Metti una donna al potere: Sanna Marin vs. la politica italiana

PERCHE' LA NOMINA DI SANNA MARIN HA FATTO NOTIZIA IN TUTTO IL MONDO? LE DONNE IN POLITICA CI SONO MA IL PANORAMA MONDIALE E' TRISTE, SONO SOLO IL 20%. E IN ITALIA?

Sanna_Marin_Governo_Finlandese

Sanna Marin ce l’ha fatta. 34 anni, donna, intraprendente, figlia di due madri (come riportato da tutti i giornali). Persino attiva su Instagram, tra foto istituzionali e allattamento. La più giovane Primo Ministro del mondo. Una donna. Oltretutto, alla guida di una coalizione di cinque partiti, tutti guidati da donne: le 32enni Li Anderson (Alleanza di sinistra) e Katri Kulmuni (Partito di centro), la 34enne Maria Ohisalo (Verdi) e la 55enne Anna-Maja Henriksson (alla guida del Partito popolare svedese).

Reazioni di giubilo, per una cosa che dovrebbe essere normale: una donna al potere. Come se non sembrasse possibile, nel secolo delle Pari Opportunità e del #MeToo, immaginare un Paese governato da una fanciulla. Per questo motivo, i leoni da tastiera italiani hanno già iniziato a twittare la differenza tra Paesi – in particolare, tra la civile Finlandia e “l’incivile” Italia.

Ma in effetti, quale è la situazione italiana? Sarà mai così impossibile un governo tricolore al femminile? E nel resto del mondo, cosa cambia?

LE STORICHE ‘PRIME POLITICHE’ – In un Paese nel quale non è scontato che una donna venga eletta, il Parlamento ha tentato varie manovre per aumentare l’incidenza femminile in politica. Ma prima di allora, vi sono state illustri pioniere, che meritano di essere ricordate: Angela Guidi Cingolani, prima donna sottosegretaria (all’Industria e commercio per la DC) nel 1951; Lina Merlin, prima senatrice italiana e promotrice della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (‘Legge Merlin’ appunto, che abolì la prostituzione legalizzata); Tina Anselmi, prima ministra (del Lavoro, per la DC) nel 1976; sempre nel 1976 Adelaide Aglietta, la prima donna segretario di partito (Radicale in questo caso); Nilde Iotti, prima presidente della Camera dei deputati, dal 1979 al fino al 1992; Emma Bonino, prima donna italiana alla Commissione europea (con le deleghe per gli aiuti umanitari e la tutela dei consumatori) nel 1995. Ultime nella lista delle ‘prime’, Virginia Raggi, la prima sindaca della Capitale nel 2016, e Maria Elisabetta Alberti Casellati, prima donna presidente del Senato nel 2018.

LE QUOTE ROSA IN ITALIA – Una lista decisamente corta, considerando anche la densità femminile in Parlamento. E non esattamente in continuo aggiornamento. Perciò, per svincolarsi dal problema, il Parlamento ha provato a promulgare normative a tutela delle cosiddette quote rosa e della parità di genere.

In particolare, la legge di riforma costituzionale n.1 del 2003 ha modificato l’articolo 51 della Costituzione, introducendo l’obbligo di promozione delle pari opportunità: alla fine del primo comma dell’articolo è stata aggiunta la frase “a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Inoltre, la legge del 3 novembre 2017, n. 165 ha modificato il sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica:

“Comma 3.1. Nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all’unità più prossima. Nel complesso delle liste nei collegi plurinominali presentate da ciascuna lista a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all’unità più prossima […]”.

Secondo il Dossier de “Il potere delle donne in politica. Riunione interparlamentare organizzata dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere (FEMM) del Parlamento Europeo” del 7 marzo 2019, l’inversione di tendenza negativa è iniziata nel 2013, quando le donne in Parlamento sono arrivate a rappresentare il 30% dei parlamentari complessivi (nella XVII legislatura). Nel 2018, a seguito della legge 165, le rappresentanti femminili sono salite al 35%, con ben 334 rappresentanti femminili tra Camera e Senato.

LA SALA DELLE DONNE – Nel 2016, per volere dell’allora ministra della Camera dei Deputati Laura Boldrini, è stata inaugurata la Sala delle Donne a Montecitorio, nello spazio adiacente al salone della Regina, come tributo alle donne che hanno fatto la Repubblica Italiana, qui sopra nominate. Ma non solo. Vengono ritratte anche le 21 donne nell’assemblea costituente; le prime dieci sindache elette nel corso delle elezioni amministrative del ’46; la prima Presidente di Regione, Anna Nenna D’Antonio. Su una quarta parete sono stati invece situati tre specchi, ad indicare le due (allora erano tre) cariche ancora mai ricoperte da una donna nel Paese: Presidente della Repubblica, e Presidente del Consiglio dei ministri (e Presidente del Senato, nel 2016); sotto troneggia la scritta “potresti essere tu la prima“, rivolta alle donne che si specchiano in essi.

