“Richard Jewell” di Clint Eastwood: quando un uomo diventa capro espiatorio

UN FILM CHE ESPLORA L'ANIMO DI UN EROE PER CASO. TRA DEPISTAGGI E FAKE NEWS UNA STORIA CHE FA RIFLETTERE

A dispetto di quanto si dice oggi, le bufale (o fake news) esistevano già da molto prima che nascessero i social. Spesso esse venivano e vengono tuttora diffuse anche dai media tradizionali, riuscendo in alcuni casi a mettere sotto accusa gli innocenti. Anche di questo parla il film Richard Jewell, diretto da Clint Eastwood e uscito nelle sale italiane lo scorso 16 gennaio.

La storia, accaduta realmente, si svolge ad Atlanta, durante le Olimpiadi del 1996: Richard Jewell (Paul Walter Hauser) è un 30enne che lavora come guardia della sicurezza al Centennial Park. Quando, durante un concerto, il 27 luglio, trova uno zaino contenente una bomba, riesce così ad allertare le autorità e a salvare numerose vite. Se nei primi giorni viene acclamato come un eroe, in seguito viene sospettato dai media e dall’FBI di essere il vero autore dell’attentato. Appoggiato solo da Watson Bryant (Sam Rockwell), un avvocato per cui lavorava anni prima, e dalla madre Bobi (Kathy Bates), cercherà di dimostrare la sua innocenza dovendo affrontare con pochi mezzi due nemici potenti: le autorità e la stampa.

Il personaggio di Jewell si fa notare sin dall’inizio per il suo comportamento particolare: egli non può fare a meno di annotarsi qualunque dettaglio su chi gli sta intorno, e ha un fortissimo senso della legge. Infatti, anche quando l’FBI cerca palesemente di incastrarlo, lui continua ad aiutarli convinto di fare il suo dovere di buon cittadino, mentre quando fa la guardia in un campus universitario la sua determinazione nel far rispettare le regole è talmente rigida da farlo licenziare dal rettore, che preferisce lasciare i ragazzi liberi di ubriacarsi e fare rumore piuttosto che irritarli. In questa parte, Eastwood cerca di sottolineare la sua opinione, espressa in diversi incontri e interviste, per cui i giovani d’oggi sarebbero troppo viziati.

A finire sotto accusa nel film sono anche i federali e la stampa, incarnati soprattutto dall’agente Tom Shaw (Jon Hamm) e dalla giornalista Kathy Scruggs (Olivia Wilde): il primo cerca in ogni modo di incastrare Jewell, sia per negligenza sia per ripulirsi la coscienza del fatto che non ha saputo prevenire l’attentato, avvenuto nella sua giurisdizione; la seconda è un’opportunista che pur di ottenere informazioni riservate si concede sessualmente a Shaw, e da il via alla persecuzione mediatica di Jewell con un articolo su un giornale locale, ripreso poi da tutti i media americani e non solo.

Clint Eastwood dimostra ancora una volta, alla soglia dei 90 anni, il suo grande talento nel raccontare storie che toccano nel profondo, e a dipingere un affresco sincero della società americana. Già con Sully, nel 2016, raccontava la storia di un pilota che salvò i suoi passeggeri da un incidente aereo salvo essere accusato ingiustamente dalla compagnia, Eastwood dimostra di avere a cuore quegli uomini che non scelgono di essere eroi, ma lo diventano quando la situazione lo richiede. E nel caso di Jewell il suo nemico non è una compagnia privata, ma il governo degli Stati Uniti, nei cui valori tuttavia non smise mai di credere, tanto che prima di morire nel 2007, a soli 44 anni, riuscì comunque a diventare un poliziotto.

L’unica pecca del film, se così si può dire, è nel modo in cui si dipinge la giornalista Kathy Scruggs, morta di overdose nel 2001, che ha suscitato numerose proteste da parte del giornale per cui lavorava, in quanto avrebbe fatto ciò che i media hanno fatto a Jewell: accusarlo senza prove sufficienti.

Nel complesso il film merita senz’altro di essere visto, poiché sebbene sia una storia molto difficile da digerire non potrà non lasciare un segno nell’animo dello spettatore.

di Nathan Greppi

 

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