Iperattività ai tempi del virus: riscoprire il valore della noia

IN UN MONDO CON ABITUDINI FRENETICHE FERMARSI PUÒ INSEGNARE QUALCOSA AD OGNI ETÀ

Prendere il sole in balcone è ormai l’unico tipo di ora d’aria concessa a noi cittadini comuni che non godiamo di un giardino, come chi abita in campagna oppure beneficia di più soldi in banca. Ci stiamo abituando così a scorgere sempre di più le strade vuote, quando al contrario i social sono più attivi e popolati che mai. Il mondo delle restrizioni per coronavirus gira al contario: le persone affollano Facebook ed Instagram e molto meno le città. La realtà virtuale ci sovrasta con news aggiornate minuto per minuto, post polemici e complottisti, persone che insultano i runner (abituè delle corsette).

Qualche giorno fa – non lo nascondo – sono stata io stessa a riscoprire la preziosa utilità dei social. Grazie a loro possiamo videochiamare amici, condividere gioie e paure, ed è grazie a loro se, nonostante la distanza fisica, in realtà non siamo mai così soli. Nelle nostre case eliminiamo la lontananza, socializziamo, facciamo aperitivi, festeggiamo lauree, benchè in un modo originale: dalla testa fino al bacino vestiti eleganti, in tuta o in pigiama dal bacino in giù. Al web dobbiamo essere grati come non mai in quest’era di pandemia. Oggi i social diventano la nostra arma di difesa, anche se qualche volta continuano ad essere l’arma che ci ferisce.

La rete è infatti in grado di creare una realtà a sè stante, anche se comunque irreale, che riesce talvolta a trasmetterci grande ansia. Parlo di quell’ansia che ci investe quando non usciamo il sabato sera mentre centinaia di store Instagram ci mostrano video di gente in discoteca, al cinema, in compagnia. Quella per cui almeno una volta nella vita ciascuno di noi ha desiderato essere magro, bello e ricco come uno di quei personaggi pubblici protagonisti indiscussi delle “dirette” social. L’acronimo FOMO (Fear of Missong Out) indica una forma tipica di ansia sociale: la paura di essere tagliati fuori, di essere esclusi da qualsiasi contesto o evento collettivo. Il desiderio di rimanere in contatto con le altre persone anche in questi giorni di quarantena può diventare controproducente. Se prima il rischio era quello di sentirsi inadeguati passando un weekend a poltrire anzichè essere fuori a divertirsi come tutti gli altri, ora siamo messi a confronto con una sorta di iperattività racchiusa dentro quattro mura. Ogni giorno siamo bombardati dai nostri coetanei che si allenano, studiano, seguono corsi di lingua, cucinano e – i più bravi contemporaneamente – fanno yoga. Non essere presi dalla voglia di fare significa avere qualcosa che non va? L’invito a restare a casa non leggittima la pigrizia ma, anzi, invita a non fermarsi? “Non tutti reagiamo a questa quarantena con mille piani e attività. E va bene così”: queste le parole di un interessante post di ViceItaly pubblicato su Instagram qualche giorno fa.

Quando ci tolgono il lavoro, le cene con gli amici, le scampagnate, le corsette, molti si sentonoperduti. Discorso ancor più valido per i giovanissimi che a fare i conti con la noia non sono stati abituati neanche in età infantile: non sanno dargli un nome, non la riconoscono. Fin da piccoli hanno avuto l’agenda piena: la scuola, i compiti a casa, il corso di judo, calcio o pallacanestro, le gite durante il fine settimana, i campi estivi quando arriva la bella stagione. Molti tra gli adolescenti di oggi non hanno nel loro DNA il nullafaciens e di conseguenza non lo sanno gestire. Pretendere da loro che non diano di matto in questa situazione è un’utopia, un desiderio irraggiungibile. Bisogna quindi armarsi di pazienza e, mentre corrono per casa, cercare di spiegargli che la noia fa bene. Certo è che se glielo spieghiamo presi da mille attività, magari tentando di fare yoga e contemporaneamente cucinare l’ultima ricetta vista su internet, qualcosa non va. Perchè anche da più grandi, rischiamo di non sapere chi siamo se ci tolgono la routine, rischiamo di dover fare i conti con i nostri sentimenti e le nostre paure con cui solitamente, sempre presi da qualcosa e in costante movimento, non ci confrontiamo. Rischiamo addirittura che la nostra vita perda di senso.

La quarantena obbliga a fare i conti con la staticità e a prendersi una pausa di riflessione. In una società dove il tempo passato a pensare e ad ascoltarsi è considerato tempo sprecato non sappiamo più affrontare il vuoto, che ci fa paura. Siamo in pausa dalla nostra vita e questo non ci piace. Siamo stati costretti a fermare la professione, lo sport, persino l’amore, abituati all’accezione negativa delle parole “prendersi una pausa”, che all’interno della relazione simboleggiano un problema o, peggio, segnano un punto di fine. Senza pensare che, se non ci fermiamo a riflettere, non capiamo neanche se di amore vero si può parlare. La distanza forzata può aiutarci a far sì che i nostri sentimenti riescano a sedimentarsi, può aiutarci a fidarci gli uni degli altri e a rafforzare, anzichè indebolire, i nostri legami. Per una volta potremo approfittare del tempo libero per ricordare una massima mai obsoleta: imparare a stare bene con noi stessi è principio imprescindibile dello stare bene con gli altri, dare un senso alla solitudine per dare valore alle nostre relazioni.

“Poco propriamente si dice che la noia è mal comune. Comune è l’essere disoccupato, o sfaccendato, per dir meglio; non annoiato. La noia non è se non di quelli in cui lo spirito è qualche cosa”, poetava Leopardi nella raccolta ‘Pensieri’, lo stesso Leopardi che definì la noia come “il più sublime dei sentimenti umani“. Non dobbiamo quindi lasciarci andare all’indolenza, all’apatia, all’annullamento – in tempi moderni – di fronte ai tanti schermi a disposizione, allo “sfaccendare” appunto. Il poeta ottocentesco spiega che la noia è un sentimento che invita all’ascolto di noi stessi, alla riflessione, al riordino delle priorità. Se è vero che il rimedio migliore quando si è tristi è imparare qualcosa, da questo isolamento che ci vede soli e un po’ depressi potremmo trarre tanti insegnamenti. Primo fra tutti l’imparare a conoscersi un po’ di più, a guardarsi dentro, a farsi più domande e darsi meno risposte certe e frettolose. Imparare soprattutto a mettersi meno a confronto con gli altri: probabilmente il workout giornaliero è lo strumento di alcuni per sopravvivere, come possono, a un periodo difficile. Se non coincide con i nostri mezzi di preservazione – riprendendo le parole di Vice – “va bene così”. Ci sentiremo più annoiati ma anche più vicini a Leopardi.

di Arianna Banti

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