IL GOVERNO ITALIANO – Nel cosiddetto Governo ‘Conte Bis’ non manca la rappresentanza femminile, ma siamo lontani dal 50%. Ben sette su 21 sono le nuove ministre, un terzo del totale: Luciana Lamorgese (ministra dell’Interno, tecnico), Teresa Bellanova (ministra dell’Agricoltura, PD), Paola De Micheli (ministra delle Infrastrutture, PD), Nunzia Catalfo (ministra del Lavoro, M5S), Paola Pisano (ministra dell’Innovazione Tecnologica, M5S), Fabiana Dadone (ministra della Pubblica Amministrazione, M5S) e Elena Bonetti (ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità, PD).

Non esattamente il risultato di Marin, ma già un buon risultato. Non ottimale, se si pensa ad un governo di rappresentanza della Nazione: secondo i dati Istat, infatti, le donne sarebbero il 51% della popolazione italiana, non il 30%.

L’ITALIA E L’UE – Tale risultato ha portato tuttavia l’Italia ad essere oltre la media del Paesi dell’Unione Europea: infatti, secondo l’EIGE (l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere), la percentuale tra i Paesi membri sarebbe attorno al 29,9%.

Anche in Commissione europea la situazione delle donne italiane elette non è molto differente: nelle elezioni europee del 2014 è stata introdotta e applicata la legge 22 aprile 2014, n. 65, che ha introdotto la ‘tripla preferenza di genere‘: ovvero, nel caso si decida di esprimere tre preferenze, due di queste devono essere rivolte verso candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della terza preferenza. Anche grazie a questo, come nel caso della legge n. 165, il numero delle donne italiane elette al PE è quasi raddoppiato, passando da 16 a 29 su 73 seggi spettanti all’Italia, pari al 39,7% (sopra la media delle donne al Parlamento europeo del 37%).

I GOVERNI EUROPEI – Quello finlandese, sopra citato, è ad oggi uno dei governi con più ministre in Europa: 11 donne a fronte di 7 uomini. Ad oggi, solo altri tre esecutivi hanno più rappresentanti femminili che maschili: quello svedese, capitanato da Stefan Löfven, con 12 donne e 10 uomini; quello francese di Édouard Philippe, con 9 donne e 7 uomini, e quello spagnolo di Pedro Sánchez – attualmente con 9 donne e 8 uomini, ma ancora in fase di sviluppo a seguito delle nuove elezioni di novembre. Il risultato italiano si situa dunque al 13° posto, a parimerito con il governo inglese di Boris Johnson (fino alle elezioni di qualche giorno fa).

Il 15 gennaio 2019 il Parlamento europeo ha inoltre adottato una risoluzione sull’integrazione della dimensione di genere nel Parlamento, valida per tutti, nella quale “ribadisce il suo forte impegno a favore dell’uguaglianza di genere sia nel contenuto delle politiche, delle iniziative e dei programmi dell’UE sia a tutti i livelli politici, di bilancio, amministrativi ed esecutivi dell’Unione“.

I GOVERNI MONDIALI – Uno studio di Un Women (l’Agenzia delle Nazioni unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile) evidenzia invece il trend mondiale: solo il 24,3% di tutte le parlamentari nazionali nel mondo erano donne al 1° febbraio 2019 (rispetto all’11,3 per cento del 1995), e, a gennaio dello stesso anno, erano donne solo il 20,7% dei capi di governo. L’Europa e l’Italia non si piazzano dunque tra gli ultimi posti.

DIETRO AI NUMERI – Quelli elencati finora sono, appunto, solo numeri. Ma sono anche espressione del perché la nomina di Sanna Marin abbia fatto tanto scalpore: non solo perché va ad aggiungersi ai nomi di Angela Merkel in Germania, Katrín Jakobsdóttir in Islanda, Brigitte Bierlein in Austria, Mette Frederiksen in Danimarca, Erna Solberg in Norvegia e Sophie Wilmès in Belgio, né per la sua giovane età.

Ha fatto tanto successo il suo essere donna tra le donne, e la totale normalità con la quale questa notizia è stata accolta dalla stessa Marin e dalla sua Nazione. La riflessione finale può dunque solo augurare all’Europa, per non dire al mondo intero, di rispettare la parità primigenia tra uomo e donna anche nell’ambito della rappresentanza – cosiddetta – democratica. Perché se la democrazia intende essere volto del popolo, deve comporsi fin dal principio di ogni componente di questo volto.

E con ciò non si vuole enfatizzare una qualche supremazia femminile, come i malpensanti affermano. Tutt’altro: in un’epoca nella quale servono leggi a favore delle ‘quote rosa’ per convincere la popolazione del fatto che una donna possa governare il Paese esattamente come un uomo, la riflessione si deve concentrare sul preconcetto vigente nelle menti dei cittadini italiani, europei, mondiali, ancora evidentemente legati ad un’idea di donna dietro al bancone della cucina.

Siamo donne, oltre al cervello c’è (molto) di più.

di Silvia Vazzana

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