Negli US, il Covid-19 è il ‘boomer remover’

L'HASHTAG 'RIMOZIONE DEI BOOMER' DIVENTA UNA TENDENZA AMERICANA, SIMBOLO DI UNA SOCIETÀ PRIVA DI EMPATIA. MA NOI RISCOPRIAMO IL VALORE DELLA VECCHIAIA

 

Stati Uniti: altro che Paese dove ‘i sogni si avverano’! Se prima c’era il conflitto tra WASP e le altre etnie, ora c’è quello intergenerazionale tra ‘boomers’ e ‘millennials’. In questo periodo, infatti,  sembra che il coronavirus stia intensificando un sentimento di odio da parte dei giovani nei confronti della vecchia classe al potere, trasformando la quarantena in una guerra generazionale.

Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che, mentre molti in tutto il mondo affermano di impazzire a stretto contatto prolungato con la propria famiglia, alcuni ragazzi americani della ‘generazione Z‘  hanno pensato bene di darsi alla creatività in favore dei propri ideali politici. Cos’hanno partorito? Beh, l’hashtag #boomerRemover, in riferimento al coronavirus che sta colpendo soprattutto i boomer – ovvero i nati nel periodo del boom di nascite tra il ’40 e il ’60.

Inizialmente, l’hashtag – che si è diffuso su social network, come Tik Tok e Twitter, diventando virale- era stato creato soprattutto per ‘far svegliare’ coloro che sottovalutano il virus e non si comportano in maniera responsabile. In seguito, tuttavia ha poi preso pieghe più ‘selvagge’ di quello che era il suo scopo iniziale.

Dietro ai propositi originali di questa tendenza c’era dunque la necessità di esporre una critica. I giovani non si sentono infatti ascoltati e non trovano il loro spazio in un Paese che ha tagliato i loro interessi. Quindi il loro hashtag è diventato un forte veicolo di denuncia contro quel capitalismo sfrenato che, anche di fronte una pandemia internazionale, non rinuncia a riunioni, a viaggi di lavoro e, in generale, alla vita a cui è abituato. Peraltro, molti giovani vedono nei boomers i responsabili dell’inquinamento, della disoccupazione giovanile e di tutto ciò che non funziona negli Stati Uniti.  Ovviamente, tra i boomers non ci sono soltanto i politici ma anche gli attori, i cantanti e gli idoli di ogni generazione.

Il risvolto infelice di questo fenomeno, tuttavia, è stata l’assunzione dell’hashtag come veicolo di un diverso messaggio:  in clima di pandemia e con un orizzonte di crisi economica, qualcosa o qualcuno deve essere sacrificato per ripartire. O per non fermarsi – come aveva inizialmente ipotizzato Boris Johnson. In altre parole, è partita la triste tendenza a ridere dell’effetto più grave del virus: la morte. E chi si può sacrificare se non la tanto criticata categoria dei boomers che, con il suo analfabetismo funzionale concorre alla diffusione di fake news, fa spendere ingenti quantità di denaro allo Stato per elargire pensioni e ruba posti di lavoro a giovani aperti e volenterosi?

“Con il #boomerRemover su che divano dormirebbero? A chi scroccherebbero i soldi? Le tasse di chi pagherebbero i privilegi e le libertà di una classe disoccupata, non contribuente, egoista e incapace di qualsiasi sacrificio? Loro non vogliono davvero il Boomer Remover.” recita il tweet di cui sopra.

Ovviamente l’hashtag ha dato subito sfogo a ogni reazione: gli adulti ritengono che i giovani sanno solo lamentarsi e che hanno contribuito alla società creando memes, oltre al fatto di non voler rinunciare al loro ‘diritto di festeggiare’; interi schieramenti politici attribuiscono l’hashtag ai sostenitori di Sanders che, con cattivo gusto, gioirebbero nel vedere eliminata la base elettorale di Trump. Tutto dimostra come gli americani siano poco disponibili al dialogo e che, come spesso accade in questi Paesi, prevalga l’individualismo e l’egoismo.

