No, Giulia De Lellis non è Skin positivity
AL FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA, LE IMPERFEZIONI DELLE STAR DIVENTANO - DI NUOVO - MESSAGGI SOCIALI PER LA COMUNITÀ. MA LO SONO DAVVERO?
Anche quest’anno, il Festival del Cinema di Venezia ci ha regalato una passerella di personaggi che non hanno una vera attinenza con il mondo del Cinema: influencer, blogger, Instagram guru, hanno solcato il red carpet dietro l’invito di sponsor che li volevano lì, a sfilare. E anche in questa edizione le premesse c’erano: abiti pomposi, make-up invidiabile, portamento elegante di chi ormai sa come si fa.
Ma tra un ‘gamba tesa in avanti’ e un ‘collo alto, mento in su’, qualcosa sembra aver attirato l’attenzione della critica: i brufoli di Giulia De Lellis. Tanto che dopo la sua sfilata si sono moltiplicati i titoli che osannavano l’influencer come esempio di Skin positivity.
Per coloro che non sono pratici di questi inglesismi, la Skin positivity è un movimento femminista che cerca di valorizzare la naturalezza dei visi, superando quegli standard di bellezza che anni di Photoshop hanno contribuito a costruire. Amare dunque la pelle nelle sue imperfezione è l’ideale cardine di questo movimento che negli ultimi anni ha avuto anche in Italia qualche paladina. Nemmeno un anno fa, l’attrice Kasia Smutniak mostrava al pubblico di Instragam una pelle macchiata dalla vitiligine e più recentemente, la speaker radiofonica Aurora Ramazzotti ha condiviso con i followers uno scatto al naturale che la ritrae segnata, anche lei, dall‘acne.
Ma nel caso di Giulia De Lellis possiamo davvero dire la stessa cosa? Quella che ha cominciato a circolare è stata infatti l’idea che l’influencer si fosse presentata con l’acne, con l’intento di lanciare un messaggio positivo: accetta ogni tua imperfezione come parte di quello che sei.
Ma alla fine cosa doveva fare, lasciarla sul comodino di casa? Giulia De Lellis non si è presentata a Venezia struccata, mostrandosi fieramente al naturale. È arrivata truccata, probabilmente aiutata da qualche make-up artist a migliorare il proprio aspetto, con il chiaro obiettivo di coprire quei brufoli. Ma ahimè, la luce naturale colpisce tutte.
E la prova del fatto che la De Lellis non volesse dare quel genere di messaggio – ‘Nessuno è perfetto. Amati per quello che sei. #Skinpositivity#Loveyourself‘ – è che la stessa influencer ha poi pubblicato sul suo profilo Instagram un repertorio di scatti fotografici in cui la sua pelle è più immacolata della Santa Concezione.
Intendiamoci: anche se la De Lellis ha sicuramente cavalcato l’onda, confermando di aver effettivamente voluto farsi portavoce di quell’ideale, non è però colpa sua se molti giornali le hanno attribuito quel merito.
La colpa è piuttosto di chi quegli articoli li ha scritti e pubblicati, continuando a preservare un tipo di femminismo che definirei becero. Un femminismo ignorante di chi crede che se una donna fa qualcosa fuori dalle righe, lo fa per mandare un messaggio sociale. E allora quella donna va osannata e glorificata per quel gesto pionieristico.
Ma se davvero vogliamo cambiare le cose in questa società, allora dobbiamo partire da un presupposto diverso: una ragazza può anche calcare il red carpet di Venezia con l’acne, ma solo perchè l’alternativa sarebbe quella di non andarci proprio! Certo, la De Lellis poteva sempre farsi una plastica al viso; ricattare ogni fotografo affinché modificasse i suoi scatti o fingere un’ipocondria da Coronavirus e portare costantemente la mascherina, ma volendo fare un discorso serio: che alternativa poteva mai avere l’influencer, se non quella di coprire come poteva l’acne e semplicemente presentarsi all’evento?
Maya Thurman Hawke non ha mostrato l’alone sotto l’ascelle perchè voleva trasmettere qualche ideale di body positivity. Maya Thurman Hawke ha l’alone sotto le ascelle! Punto e basta. Ma allora che merito c’è dietro a qualcuno che si presenta a un invito per quello che è, pur cercando di mascherare i propri difetti e di valorizzarsi al meglio (come facciamo tutti)? Io direi nessuno.
La verità è che fin quando questi titoli continueranno ad essere scritti e a generare un effetto boomerang attorno a loro, non potremo mai parlare di parità di genere. Perchè se una donna con i brufoli per essere accettata deve prima essere elevata a modello di riferimento per le altre; se c’è bisogno di dare un significato sociale a quell’evento, allora significa che è ancora lunga la strada da fare. Perchè sono convinta che se Pierfrancesco Favino si fosse presentato con un brufolo in fronte, nemmeno si saprebbe cos’è la Skin positivity.
Scrivere che Giulia De Lellis ha vissuto con positività la sua acne diventa dunque un modo per giustificare un evento che altrimenti non si potrebbe accettare al Festival del Cinema di Venezia. E giustificare non è che un altro modo per dire ‘discolpare’. Personaggi con una visibilità come quella della De Lellis invece di sentirsi lusingati da certi meriti che gli vengono attribuiti dovrebbero al contrario prendere le distanze da queste strumentalizzazioni, ammettendo onestamente che dietro a certi fatti c’è semplicemente la vita e che trucco e parrucco possono arrivare fino a un certo punto.
Solo in quel caso dimostrerebbero davvero di essere portavoce di un qualche movimento femminista proiettato verso una società migliore. Una società in cui la gradazione cromatica delle nostre ascelle o la costellazione di Orione che ci spunta sulla faccia non siano più al centro dell’interesse.
Siamo esseri imperfetti. Allora perchè invece di accettarlo continuiamo a cucirci sopra un romanzo?
di Martina Santi
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