Il lavoro estenuante delle onoranze funebri durante la pandemia

L'EMERGENZA CORONAVIRUS NON METTE A DURA PROVA SOLO I MEDICI E GLI INFERMIERI. QUELLO NEI SERVIZI FUNEBRI DIVENTA OGGI UNO DEI LAVORI CHE PROVA PSICOLOGICAMENTE DI PIU' I SUOI OPERATORI

Foto Ansa

Il mese scorso, la scena struggente della fila dei camion militari che trasportano le salme fuori da Bergamo per la mancanza di spazio nei forni crematori ha sconvolto tutta l’opinione pubblica ed è segno di un Italia che non ha più il tempo e la possibilità di piangere i suoi morti. Le cerimonie sono diventare brevi e sbrigative, non c’è più nemmeno il tempo per onorare i defunti. Nel frattempo, anche se il dato dei nuovi contagiati comincia a calare, i decessi giornalieri rimangono tristemente alti, ma dietro a questi dati non ci sono solo numeri, ma intere famiglie distrutte dal dolore della perdita di un caro. Su questo fronte rimangono in prima linea gli operatori delle onoranze funebri, che costretti a orari estenuanti devono gestire una mole di lavoro mai vista, il tutto unito alla nuova normativa molto stringente e al pericolo costante di essere contagiati, che sta rendendo questo lavoro molto più snervante di quanto non lo sia già.

COME SONO CAMBIATE LE CERIMONIE? – Il primo decreto emanato dal Governo per il contrasto ala diffusione del Covid-19 conteneva anche una nuova e precisa disciplina da tenere per le funzioni funebri, che limitava fortemente la partecipazione ai funerali e rendeva la cerimonia più sbrigativa, quasi asettica. Dopo l’accertamento della morte, agiscono immediatamente gli operatori delle onoranze funebri, che provvedono al più presto ad adagiare la salma nella bara, che non viene nemmeno vestita se si tratta di persone affette da Covid-19, ma avvolta in un apposito sudario imbevuto di disinfettante.

Poi la cassa viene chiusa al più presto e trasportata al cimitero per una breve funzione a cui possono partecipare solamente parenti stretti, al massimo cinque, e solamente nel caso in cui non siano in obbligo di quarantena. Non c’è più la possibilità di vedere un’ultima volta il caro defunto, di pregare e piangere al suo capezzale e non vi è più nemmeno il passaggio in chiesa, che toglie quasi del tutto la sacralità del funerale. A pagarne lo scotto sono soprattutto le famiglie poiché in molti casi celebrare il funerale non ha solo un’importanza religiosa, ma è anche un primo passo per affrontare e superare il lutto della perdita.

A vivere con dolore questa situazione sono anche gli operatori delle onoranze funebri, che sono sottoposti alla tensione crescente di un lavoro che diventa giorno per giorno più difficile, sia sul piano concreto che su quello emotivo. Per comprendere al meglio la situazione, Parmateneo ha intervistato Carla e Marco, due titolari di onoranze funebri del parmense, la prima ha una piccola azienda a conduzione famigliare mentre il secondo rappresenta una realtà più grande, entrambi sono nomi di fantasia, in quanto hanno deciso di mantenere l’anonimato, “per non farci pubblicità in questo momento così delicato e assurdo” spiegano

FUNERALI IN DIFFERITA: VIDEO, FOTO E DIRETTE FACEBOOK – “Non abbiamo orari, non abbiamo domeniche, non abbiamo sabati”, spiega Carla “non li abbiamo nemmeno nella norma, ma almeno in periodi normali riusciamo a gestire il carico di lavoro. Adesso la situazione sta diventando insostenibile, è un mese che praticamente per lavorare vediamo a singhiozzi le nostre famiglie. Anche i sacerdoti si muovono poco ormai,  siamo rimasti noi gli unici intermediari con le famiglie in questi momenti difficili e cerchiamo di fare tutto il possibile per rispettare il loro volere, sempre restando nei limiti della legge. Capisco benissimo che non poter dare l’ultimo addio è la cosa peggiore di questi tempi”.

