Il DPCM che ha diviso l’Italia: pubblicazione necessaria o precipitosa?

DISCUSSIONI E CACCIA AL COLPEVOLE A SEGUITO DEL DPCM 8 MARZO. MA CHI SONO I VERI (IR)RESPONSABILI?

Dalla pagina Facebook di Giuseppe Conte

La diffusione del COVID-19 è accompagnata dal rischio di un’epidemia di disinformazione. La sera del 7 marzo è trapelata la bozza del DPCM per le nuove misure che sarebbero state adottate il giorno successivo, al fine di limitare ulteriormente il contagio. Il decreto prevedeva l’allargamento della zona rossa a tutta la regione Lombardia e a 14 province dell’Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, con le conseguenti restrizioni che avrebbe comportato.

La notizia di questo documento, ancora in fase di modifica e privo delle firme per l’approvazione, è stata resa pubblica immediatamente da molti media e il passaparola tra i cittadini ha causato il panico. La colpa è stata scagliata in più direzioni: contro i cittadini incoscienti, sui giornalisti per la loro irresponsabilità e tra i politici per presunti complotti. Ma il punto è: specialmente in situazioni di emergenza, come quella che sta vivendo l’Italia adesso, la responsabilità di comunicare solo informazioni chiare e ufficiali non dovrebbe essere condivisa da tutti?

Partiamo dalla fonte. Lo sconcerto del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato chiaro, espresso durante l’annuncio ufficiale del nuovo DPCM avvenuto nelle ore successive alla soffiata. Egli ha ribadito che trattandosi di una bozza, l’iter burocratico da seguire imponeva che la notizia non fosse diffusa. Una reazione lecita, visto che è al fine di preservare la “Correttezza dell’operato del governo e la sicurezza degli italiani”, ma probabilmente questa affermazione non è condivisa dall’intera classe politica a tutti i livelli. Immediatamente le accuse sono volate tra partiti e contro l’opposizione.

La Lega è stata subito imputata e insultata sui social per aver condiviso la notizia nella serata di sabato alle 20:34 sul profilo Facebook ufficiale, nonostante fosse stata anticipata dal Corriere (20:15), Open (20:17) e La Repubblica (20:25) nei rispettivi profili. Anche questa una strategia del partito di Salvini? Può essere. Per non parlare del dibattito con la CNN, presa in causa per aver riportato come fonte proprio l’ufficio stampa della Regione Lombardia, governata dall’esponente della Lega, Attilio Fontana. L’emittente statunitense ha però ribadito di aver ricevuto solo una conferma della notizia già divulgata.

Questi attacchi rappresentano ancora una volta una mancanza di collaborazione all’interno della classe politica, in cui il governo si trova a fronteggiare un pericolo nazionale e ad essere messo sul banco di prova. Una prassi a cui tutto il Paese è ormai abituato, ma per mantenere credibilità e la fiducia da parte dell’Europa, il Governo deve adottare delle misure esemplari. A livello nazionale le conseguenze sull’assetto politico si vedranno alla fine dell’emergenza. Una mossa fuoriluogo quella del leader della Lega Matteo Salvini, che nell’intervista concessa al quotidiano spagnolo El Pais, ha screditato il governo giallo-rosso a livello internazionale per quanto riguarda la gestione dell’emergenza. Mettere da parte gli attacchi politici e la propaganda sarebbe la decisione migliore, perché la diffusione della bozza ha screditato l’iter operativo del Governo, causando scompiglio a livello nazionale e non solo.

I secondi e principali imputati della diffusione del documento sono stati i giornalisti. Non c’è alcun dubbio che le imminenti decisioni fossero una notizia sconcertante e i giornalisti si trovano quotidianamente a dover comunicare delle notizie selezionando le giuste parole per non creare il panico e rimanere imparziali. Ma è venuto meno l’ancoraggio ai fatti, alla comunicazione chiara e comprensibile per tutti. Le incongruenze tra il documento da modificare e quello firmato si sono dimostrate successivamente.

