1917: non il classico war movie

IL FILM NARRA LA PRIMA GUERRA MONDIALE SEGUENDO I RACCONTI DEL NONNO DEL REGISTA

 

Il vero nemico è il tempo“: questa è la frase esplicativa che appare sulla locandina del film “1917“.

Vincitore di 3 premi Oscar e di 2 Golden Globes: “1917” è un film del 2019, diretto da Sam Mendes (lo stesso di “American Beauty”), di genere drammatico e guerra, tratto dai racconti di Alfred Mendes (nonno del regista) che prese parte alla guerra . Si tratta quindi di una rielaborazioni di racconti, atta a fornire il quadro generale di quel preciso periodo storico, raramente portato sul grande schermo: La prima guerra mondiale.

La storia narrata si sviluppa in un singolo giorno, il 6 aprile 1917, e riguarda una piccola missione che si rivelerà una corsa contro il tempo. Il tutto prende avvio quando a due caporali britannici viene assegnato il compito di avvisare il battaglione di commilitoni, affinché annulli l’attacco programmato l’indomani mattina nei confronti dei tedeschi poiché ritenuta una trappola. La missione eviterebbe un attacco che causerebbe la morte di 1.600 persone tra cui il fratello di uno dei due ragazzi incaricati, ma il problema di fondo è che per poter arrivare presso il luogo in cui si trovano gli alleati, i ragazzi sono tenuti ad attraversare il territorio nemico.

Trama semplice e lineare che però presenta un plot twist centrale che ribalterà tutto.

I protagonisti della storia sono due giovani arruolati nell’esercito: il caporale Tom Blake – interpretato da Dean Charles Chapman– e il caporale William Schofield – interpretato da George MacKay– di cui sappiamo poco (solo tramite alcuni dei pochi dialoghi abbiamo riferimenti alla famiglia di Tom). Si tratta di due ragazzi tenaci, che all’inizio non sembrano avere nulla in comune, ma che mano a mano si scoprono profondamente legati. All’interno del film vi troviamo un cast eccezionale e tutto inglese, a cui però vengono riservati poco più di semplici cameo, affinché le attenzioni degli spettatori siano rivolte sopratutto ai protagonisti.

L’aspetto rilevante di questo film è però il fatto che la forma superi il contenuto. Il regista infatti è stato in grado di utilizzare un piano sequenza (scena continua ottenuta mediante una sola inquadratura) fittizio, capace di rendere il film una vera e propria esperienza immersiva. Ciò è stato possibile grazie alla macchina da presa che ha continuamente seguito i protagonisti lungo tutta la narrazione. Questa tecnica narrativa, difficilmente impiegabile ad un film di guerra, permette al regista di catturare completamente l’attenzione dello spettatore donando, inoltre, al film un ritmo incalzante e gradualmente sempre più veloce (aiuta anche la colonna sonora di Thomas Newman che è di sostegno per alcune scene e che incalza fino a diventare assordante nei momenti clou).

Un altro aspetto interessante che da ulteriore importanza al film è la simbologia legata agli alberi e alle piante. Quasi in tutta la pellicola si possono scorgere degli alberi atti a simboleggiare la vita dei soldati costretti ad arruolarsi per la guerra. Gli alberi incontrati durante il corso della storia appaiono forti, ma a volte inermi, proprio come le persone; rappresentano la vita perchè generano frutti, ma alcuni di questi simboleggiano la morte poiché spezzati.
Inoltre, l’elemento dell’albero rende il film circolare.

Ma se questo film ha il merito di piacere anche ai non amanti del genere, è anche merito del magistrale montaggio eseguito da Lee Smith. Innanzitutto ha fatto sì che lo spettatore ‘entrasse nella scena’, tramite uno squarcio iniziale da una scena nera. Di seguito,circa a metà della proiezione ha diviso figuratamente il film in due parti,attraverso una dissolvenza (prima a nero e poi da nero), effettuando un cambio temporale di scena. Si può  affermare che Smith abbia realizzato un montaggio invisibile comprendente alcune tecniche tra quelle citate precedentemente per poter rendere più veritiero il piano sequenza artefatto che rende il film unico nel suo genere.

L’opera è stata poi arricchita dalla stupefacente fotografia di Roger Deakins, che ha utilizzato esclusivamente luce naturale, gelida e malinconica: riflettendo gli animi dei combattenti che combinata alla palette di colori freddi ha reso l’ambiente quasi totalmente desaturato.   

La scenografia infine è ricca di elementi quasi horror come: fattorie disabitate, città sventrate, animali morti, cadaveri abbandonati sui terreni e spazi misteriosi che permettono di mostrare la guerra come qualcosa di terribile in cui non ci sono vincitori, ma solo morte ed orrore, evidenziandone quindi la disumanità.

Merita una menzione speciale l’attenzione ai costumi. I caschi indossati da ogni singolo partecipante, per esempio, sono stati infatti costruiti appositamente per avere una fedele ricostruzione.

Insomma questo film vuole trasmettere un messaggio: nella guerra non c’è nulla di glorioso – come citava il poeta Wilfred Owen- al contrario è caratterizzata da indifferenza e normalizzazione della morte. Il film evidenzia così l’assurdità della guerra caratterizzata spesso dalla mancanza di collettività e da soldati paragonati a carne da macello. Una pellicola cruda, ma estremamente veritiera.

 

di Krizia Loparco 

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*