La partecipazione alle cerimonie è limitata e le famiglie ne risentono, e allora come racconta Marco, le famiglie si fanno aiutare dalle nuove tecnologie per dare un ultimo saluto: “Capita che quando è presente solamente un membro della famiglia, questi hanno spesso il telefono in mano per fare foto oppure video della breve funzione e ho visto anche il figlio di un defunto che era in videochiamata con la madre durante la tumulazione”. Questi metodi stanno diventando una prassi in tutta Italia, permettendo a chi vuole di partecipare comunque anche se a distanza. Alcune settimane fa a Bologna il figlio di un defunto ha ottenuto addirittura l’autorizzazione per trasmettere tutto il rito funebre in diretta facebook, cosa che in tempi migliori non ci saremmo mai aspettati di vedere.

Un’altra questione delicata è il recupero degli oggetti personali del defunto, che in alcuni casi può essere complicato, dato che anche gli oggetti personali possono diventare potenzialmente un vettore del virus, “recuperare gli oggetti del defunto lo facciamo sempre ove possibile – spiega Marco – in alternativa la Croce Rossa e la Protezione Civile hanno allestito un servizio apposito per recuperare gli oggetti personali”. Interessate a proposito l’iniziativa del comune di Fidenza e di Forum solidarietà, che invitano i cittadini a donare contenitori di cartone o stoffa per impacchettare gli oggetti delle vittime di Covid-19, “un piccolo gesto ma molto utile” spiega la psicologa Barbara Bruni, ideatrice del progetto, “perché può far riemergere il senso di collettività e di umanità”.

UN MESTIERE STRESSANTE E PERICOLOSO – Il lavoro di operatore delle onoranze funebri, oltre ad essere diventato molto stressante, è diventato anche un lavoro molto pericoloso, perché si tratta di frequentare i reparti dell’ospedale più volte al giorno e di entrare a stretto contatto con i contagiati deceduti. “Il personale ospedaliero provvede a disinfettare tutti i corpi appena dopo il decesso, ma comunque rimane il rischio di essere a nostra volta contagiati perché la morte non esaurisce la carica virale di un corpo – spiega Carla che aggiunge – abbiamo avuto anche problemi per reperire i presidi, a partire dalla semplice mascherina che non si trova e se si trova il prezzo è triplicato. C’è una forte speculazione. In questo non siamo aiutati da nessun ente a reperirli, anche se il grado di esposizione che abbiamo noi è equiparabile a quello che hanno i medici, dato che lavoriamo quotidianamente con dei corpi infetti. Così ci dobbiamo fornire per i fatti nostri di tutti i presidi utili per rischiare il meno possibile. Parlo di: tute intere protettive, occhiali, mascherine, guanti, gambali, che poi tra l’altro si tratta di dispositivi usa e getta, che non si possono più riutilizzare, dunque è sempre più difficile procurarseli”.

Lavorare in queste condizione aumenta lo stress a un livello altissimo, non solo perché si vedono in diretta la striscia di decessi che questo virus si sta lasciando alle spalle, non solo perché si percepiscono i vuoti che questi decessi stanno lasciando alle famiglie, ma anche perché si ha paura per la propria sicurezza e per quella dei propri cari, come racconta Marco: “Io e i mei dipendenti ci siamo imposti di mettere al primo posto la sicurezza delle nostre famiglie, perché è la cosa più importante. Teniamo sempre guanti e mascherina anche quando siamo in ufficio, stiamo attenti a tutto quello che tocchiamo e prima di rientrare a casa provvediamo a buttare tutte le protezioni che abbiamo usato durante il lavoro”.

FORNI CREMATORI AL LIMITE: L’ULTIMO VIAGGIO E’ SEMPRE PIU’ LUNGO – Dopo più di un mese di emergenza, le imprese funebri di tutta Italia sono a pieno regime per soddisfare tutte le richieste. Nella nostra provincia la situazione non è migliore, ci spiega Carla, “a Parma ci stiamo mettendo tutto l’impegno e la professionalità possibile, però credetemi, sia io che i colleghi di altre onoranze funebri siamo messi a dura prova, sia fisicamente che psicologicamente. E’ un carico emotivo e fisico molto grosso. Tanto per farmi capire posso dire che questo mese, la mia piccola azienda che è a conduzione familiare, ha disbrigato anche sei o sette funerali al giorno”.

