Parma 2020, la mostra “Time Machine” per vedere e sperimentare il tempo

PARMA CAPITALE DELLA CULTURA 2020 PORTA IN UNA MOSTRA ORIGINALE LA PERCEZIONE DEL TEMPO NELLA CINEMATOGRAFIA A PALAZZO GOVERNATORE

Parma capitale italiana della cultura 2020: la cultura batte il tempo. Questo lo slogan che accompagnerà la città per tutto l’anno e che ha ispirato la mostra inaugurale di Parma2020 Time Machine, vedere e sperimentale il tempo. L’esposizione, nata da un’idea dell’assessore alla cultura Michele Guerra, è stata realizzata dalla collaborazione di Antonio Somaini – professore di Teoria del cinema, dei media e della cultura visuale alla Sorbona – con Marie RebecchiÉline Grignard. Palazzo del Governatore è la sede scelta per ospitare questa grande iniziativa che verrà ufficialmente inaugurato domenica 12 gennaio alle ore 18.30, mentre sarà accessibile al pubblico a partire da lunedì 13 fino al 03 maggio 2020.

Da sinistra: Éline Gringnard, Marie Rebecchi, Antonio Somaini e Michele Guerra

Time Machine si articola in un fluido percorso espositivo giocato tra fotografie, esposizioni, installazioni e video. Lo scopo è quello di far vedere – letteralmente – come i media fondati sull’immagine in movimento, e specialmente il cinema, abbiano nel corso degli anni fortemente influenzato il modo di immaginare e percepire il concetto stesso di tempo. Tramite la manipolazione delle immagini, possibile grazie ai sistemi di composizione visiva e alla creatività degli artisti, il cinema ha dimostrato quanto possa essere manipolabile e plastico lo scorrere del tempo. Tecniche di montaggio come il ralenti, il loop, la dissolvenza o il time-lapse (fotografie scattate a intervalli regolari e poi montate insieme per riprodurre la sensazione di un movimento molto più rapido rispetto a quello reale), immergono lo spettatore in una dimensione temporale che si discosta dalla verità: è proprio la storia di questo scenografico ‘inganno’ che la mostra vuole presentare.

Punto focale, nonché iniziale, del percorso è l’anno 1895. In questa data H.G. Welles pubblica The Time Machine: An Invention – primo testo in cui il movimento temporale è affidato a uno strumento tecnico – e il Cinématographe dei Fratelli Lumière viene presentato pubblicamente. Da questa coincidenza temporale prende avvio la mostra, con l’esposizione di uno dei primi Cinématographe Lumière (macchina da presa per brevi registrazioni e anche dispositivo di proiezione) accostato  a una copia della prima edizione del romanzo di Welles. Sullo sfondo, la proiezione in continuo montaggio di scene provenienti da cinque film – i due adattamenti 1960/2002 di Time Machine, Star Gate, Time after Time e Interstellar – che hanno mostrato l’esperienza del viaggio del tempo. In maniera volutamente anacronistica, dunque, l’idea primordiale del cinema come manipolazione viene accostata alla rappresentazione cinematografica vera e propria di questa esperienza.

SGUARDI AL PERCORSO TIME MACHINE L’esposizione si articola in quattro diverse aree: Flussi, Istanti, Rimontaggi e Oscillazioni, per concludere poi con le Installazioni. Nella sezione Flussi, sono contenute opere che illustrano il modo in cui il tempo si manifesta nei flussi naturali: è così che ci si trova immersi negli elementi di acqua e fumo grazie al cortometraggio muto H2O di Ralphe Steiner o alle fotografie della serie Fumées di Jules Marey. Particolare attenzione al mondo delle nuvole è invece presente nelle opere dell’astronomo giapponese Masanao Abe. Flussi ospita anche l’installazione di Jacques Perconte dal titolo Le Tempestaire (2020): rappresenta immagini di tempeste riprese in Normandia e “Destrutturate per esplorare nuove plasticità dell’immagine digitale – spiega il professor Somaini -. Ha realizzato un video generativo, ovvero alimentato da un software che fa sì che le immagini cambino in continuazione senza mai ripetersi”. Una straordinaria installazione con la potenzialità di durare in eterno e con forme sempre nuove.

Attraverso i flussi si giunge a Istanti, dove sono presentate tecniche cinematografiche fondate sul rilevare diversi momenti di tempo a distanza uno dall’altro e a unirli in altro modo attraverso differenti metodologie. È in questa sezione che si inserisce lo studio condotto sulla tecnica del time-lapse, che permette di riportare a una scala di valori umani fenomeni difficilmente percepibili dall’uomo nella loro interezza: il ciclo vitale di un fiore, una glaciazione, l’esplosione di una bomba.

DAL 1895 VERSO IL FUTURO – Il percorso espositivo giunge poi alla sua naturale conclusione con l’installazione dell’artista e ricercatore Gregory Chatonsky. Con quest’opera si entra nel mondo dell’intelligenza artificiale e della tecnologia delle “Reti neurali avversarie”, come le definisce Somaini. Chantosky lavora da anni sull’immaginario che le macchine e dispositivi possono sviluppare autonomamente. L’installazione è di per sé un ‘percorso’: tramite cinque schermi a terra che rappresentano le trasformazioni che le tecnologie stanno avendo sulla natura – impatto ambientale, inquinamento, deforestazione – si giunge alle immagini di una ‘Seconda Terra’ – come la definisce l’artista – in cui questi processi di mineralizzazione hanno condotto alla desertificazione di un pianeta senza più traccia umana. Dal lato opposto Chatonsky ha posto la sua idea di immaginazione artificiale: vengono proiettate immagini rielaborate dal machine learning che trasforma quelle che erano fotografie prodotte dall’uomo, in quello che l’autore definisce un “realismo senza realtà”, qualcosa che sembra riconoscibile e che invece non somiglia a niente. Elementi di cui tenere conto che completano l’installazione sono un corpo umano destrutturato e un letto dotato di cuffie: attraverso gli auricolari vengono trasmessi racconti di sogni custoditi in una banca dati e poi rielaborati dall’intelligenza artificiale che ha così dato vita ai ‘suoi’ sogni.

Dai Fratelli Lumière all’intelligenza artificiale, la strada che Time Machine fa percorre al suo pubblico è essa stessa pervasa dallo scorrere del tempo e ben lo esprime il suo curatore: “Questo dà alla nostra mostra una dimensione media-archeologica, vale a dire un tentativo di scoprire le radici del nostro presente e che conduce verso il nostro futuro prossimo in quanto la mostra non contiene solo un percorso storico […] ma contiene anche due installazioni che parlano degli anni che sono davanti a noi”.

di Bianca Trombelli

 

 

 

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