO E DESIDERIO DI RIVALSA IN SCENA A LENZ FONDAZIONE. L'ORESTEA DI ESCHILO RILETTA IN CHIAVE CONTEMPORANEA

Si è tenuta a Parma, dal 31 ottobre al 30 novembre 2019, la 24° edizione di  ‘Natura Dèi Teatri‘, lo storico Festival Internazionale di Performing Arts curato da Lenz Fondazione. Nel ricco programma anche un progetto scenico triennale basato sull’Orestea di Eschilo e composto da tre creazioni dirette da Maria Federica Maestri e Francesco Pittito, ognuna della durata di un’ora circa: #1 Nidi, tratto dall’Agamennone, #2 Latte, tratto da Le Coefore e #3 Pupilla, tratto da Le Eumenidi, quest’ultimo previsto per il 2020. Una rilettura contemporanea e quasi onirica dell’opera classica in cui colpa, violenza, desiderio di vendetta ed espiazione si fondono per dare origine ad una rappresentazione tanto essenziale dal punto di vista dello spazio scenico, quanto basata sull’eccesso nel restituire la dimensione psichica dei suoi protagonisti. Un cast interamente femminile costituito da attrici storiche e sensibili dell’ensemble di Lenz, le cui intense performance attoriali vengono accompagnate dalle musiche del video-artista tedesco Lillevan, tra i più significativi rappresentanti della scena musicale elettronica internazionale. Ad arricchire la riflessione sull’opera del tragediografo greco nel corso del Festival, anche la performance/installazione ‘Orestea. Dystopian‘, ideata, diretta e interpretata dall’artista croato Boris Kadin.

L’ORESTEA DI ESCHILO  – Con il ciclo tragico originale, accompagnato dal dramma satiresco Proteo, oggi perduto, Eschilo vinse le Grandi Dionisie del 458 a.C., consegnando di fatto alla storia l’unica trilogia del teatro antico giunta completa fino ai giorni nostri. Una storia famigliare in tre atti, racchiusa all’interno di una crudele macchina drammaturgica come quella della tragedia, in cui la sorte dei personaggi è già scritta in partenza e destinata a compiersi senza alcuna possibile via d’uscita: un meccanismo crudele fatto di tracotanza, violenza e vendette che generano a loro volta nuove colpe da espiare, in un circolo vizioso in cui meccaniche irriducibili e distruttive prendono il sopravvento.

Ecco allora che nell’Agamennone l’omonimo protagonista viene ucciso, assieme alla sua schiava-amante Cassandra, dalla moglie Clitennestra, desiderosa di vendetta per l’omicidio della figlia Ifigenia, offerta dal padre come vittima sacrificale in onore alla Dea Artemide. Ne Le Coefore invece, opera che prende il titolo dalle portatrici di libagioni per i defunti, sarà Clitennestra ad essere uccisa dal figlio Oreste, ormai adulto e accecato, assieme alla sorella Elettra, dal desiderio di vendicare l’uccisione del padre. Macchiatosi di matricidio, uno tra i crimini più gravi secondo la cultura greca antica, il giovane uomo sarà perseguitato a sua volta ne Le Eumenidi dalle Erinni, le divinità della vendetta, per poi essere assolto dall’Areopago (il tribunale dell’antica Atene), grazie al voto della Dea Atena in persona: il ciclo viene così chiuso e la travagliata storia famigliare ottiene un epilogo, secondo un’idea di giustizia divina che interviene per porre fine all’irrazionale catena di vendette e omicidi.

