L’Israele di Netanyahu all’indomani del voto

DOPO LE ELEZIONI DEL 2 MARZO, IL FUTURO GOVERNO ISRAELIANO RIMANE UN’INCOGNITA

A sinistra, Benjamin Gantz. A destra Benjamin Netanyahu (Foto: Il Fogliettone)

Festeggia il Premier uscente, Benjamin Netanyahu, dopo essersi visto vincitore nelle ennesime elezioni. Per la prima volta dalla sua nascita, Israele ha dovuto ricorrere a una terza chiamata alle urne (quella del 2 marzo 2020), in un anno. Questa è stata caratterizzata da un’affluenza tanto minacciata dall’emergenza Coronavirus, quanto alimentata dalla volontà di chiudere questo capitolo elettorale. La lotta per la formazione del governo, a oggi, non si è ancora risolta poiché al Likud, il partito nazional-liberale di Netanyahu, servono altri 3 seggi per avere la maggioranza assoluta nella Knesset (l’organo legislativo israeliano). Al contempo i partiti di opposizione non si perdono d’animo e – forti delle accuse che vedono il primo ministro sotto processo per frode, corruzione e abuso di ufficio – tenteranno l’approvazione di una legge ad hoc per bloccare la riconferma di Netanyahu  a capo dell’esecutivo. In un momento storico di profonde incertezze per la stabilità del Medio Oriente, chi avrà l’ultima parola sul futuro di Israele?

NETANYAHU, REO O INNOCENTE?- Grazie alla sua vittoria elettorale, Benjamin Netanyahu si riconferma essere il primo ministro israeliano più longevo. Da undici anni ininterrottamente al potere, dopo un precedente mandato nel triennio 1996-1999, il leader israeliano aveva già l’anno scorso surclassato David Ben Gurion, fondatore di Israele e primo premier del Paese. Eppure non è tutto oro quel che luccica. Netanyahu, infatti, è il primo premier israeliano in carica a essere formalmente incriminato. Secondo il Post, dei tre capi d’accusa, quello più grave lo vede indagato per corruzione, “avendo favorito l’azionista di maggioranza di Bezeq, la più grande società di telecomunicazioni d’Israele, in cambio di una copertura mediatica favorevole su un popolare sito di news israeliano”. E se ciò non ha scoraggiato molti suoi connazionali a votarlo, l’opposizione – guidata da Benjamin Gantz del partito centrista Blu e Bianco, assieme ai laburisti di Avodah e a Nitzan Horowitz, leader di Meretz, partito radicale di sinistra – vorrebbe far passare una legge per congelare l’attuale primo ministro.

La risposta degli esponenti di destra non s’é fatta attendere. Il ministro della difesa, Naftali Bennett, sostiene che “L’iniziativa di Ahmad Tibi e di Ofer Shelah (deputati rispettivamente della Lista Araba Unita e di Blu e Bianco, ndr) di far passare la legge per la squalifica di Netanyahu è una manovra estremamente anti-democratica e uno sputo in faccia a metà dell’elettorato israeliano”. Viceversa Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv, ritiene che un nuovo mandato a Netanyahu determinerebbe “una disfatta per lo Stato di diritto”, una svolta autoritaria che, scrive The Globalist Syndacation, pone “il Parlamento al di sopra della Corte Suprema per consentire al premier di sopravvivere ai propri misfatti”. Il processo contro Benjamin Netanyahu inizierà il 17 marzo ed è probabile che durerà diversi mesi.

ISRAELE OGGI- Come spiegato in un’analisi del settimanale ebraico-statunitense Algemeiner, Israele negli ultimi tre decenni è passata dall’essere uno Stato del Terzo Mondo all’essere una potenza del Primo, venendo riconosciuta come tale tanto dai suoi alleati quanto da coloro che la vorrebbero distrutta. Nessuno si sarebbe mai sognato un simile risultato da una neonata nazione con appena 71 anni di governo. Ma ai benefici economici di questa “startup nation” si affiancano anche i relativi problemi. Alla crescita delle città corrisponde infatti un sistema dei trasporti inefficiente con frequenti intasamenti delle reti stradali urbane. Anche la necessità di ospedali più capienti è il risultato della crescita demografica. Vi è inoltre il disagio sociale per le disuguaglianze salariali: molte persone appartenenti ai ceti più poveri si sentono lasciate indietro. A queste non interessa che lo Stato riesca nel suo intento di attirare grandi aziende high-tech, in grado di rivaleggiare con quelle della Silicon Valley, se sono poi solo quest’ultime ad arricchirsi. Infine con l’accumularsi degli interessi, il mondo della politica viene paralizzato, incapace di portare a termine delle riforme legislative, quindi inadeguato a risolvere i problemi strutturali del Paese. 