La provincia di Parma, secondo i dati Istat, dal 1 al 21 marzo 2020 ha registrato 704 decessi, sono oltre 200 quelli accertati per Covid-19, ma nello stesso periodo del 2019 se ne contavano 301. Potrebbero essere quindi molti di più, se non il doppio, quelli provocati realmente dal Covid-19 in questo breve periodo.

La questione dell’elevato numero dei morti coinvolge anche il problema delle cremazioni, ci sono così tante salme che i crematoi provinciali non riescono a reggere il ritmo di lavoro, così si da luogo “all’espatrio” delle salme verso altre provincie e regioni, si tratta dello stesso problema che a Bergamo aveva dato luogo al famoso convoglio di camion dell’esercito che trasportava le salme in zone meno colpite dall’epidemia.

Anche a Parma c’è questo problema, anche se non c’è ancora necessità di ricorrere ai mezzi dell’esercito, ma le imprese funebri sono costrette ad rivolgersi comunque ai crematoi fuori regione: “Il tempio di Valera è chiuso attualmente (parliamo nei primi giorni di aprile), non accetta più nuove salme e dunque ci siamo dovuti rivolgere a forni fuori regione – spiega Carla – le cremazioni sono diventate praticamente impossibili da gestirle perché quasi tutti i crematoi del nord Italia sono saturi, ed è impegnativo trovare qualcuno che ci accetti nelle tempistiche dovute di 5 giorni dal decesso. Se non si trova il crematoio che accetta la salma, la famiglia può optare per l’inumazione, ossia mettere a terra la salma, oppure una tumulazione in avello, che può essere definitiva oppure solamente temporanea, per poi fare la cremazione in un secondo momento, quando la pandemia sarà passata”.

A tal proposito il vicesindaco del Comune di Parma, Marco Bosi, ha dichiarato durante l’ultimo consiglio comunale che “per superare questo problema il Comune aveva predisposto l’acquisto di 4 celle frigorifere da destinare a cimiteri e forni, in modo da conservare le salme oltre i 5 giorni dal decesso rispettando le norme igenico-sanitarie, riservandosi di valutare poi un ulteriore acquisto se necessario. Attualmente però i decessi stanno calando e pare non esserci più bisogno di allargare la disponibilità di spazio nelle celle frigorifere. Il peggio sembra passato, ma dobbiamo ricordare di continuare a seguire le norme restrittive, sennò si rischia di ripiombare di nuovo in questo problema”.

ANCORA NON SI VEDE UNA LUCE IN FONDO AL TUNNEL – I tempi del Coronavirus sono anche questo, e se per le famiglie il dramma di non poter più rivedere la salma del proprio caro è un tormento, per gli operatori del settore il logoramento e la sofferenza rimangono alti, “è una situazione inimmaginabile per chi non ci lavora, non perché non sia in grado di capire, ma perché è inimmaginabile anche per noi. Ti toglie il sonno, sei agitato, il cervello non stacca mai; ormai cerchiamo di rimanere calmi perché senno lo stress ci abbassa le difese immunitarie, e questo sarebbe ancora peggio” conclude Carla.

Lavorare per le onoranze funebri durante l’epidemia significa fare parte di quelle categorie in “prima linea”, coloro che non possono stare semplicemente a casa, ma devono lavorare ogni giorno perché il loro servizio è necessario alla comunità. Fanno parte di questa categoria non solo medici, infermieri ma anche i corrieri, cassieri e scaffalisti dei supermercati e anche tanti altri lavoratori dei settori considerati necessari. Ma la differenza è che quando lavori per le onoranze funebri non ricevi applausi e complimenti, non ti dedicano disegni e poesie, non sei lodato dal sindaco o dal politico di turno e non sei nemmeno considerato un eroe. E allora rimangono solo i ringraziamenti delle famiglie, il sostegno dei colleghi e la coscienza di fare bene il proprio lavoro nonostante tutto. Chissà che un domani, alla luce di questo e passata la pandemia, anche la bistrattata figura del “becchino”, che la credenza popolare vuole legata alla sfortuna, non possa godere di una rinnovata riconoscenza dalla nostra società.

di Davide Sereni

 

 

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