“Sembra che il Boomer Remover arriverà in tempo per le prossime elezioni”

 

Tutto questo però non deve stupire più di tanto. In diverse aree del mondo, c’è sempre stata una diversa concezione della vecchiaia, del suo valore e del suo posto nella società. Per i paesi capitalisti – ma più in generale quelli protestanti – gli anziani hanno semplicemente un valore di mercato: se consumano, se utilizzano servizi, se contribuiscono al turismo, se finanziano l’industria farmaceutica e le case di riposo. Se non hanno queste ‘funzionalità’, sono una spesa, un peso: tanto vale sacrificarli. Il coronavirus, in questo senso, potrebbe essere non un fattore di crisi, ma di ripresa. Meno pensioni da dare, sblocco di posti di lavoro, i giovani ereditano denaro, i capitali si liberalizzano, la gente comincia ad acquistare di più e l’economia si sblocca rifiorendo. La mentalità dei Paesi ‘del sud’ – quelli cattolici – è totalmente diversa nella propria concezione della vita, la quale è valorizzata al massimo. Forse antiquata, bigotta e contraria ai dettami del liberalismo e del consumismo, ma che in questa occasione dimostra d’essere estremamente umana.

Quello che sfugge alle nazioni rigoriste e dai bilanci impeccabili è il valore sociale che ha la classe più anziana. I vecchi rendono i giovani consapevoli di un passato che non hanno vissuto, hanno una visione diversa della vita – più distante e più critica – incarnano la debolezza che è monito della fragilità umana, condizione che tutti abbiamo.

Fino a qualche mese fa anche noi, seppur in maniera meno marcata rispetto agli Stati Uniti, eravamo molto distanti dai vecchi. Guardavamo alla loro condizione estraniati, privi di empatia o comprensione per il loro essere, il loro vissuto e le loro azioni: cercavamo ‘a senso unico’ di cambiarli, di travestirli da giovani imponendo i nostri modi di vita. Quante volte ci siamo annoiati a sentire la stessa storia di ‘quando c’era la guerra…’ e cercavamo di insegnare – anche piuttosto impazienti e scocciati – come si usa whatsapp.

I miei nonni sono i classici ‘boomer’. Finita la guerra, hanno sfruttato il momento economico favorevole: mia nonna ha aperto in paese una tabaccheria e mio nonno ha investito i soldi in un camion e si è messo in proprio facendo consegne in tutta Italia, così hanno potuto pagare a mio papà l’istruzione che loro stessi non avevano avuto. Da piccola ogni domenica andavo da loro a pranzo, aiutavo mia nonna a preparare da mangiare e lei ricambiava insegnandomi a preparare i cappelletti e tutte le altre specialità della bassa. Mio nonno amava viaggiare e aveva potuto farlo: questi boomer si erano arricchiti e stavano sperimentando l’ebbrezza delle ritrovate libertà. Così mi raccontava di quando aveva fatto la maratona di New York e di quando aveva percorso in bicicletta il cammino di Santiago. Sempre tradizionalisti, ottusi e scettici nei confronti della velocità che avevano preso le cose, della tecnologia e della mentalità che cambiava. Presto mi sono resa conto che le stesse storie raccontate quasi tutte le domeniche mi annoiavano e che non mi ritrovavo d’accordo con le loro idee politiche – prima erano stati democristiani e poi totalmente affascinati dall’ascesa berlusconiana. Loro, d’altronde, non mi capivano quando giravo con il cellulare – ribattezzato ‘quel coso’- sempre in mano, quando invece potevo uscire e giocare all’aria aperta. Tutti arriviamo ad un punto dove parliamo ma non ascoltiamo, come se parlassimo due lingue diverse, che non riusciamo a comprendere e che neanche ci sforziamo di farlo.

Ma forse, la pandemia che è in corso, ci sta aiutando a raggiungere uno scambio equo che non solo permette di sopravvivere in questo periodo ma proprio di vivere meglio: mia nonna vede il resto della famiglia tramite videochiamata e io, per sconfiggere la noia, ho preparato i cappelletti per il pranzo di Pasqua.

La realtà è che forse dovremmo smetterla di avere in testa questa metafora del ‘furto’, del ‘ci rubano il lavoro’, ‘ci tolgono il futuro’ – perchè presto anche noi millennials ci ritroveremo ad avere idee ‘antiquate’ per il tempo in cui vivremo e anche noi  tra qualche anno potremmo essere presi in giro, sottovalutati, definiti ‘sacrificabili’. Quello che dovremmo imparare, tutti, è il valore dell’insegnamento, tramite i ricordi che le diverse generazioni ci danno: perchè la saggezza possa implementare un altro tipo di capitale, quello umano.

 

di Laura Storchi

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