Alla risoluzione di queste difficoltà interne, il prossimo governo dovrà coniugare un continuo sviluppo della diplomazia nello scacchiere internazionale, minacciato dalla politica espansionistica del Likud in Cisgiordania, e più precisamente nella Valle del Giordano e nella sponda nord del Mar Morto. Come riportato dal Fatto Quotidiano, infatti, l’attuale esecutivo ha comunicato di voler portare avanti i progetti per la realizzazione di 1.739 nuove case nei Territori occupati”. Queste iniziative alimentano i forti contrasti con l’Unione Europea, suo storico alleato, che le considera illegali ai sensi del diritto internazionale. Viceversa c’é un via libera dagli USA che l’anno scorso hanno riconosciuto a Israele la sovranità delle alture del Golan. La questione dei territori non sta tuttavia intaccando i rapporti con i paesi arabi, che al contrario sono in costante miglioramento.

Risultati delle elezioni dopo i primi scrutini. (Fonte: Deutsche Welle)

GLI ALTRI PARTITI- Proviamo ora ad analizzare i vari partiti che si sono sfidati. Partendo dal Likud, il partito di Benjamin Netanyahu, che ha ottenuto 4 seggi in più rispetto alle elezioni di settembre, occasione in cui il Likud aveva sorpassato il partito Blu e Bianco del rivale Gantz. Secondo un editoriale di Giovanni Quer, ricercatore italiano che lavora all’Università di Tel Aviv, ciò è dovuto a vari fattori: in primo luogo, il Likud ha fatto molta campagna per convincere gli indecisi nel Sud d’Israele, l’area storicamente più di destra del paese. Inoltre, Netanyahu si è anche rivolto ad alcune minoranze sotto-rappresentate, promettendo loro maggiore sostegno socioeconomico. Oltre agli ultraortodossi che vivono nei territori israeliani, il premier si è rivolto poi agli ebrei di origine etiope, la cui appartenenza al popolo ebraico viene a volte messa in dubbio da molti. A questi,  Netanyahu  ha promesso che faciliterà i permessi per i loro parenti rimasti in Etiopia per immigrare in Israele. Infine, il premier ha prestato attenzione anche agli arabi israeliani, sostenendo di poter offrire loro quegli aiuti sociali che i politici arabi e la sinistra non riescono a garantirgli. 

Chi invece a destra ha perso voti, sono i partiti nazionalisti Yisrael Beiteinu e Yamina, guidati rispettivamente da Avigdor Lieberman e Naftali Bennett, entrambi con un seggio in meno. Il calo di Lieberman è significativo: egli è di fatto il motivo per cui si continua ad andare alle elezioni, in quanto non vuole più stare in coalizione con Netanyahu. La ragione sta anche nel fatto che, mentre Bennett e molti alleati del primo ministro sono ortodossi, Lieberman è un nazionalista laico, in quanto il suo partito rappresenta soprattutto gli immigrati di origine russa. La maggior parte di essi è conservatrice sul piano politico ma non sul piano religioso, e Yisrael Beiteinu vuole una separazione netta tra religione e stato. Dopo le elezioni, Lieberman ha persino dato il suo appoggio alla legge contro Netanyahu proposta da Gantz e dalla sinistra.

Più complesso si fa il discorso per quanto riguarda i partiti di sinistra e di centro: nonostante la crescita di Netanyahu, Gantz non ha perso seggi rispetto alle scorse elezioni. È anzi riuscito a sottrarre ulteriore consenso ai partiti di sinistra tradizionali, la cui coalizione ha perso 3 seggi. Non a caso Gantz si è consolidato nei grandi centri urbani come Tel Aviv e Haifa – da sempre in mano al partito di centro-sinistra Avodah – e nei kibbutzim – villaggi nati con un’impostazione socialista e storico bacino elettorale della sinistra radicale di Meretz. Tuttavia, Gantz ha basato la sua campagna più sugli attacchi contro gli avversari della destra piuttosto che sui contenuti del suo programma, il che gli ha permesso di consolidare la sua base ma non di ampliarla.

Un risultato degno di menzione è invece quello della Lista Araba Unita, coalizione formata da 3 partiti che rappresentano gli arabi israeliani e dal partito comunista Hadash. Essi hanno guadagnato 2 seggi in più e ciò, secondo il ricercatore Quer, è dovuto sia a un maggiore coinvolgimento degli elettori arabi, sia all’attrazione di alcuni elettori ebrei di estrema sinistra delusi da Meretz.

In conclusione, la coalizione guidata da Netanyahu ha ottenuto in totale 58 seggi, di cui 36 sono andati al Likud, contro i 33 ottenuti da Gantz e i 15 della Lista Araba. Tuttavia, per formare il governo servono almeno 61 seggi, e ciò crea diverse incognite future, anche perché nessuno vuole tornare a votare per la quarta volta in un anno.

 

di Nathan Greppi e Francesco Scomazzon

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