#1 NIDI – Primo quadro dedicato all’Orestea di Eschilo ed ispirato alla tragedia Agamennone. Come è possibile leggere nelle scheda introduttiva del progetto: “L’installazione dell’opera tragica prevede la costruzione di piedistalli-nidi in cui i personaggi femminili della tragedia – Clitennestra e Cassandra – depongono e covano le proprie uova. La distruzione del nido innesca il conflitto tragico tra le forze, atto irreparabile che ne sentenzia la doppia morte”. Imprigionati all’interno di una costrittiva stanza in cemento, le cui imponenti pareti si aprono e chiudono solo per scandire l’entrata e l’uscita delle protagoniste dall’ambiente scenico, i personaggi si alternano nello spazio, ora coperti da scuri mantelli, ora svestiti, ora intenti a disegnare compulsivamente sulle pareti e persino sul pavimento, arrivando a sporcarsi con l’inchiostro nero, forse presagio del destino oscuro, ma già tracciato, che prenderà forma di lì a poco.

Agamennone e Clitennestra, moglie e marito, sono magistralmente interpretati da Sandra Soncini, attrice storica di Lenz, in grado di mettere in luce tanto le debolezze quanto la violenza distruttiva di due personaggi che rappresentano in fondo due lati di una stessa medaglia: entrambi vittime e carnefici, entrambi promotori di quella furia irrazionale e portatrice di morte che farà da motore d’azione di tutte le vicende della trilogia. Accanto ad essi, Cassandra, interpretata da una sorprendente Carlotta Spaggiari, attrice sensibile con sindrome dello spettro autistico, e Ifigenia nel ruolo di Coro, interpretata da Valentina Barbarini.

Nidi che richiamano una dimensione domestica e familiare, la stessa all’interno della quale si svolgeranno gli orrori della tragedia; nidi che diventano metafora della condizione psichica brutale e animalesca dei protagonisti, accecati da un primordiale e rabbioso sentimento di vendetta. L’elemento animalesco torna in effetti più volte nel corso della performance. Cassandra cammina a quattro zampe, guaisce in modo cagnesco, diventa persino uccello, mentre Clitennestra si abbandona, in quella che è forse una delle sequenze più intense dell’intera rappresentazione, ad una danza spasmodica e violentemente evocativa sulle note de ‘La morte del cigno‘ di Čajkovskij. Avendo compiuto la sua vendetta nei confronti del marito, Clitennestra consegue finalmente il suo obbiettivo, lo stesso che la porterà però alla morte nel quadro successivo.

#2 LATTE – Secondo quadro dedicato all’Orestea di Eschilo ed ispirato alla tragedia Le Coefore. Come è possibile leggere nella scheda introduttiva del progetto: “Ritornato nella Casa dei Genitori dopo l’allontanamento voluto dalla Madre – vissuta un’infanzia orfana, umiliata e derisa – Oreste viene convinto dalla Sorella Elettra ad istituire, in rivolta contro il potere materno, un collettivo infantile antiautoritario, intollerante , antagonista”. L’episodio inizia subito dopo la fine del primo, mantenendo pressochè inalterato lo spazio scenografico precedente, eccetto per i pochi oggetti di scena che verranno poi inseriti durante lo sviluppo della narrazione.

Oreste, qui interpretato da una splendida Barbara Voghera, anch’essa attrice sensibile storica di Lenz con sindrome di Down, si affaccia ripetutamente da una delle pareti, per poi decidersi ad entrare in scena, segnando così il suo ritorno tra le mura domestiche. Ad accoglierlo, la sorella Elettra, interpretata da Lara Bonvini, complice morale del matricidio che verrà consumato, mentre Sandra Soncini  e Valentina Barbarini riprendono rispettivamente il ruolo di Clitennestra e di Ifigenia/Coro, configurandosi così come elementi di ulteriore continuità rispetto al quadro precedente.

Elemento determinante all’interno di questo secondo episodio, tanto da costituirne il titolo, è quello del latte. Nella tragedia originale Clitennestra mostra il seno al figlio Oreste nel tentativo di rievocare in lui i ricordi di infanzia legati all’allattamento e alle cure materne, così da spingerlo a pietà e frenare la furia matricida. Sempre nell’opera originale tuttavia, il latte assume anche una connotazione più inquietante: durante un incubo notturno infatti, la protagonista femminile sogna di partorire un serpente. L’animale cercherà poi nutrimento dal seno della donna, finendo però per ingurgitare, oltre al latte, anche un grumo di sangue, forse prefigurazione della follia omicidia che Oreste, il serpente appunto, erediterà dalla madre.

