Giustizia e dignità: a Bergamo nasce “Noi Denunceremo”
I PARENTI DELLE VITTIME SI UNISCONO PER RICORDARE I PROPRI CARI E NASCE UN COMITATO PER DENUNCIARE CASI DI MALAGESTIONE
Il 9 marzo 2020 l’Italia viene dichiarata ‘zona rossa’ a causa della veloce diffusione della pandemia Covid-19 che, nell’arco di sei mesi, ha portato a più di 200 mila contagi e ad oltre 35 mila vittime. La regione più colpita è stata la Lombardia, in particolare la Città di Bergamo dove, su un totale di 96 mila contagi, la pandemia è stata fatale per più di 16 mila persone.
Ed è proprio a Bergamo che è stato creato il gruppo Facebook chiamato ‘Noi Denunceremo – Verità e giustizia per le vittime di Covid-19′, con il quale i creatori Luca e Stefano Fusco – rispettivamente padre e figlio – e i parenti delle vittime si sono chiesti perché non è stato dato loro il supporto necessario.
“OGNUNO CON LA PROPRIA STORIA” – Il 22 marzo, pochi giorni dopo la perdita del padre e del nonno, Luca e Stefano hanno dato vita a questo gruppo in segno di commemorazione sia per il proprio parente che per quelli dei loro concittadini. Come ha dichiarato il vice-direttore del gruppo Stefano Fusco: “Avevamo creato questa pagina con l’intento di ricordare mio nonno insieme a parenti ed amici, perché eravamo tutti chiusi in casa per il lockdown. In secondo luogo volevamo vedere se c’erano altre persone che, oltre a voler raccontare la loro storia, avessero pensato che la situazione del Covid nella nostra regione non fosse stata affrontata adeguatamente“.
Quella domanda si è rivelata la chiave per creare il gruppo sempre su Facebook che, nel giro di poche settimane, ha visto l’adesione di migliaia di persone. Quel gruppo “nato quasi per gioco” ha raggiunto numeri che gli ideatori non si sarebbero mai aspettati, dopo solo 24 ore vi si contavano già 5.000 aderenti, 14.000 dopo due settimane e oggi più di 60.000, la maggior parte dei quali ha subito iniziato a raccontare le proprie storie e a pubblicare le foto dei loro cari defunti: “Tutti hanno capito fin dall’inizio la finalità del gruppo – ha detto il vicedirettore – e ogni racconto pubblicato era per dare un volto a quei numeri, perché durante la pandemia siamo sempre stati a abituati a sentire parlare dei morti come meri numeri. Se si parlava di 200 morti, per noi voleva dire invece che c’erano 200 famiglie che stavano soffrendo e che erano desiderose di dare dignità umana ai propri parenti che se ne sono andati”.
Il successo del gruppo ‘Noi Denunceremo’ è arrivato fino alle orecchie della magistratura di Bergamo, tanto da spingere il procuratore a chiedere un incontro per parlare di questa iniziativa e, nello stesso tempo, la Procura ha aperto un’inchiesta per ‘epidemia colposa contro ignoti‘, un’occasione rivelatasi fondamentale sia per Fusco che per l’intero gruppo: “Dato che dietro la morte dei nostri cari c’erano tanti punti oscuri, abbiamo subito deciso di dare un aiuto alla magistratura, già impegnata nelle indagini. Abbiamo così creato un Comitato Covid dove l’aderente può trasformare la sua testimonianza di Facebook in una denuncia vera e propria contro ignoti e non contro gli ospedali, perché noi riteniamo il nostro reparto sanitario la prima vittima di questa malagestione, come purtroppo conferma l’alto numero dei medici morti”.
UN GRUPPO DESIDEROSO DI GIUSTIZIA – “Per entrare a fare parte del gruppo bisogna fare un distinguo tra Facebook e il Comitato” spiega il vicedirettore del comitato Stefano Fusco. Nel primo caso i post vengono gestiti da un maresciallo dei Carabinieri, che deve assicurarsi che non ci siano litigi o uso di parole offensive. Non si può parlare di politica perché, come ha specificato il vicedirettore, in questo percorso non conta assolutamente il partito che si segue, eccetto il giovedì alle 21.00 quando viene organizzata la diretta settimanale per rispondere alle domande dei membri.
Per quanto riguarda il Comitato, che lo si può trovare sul sito internet www.noidenunceremo.it, ogni aderente può entrare a farne parte come supporter oppure usufruire della pagina internet per inviare la propria testimonianza, che poi diventerà denuncia e verrà presentata in Procura nelle settimane successive.
In base alla procedura, il denunciante invia la sua testimonianza al Comitato tramite l’apposita pagina del sito. La testimonianza, a sua volta, viene girata dagli ideatori del gruppo agli avvocati, i quali la trasformano in un esposto vero e proprio. Una prima serie di denunce è stata presentata il 10 giugno, la seconda il 13 luglio, per un totale di circa 130, provenienti sia dalla Lombardia che da altre regioni colpite, mentre una terza serie verrà presentata tra il 16 e il 17 settembre, tutte desiderose di avere risposta alle stesse domande: “Che cosa è successo?”, “c’era qualcuno che aveva la responsabilità di contenere il diffondersi della pandemia?”. Come ha dichiarato lo stesso vicedirettore del comitato: “Se esiste un responsabile, noi, in qualità di comitato, vogliamo che si faccia immediatamente da parte e che venga sostituito da qualcuno più competente, perché quando si è Presidente della Regione si ha una responsabilità gigantesca”.
