Il capolinea della prescrizione: la fine di un’era di favoritismi?

INSIEME PER FORZA D'ACCORDO MAI: IL NODO PRESCRIZIONE LASCIA PERPLESSE LE FRANGE DEL GOVERNO, PER NON PARLARE DELL'OPINIONE PUBBLICA

Nelle ultime settimane il tema della prescrizione è tornato in Parlamento. Un tema delicato con aspetti molto controversi. Una scappatoia talvolta necessaria in un Paese in cui non si riescono a diminuire i tempi della macchina giuridica. Se la presunzione di innocenza ha effetto fino alla condanna definitiva, quanto ha senso tenere una persona ‘innocente’ in aula per anni e anni? Contrariamente, un soggetto colpevole attraverso questo sistema, può farla franca?

Prima di addentrarci nel controverso dibattito facciamo un po’ di chiarezza. In Italia la prescrizione interviene quando, dal momento in cui si verifica l’atto di reato, trascorre un numero di anni pari alla pena massima possibile per quello specifico reato. Detto questo, effettivamente, l’illecito può arrivare alla prescrizione ed essere estinto senza che il soggetto debba risponderne. Nel nostro Paese ogni tipo di reato può cadere in prescrizione, al di fuori di quelli che prevedono l’ergastolo, nella fattispecie gli omicidi. Questo istituto esiste in quasi tutti i Paesi che fanno fede al diritto romano e può essere riassunto come una ‘macchina di oblio’ all’interno della società, un meccanismo, quindi, che getta nel dimenticatoio lunghi e dispendiosi processi in modo da recuperare risorse.

La prescrizione non è una pratica nostrana, ma presente anche in molti altri Paesi europei. In Germania, Francia e Spagna – ad esempio – la prescrizione ha carattere molto più severo e ha validità esclusivamente nel momento in cui i magistrati non mostrano interesse nel continuare il processo – e si sceglie quindi di abbandonare la causa. In Italia invece è una pratica così complessa e piena di contraddizioni che anche il GRECO (Gruppo Stati contro la corruzione del consiglio d’Europa) ha denunciato la fallibilità del sistema di prescrizione italiano: i reati sono tanti e le risorse troppo poche. I magistrati italiani e le singole procure hanno piena libertà di scegliere quali processi portare avanti e quali lasciare in sospeso in attesa che la prescrizione faccia il suo corso. A dimostrazione di ciò, nel 2016 i giorni per una sentenza di primo grado erano 514; un anno dopo, nel 2017, i giorni sono magicamente diventati 548.

La partita si gioca su due fronti, si deve capire dove avanzare. Se da un lato questo istituto pone fine ad interminabili processi, dall’altro assolve chi, in assenza di prescrizione, dovrebbe scontare la pena per i reati commessi. Oggi proprio questa possibilità è ambita dell’avvocatura, in quanto gli avvocati hanno, spesso, come obiettivo quello di protrarre il caso giuridico alla lunga in modo da farlo cadere nel dimenticatoio. Da un verso, quindi, se si eliminasse la prescrizione si rischierebbe di avere tempi processuali lunghissimi e questo comporterebbe tenere persone bloccate a processo per anni per poi arrivare, addirittura, ad una eventuale assoluzione.

Proprio in un rapporto del 2017 – come riportato da Il Fatto Quotidianola Commissione Europea accusava l’Italia che la pratica della prescrizione ostacolasse la lotta alla corruzione. La prerogativa dove devono convenire i partiti è la necessarietà di smuovere un meccanismo lento e macchinoso in un Paese in cui, questo strumento, non si usa come lotta all’illegalità, ma come favoreggiamento della stessa.

Nello specifico la critica non è allo strumento ma all’uso che se ne fa: questa pratica può coadiuvare la giustizia per risparmiare risorse e non deve essere un favoreggiamento alla delinquenza e corruzione. Sarebbe utile avere una soglia oltre cui la prescrizione perde di validità.

Un potenziale e importante limite a questa norma è stato posto nel 2018. Un emendamento, votato da Lega e M5s, prevedeva il blocco totale  della prescrizione dopo una sentenza di primo grado. Ed è questo il ring su cui Pd e 5 stelle si sono scontrati. Interessi personali? Può darsi, pare proprio che l’attenzione del PD verta sul voler salvare politici e colletti bianchi. “Cancellare la riforma con FI” minacciano dai banchi e l’amara verità è che, nonostante un disegno di legge, il tema ancora divide i partiti, con Italia Viva che addirittura non ha partecipato al Consiglio dei Ministri per l’approvazione del Ddl. L’opposizione alla norma – condivisa anche dal PD – , renderebbe salvi politici e colletti bianchi che, grazie ad un’abrogazione del decreto Bonafede, scamperebbero il pericolo di non prescrizione e potrebbero tranquillamente andare in vacanza.

In questo senso il ministro Bonafede si è pronunciato a favore di un’alternativa, per andare incontro a PD e Italia Viva che chiedono una distinzione tra condannato e assolto: il grillino ha proposto di inserire una scorciatoia, una sorta di corsia breve per chi viene assolto in primo grado. In definitiva da una parte del ring c’è chi scazzotta per continuare a tenere sacre le file dell’impunità parlamentare, chiedendo perfino la decadenza dell’azione penale se il processo dovesse durare più del previsto; dall’altro c’è chi vorrebbe che, semplicemente e giustamente, ad una prima condanna in appello, scadessero i termini di prescrizione.

Dopo giorni di dibattiti, senza un effettivo accordo unanime, il Consiglio dei ministri ha approvato il 13 febbraio il Ddl sulla riforma del processo penale, confermando il blocco di prescrizione alla condanna in appello, per poi recuperare i tempi di prescrizione se ci fosse un eventuale assoluzione in secondo grado. In definitiva, però, in presenza di due condanne (in primo grado e in appello) la prescrizione verrebbe definitivamente bloccata. Ed è proprio perché l’Italia si avvale di tre gradi di giudizio che questi devono essere garanti di un sistema in cui la prescrizione cade nel momento in cui l’appello conferma la colpevolezza di reato.

di Raffaele Buccolo

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