Era una notizia provvisoria e molte testate hanno sottolineato il fatto che fosse una bozza, ma questo non ha frenato il panico. Sarebbe bastato attendere la smentita o la conferma della news, perché l’attinenza ai fatti può premiare di più rispetto alla fretta e alla velocità dettate dai social network. Sono in molti a ribadire questa convinzione, per esempio, Il Post e Valigia Blu che hanno atteso l’ufficialità del decreto per riportare la notizia, giustificandosi apertamente con i propri lettori.

Una scelta che potrebbe premiare, anche a livello economico e di pubblico. Infatti, certe testate hanno preferito preservare la fiducia dei propri lettori rispetto al rapido traffico di click accumulabile in una notte. Lo ha affermato per esempio Imen Boulahrajen, sui social Imen Jane, divulgatrice di temi di attualità ed economia attraverso il suo profilo e la startup Will su Instagram. Le sue storie nella serata del 7 marzo sono state un punto di riflessione, perché hanno insistito sul fatto di voler attendere la comunicazione ufficiale da parte delle istituzioni.

Inoltre ha twittato denunciando la mancanza di “decenza” da parte dei giornali per aver pubblicato una notizia di un tema così delicato, affermando di aver ritirato il suo abbonamento dal Corriere e La Repubblica. Una decisione drastica, visto che non è il singolo errore a screditare completamente delle fonti affidabili, ma non bisogna dimenticare che Imen Jane ha un seguito potenzialmente influenzabile dalle sue affermazioni di 7 mila follower su Twitter e di 293 mila seguaci su Instagram. Un vasto pubblico, che si aggiunge a tutti gli utenti che hanno condiviso la scelta fatta da Il Post di attendere, dichiarando di essersi abbonati al giornale.

La velocità dei media non è stata premiata dalla fiducia di tutti i cittadini in questo caso. Le testate più importanti a livello nazionale hanno fatto una scelta significativa e non priva di ripercussioni: ha prevalso il diritto di cronaca rispetto alla responsabilità dei media. È apparsa come una sorta di gara di velocità con le Istituzioni, scegliendo di rinunciare alla completa aderenza ai fatti e mettendo in secondo piano le inevitabili conseguenze di queste circostanze delicate.

La notizia ha suscitato la giustificata paura dei cittadini che, invece di attendere ulteriori chiarimenti ed accertamenti ufficiali riguardo alla possibilità di effettuare degli spostamenti con delle precauzioni, hanno preferito unirsi alla fuga di massa (come è avvenuto alla stazione di Milano). Gli attacchi si sono scagliati tra i cittadini di tutte le Regioni, a partire dal medico Roberto Burioni, che immediatamente ha commentato contrariato tutta la vicenda.

Follia pura. Si lascia filtrare la bozza di un decreto severissimo che manda nel panico la gente che prova a scappare dalla ipotetica zona rossa, portando con sè il contagio. Alla fine l’unico effetto è quello di aiutare il virus a diffondersi. Non ho parole. pic.twitter.com/ZazcDnYFej

— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) March 7, 2020

Ma sono le circostanze complesse a dettare delle reazioni impulsive. Il problema è molto più profondo: i media hanno la possibilità di influenzare maggiormente le persone, perché è minore la fiducia riposta nel Governo. Lo dimostrano i dati raccolti nell’Endelman Trust Barometer, un sondaggio che calcola la fiducia dell’opinione pubblica, condotto ogni anno in 28 Paesi.

Il caos di una sola notte ha trasmesso un messaggio di completa diffidenza: le persone hanno cercato di non farsi ‘fregare’ dallo Stato che invece ha cercato di attuare le misure che riteneva più adeguate. In un’era dove siamo già sommersi di informazioni da fonti affidabili e non, diffondere delle notizie incomplete alimenta la disattenzione alla cultura della comunicazione. 

Resta da chiedersi se la diffusione della bozza e la successiva caccia al colpevole non siano solo la punta dell’icerberg di una dilagante mancanza di responsabilità e fiducia.

di Michela Dalla Benetta

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