Nella rilettura di Pittito e Maestri, troviamo una Clitennestra intenta ad alimentare forzatamente ed artificialmente i figli con un latte sintetico, simbolo dell’oppressione materna e del tentavivo estremo di controllo ed assoggettamento di una madre padrona e castratrice nei confronti dei figli. Si tratta dello stesso latte che di lì a poco diventerà nero, inondando la tavola alla quale siedono i protagonisti. Un nutrimento d’odio e di rancore che sfocerà nella più efferata violenza. Con l’uccisione della madre infatti, Oreste diventerà finalmente e metaforicamente un uomo, liberandosi dal controllo oppressivo di una genitrice folle e segnando un punto di stacco da un’infanzia fatta di dolore ed umiliazione, la stessa infanzia che lo ha spinto però alla vendetta, e che continuerà a perseguitarlo probabilmente per sempre. Il quadro si conclude infatti con il giovane uomo che, dopo il matricidio, si rifugia, inseguito dalle Erinni, in una culla buia, più simile ad una prigione che ad un letto per bambini. Si apre così la strada per il terzo quadro, #3 Pupilla, che verrà presentato nel 2020.

ORESTEA. DYSTOPIAN – A concludere la riflessione sull’opera di Eschilo, almeno per quest’anno, è però la performance/installazione ‘Orestea Dystopian‘, ideata, diretta e interpretata dall’artista croato Boris Kadin. Mentre il pubblico prende posto in sala, l’artista recita al microfono i criptici versi di una poesia scritta a macchina e proiettata su un grosso schermo posto sul fondo della sala, all’estremità opposta rispetto alla posizione del pubblico. Elemento chiave e pattern ripetuto all’interno del bizzarro componimento è proprio la parola ‘dystopian‘, che diventa un vero e proprio personaggio in grado di compiere azioni, di cui Kadin sembra essere la personificazione.

La distopia come rappresentazione e descrizione di un futuro sociale, politico e tecnologico oscuro, persino inquietante sotto certi punti di vista. La performance infatti, come viene chiarito nella scheda di presentazione, è “basata sull’idea di un DNA invincibile, fonte di ripetizione eterna: condizioni che non possono essere risolte nemmeno dagli Dei di Eschilo, soprattutto oggi, quando siamo tutti connessi e la tecnologia (mobile) è diventata parte del nostro essere, di chi (non) siamo”. Il tutto all’interno di un’azione scenica basata sull’utilizzo di campioni visivi e su una musica mixata e talvolta interpetata sul momento dallo stesso artista.

Temi sociali forti, che riprendono da Eschilo il tema dell’omicidio del genitore, declinandolo in una concezione post-moderna: “É più nobile uccidere un genitore o osservare passivamente la scomparsa del corpo e della mente in un istituto che si prende cura degli anziani?”, si chiede Kadin/Dystopian rievocando situazioni difficili legate alla sua storia intima. Una performance che certamente stimola la riflessione e che riesce a mantenere ben salda l’attenzione e la curiosità del pubblico, sfruttando in maniera molto intelligente le potenziali difficoltà legate alla barriera linguistica tra artista e spettatori: Kadin parla poco in italiano e molto in inglese, affidando la traduzione delle sue parole ad un’attrice fuoricampo, che ripete in maniera quasi meccanica e priva di coinvolgimento quello che il performer racconta invece con coinvolgimento personale. L’effetto è quello di uno straniamento, forse impercettibile ma ugualmente presente, in grado di rievocare ancora una volta il tema del digitale e della tecnologia come parte integrante del nostro essere.

di Gabriele Sani

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