Le parole di Fusco si riferiscono alla condotta ritenuta non molto efficace dell’assessore al welfare della Lombardia Giulio Gallera, accusato di non aver allargato la zona rossa perché, secondo lo stesso ministro, “non era compito suo emanare una legge del genere”, quando la legge del 23 dicembre 1978 n.833 dimostra il contrario.
IL LUTTO SENZA PERCHÉ DI DIEGO E CRISTINA – Diego, 35 anni di Martinengo, provincia di Bergamo, ha perso padre e madre in pochi giorni. La mattina del 18 marzo Diego corre a casa dei genitori, perché è insospettito dal fatto che non rispondano al telefono, e giunto sul posto trova la madre a terra con una grave crisi respiratoria e febbre a 39,3°. Il padre è invece in stato confusionale: “Ho chiamato il 112 spiegando la situazione. I medici sono arrivati tempestivamente, soccorrendo subito la mamma, che però aveva chiari segni di un caso di Covid-19 abbastanza grave; è stata portata all’ospedale di Treviglio”.
Un’ora dopo arriva l’altra ambulanza per il padre che aveva il livello di saturazione leggermente basso, e viene portato all’ospedale di Romano di Lombardia. Verso le 11:00 Diego riceve una chiamata dall’ospedale di Treviglio che gli comunica le condizioni ormai disperate della madre e lo invita a venire per darle l’ultimo saluto: “Siamo andati io e mio fratello, ma arrivati all’ospedale ci hanno negato la possibilità di vederla e ci hanno detto di chiamare dopo le 16 per sapere come stesse. Noi, ovviamente disperati, abbiamo aspettato le 16, quando ci hanno comunicato che, rispetto a quando è stata ricoverata, le condizioni della mamma erano leggermente migliorate e di richiamare il giorno dopo, sempre alle 16, per gli aggiornamenti”.
Subito dopo Diego e il fratello tornano all‘ospedale di Romano per sapere le condizioni del padre e viene detto loro che la febbre non c’era più, ma mancavano posti in reparto e che dunque avrebbe dovuto stare su un lettino in Pronto Soccorso in attesa di una loro chiamata il giorno seguente: “Il giorno dopo è arrivato l’esito del tampone, positivo per entrambi e, automaticamente, io e mio fratello ci siamo messi in quarantena, avvisando Regione Lombardia e ATS, che ci comunicarono la durata della quarantena fino al 1 aprile. Questa è stata l’unica volta che Regione e ATS ci hanno considerato. Nel frattempo su mamma e papà avevamo pochissime notizie e alle nostre domande abbiamo sempre avuto risposte vaghe o approssimative fino a quando, venerdì 20, ci chiama l’ospedale di Romano che ci dice che nostro padre è leggermente peggiorato e che lo hanno messo in reparto e, alla nostra domanda in merito a cosa sarebbe successo nel caso si fosse aggravato di più, ci è stato risposto ‘vedremo al momento’”.
Sabato 21 marzo, Diego e il fratello ricevono dall’ospedale la notizia della morte del padre. La mamma, nello stesso tempo, non aveva dato segni di miglioramento, aveva solo la mascherina e l’ossigeno e alla domanda “Perché non provate con il casco CPAP o a intubarla?”, gli viene risposto che erano sorte delle complicanze, alla fine mai chiarite, e che l’anestesista ha deciso di non procedere con un trattamento sub-intensivo o intensivo e, di conseguenza, avrebbero iniziato a sedarla. La madre morirà il 25 marzo alle 23, ma l’ospedale comunicherà il decesso la mattina dopo.
Cristina, farmacista residente a Milano, ha subito la perdita del padre Claudio: “Mio padre era appena andato in pensione, l’ospedale ci ha chiesto aiuto per trovare un posto in terapia intensiva altrimenti papà non ce l’avrebbe fatta”. Il 2 marzo Claudio avverte sintomi di febbre, nausea e dissenteria. La moglie chiama il medico di base che le prescrive telefonicamente antibiotici e fermenti lattici e dicendole che non l’avrebbe visitato. La febbre peggiora nel giro di una settimana tanto che Claudio perde i sensi per un’ora mentre si trova in bagno, per questo viene chiamato il 118 e il numero speciale per il Covid, ma alla moglie rispondono che se non aveva una crisi respiratoria non sarebbero venuti sul posto. Stessa risposta le viene data dal medico di base che si limita a dirle di continuare con antibiotici fermenti e di tenerlo idratato.
“Ho chiamato tutti quelli che conosco e fortunatamente mia madre trova un medico di base che viene a casa a visitare papà. Chiama l’ambulanza e segnala all’ATS il collega che non era venuto a visitarlo. Da lì più nulla. Ci dicono solo che è stabile sotto il casco. Non so se fosse cosciente o meno”. Il mercoledì della settimana successiva la famiglia viene a sapere dall’ospedale che le condizioni si sono aggravate. “O si trova un posto in terapia intensiva o rischia”. Giovedì 19, il giorno della festa del papà, Cristina riceve una chiamata dall’ospedale che le comunica che ormai al padre restava poco da vivere: “Ho subito chiamato mia sorella e mia mamma, che in quel momento era a casa sola in quarantena con i sintomi. Ma a lei non è mai stato fatto il tampone. Alle 8 richiamo l’ospedale e mi risponde un medico che mi dice: signora suo papà è morto da dieci minuti“.
Fusco si ritiene soddisfatto dei risultati raggiunti. Ma di strada da fare ce ne è ancora tanta: “Ogni traguardo raggiunto non è un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza. Dai risultati ottenuti non posso che essere soddisfatto, se si considera il fatto che non ci saremmo mai aspettati tutta questa partecipazione, però questo è solo l’inizio e noi andiamo avanti continuando a tenere informati i nostri membri”.
di Mattia Celio
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